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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Cagliari, ordinanza dell'11 aprile 2005

 
est. Altieri
 

Il giudice, dott. Giorgio Altieri, letti gli atti del procedimento penale n. 1822/05 R.G. Trib., nei confronti di Obibou Gaye; sentite le parti in merito alla concessione del nulla-osta all'espulsione amministrativa del Gaye dal territorio dello Stato ai sensi dell'art. 13, comma 3-bis, c.p.p.,

Osserva

In data 2.3.2005 Obibou Gaye è stato tratto in arresto da ufficiali ed agenti di Polizia giudiziaria della stazione Carabinieri di Santa Margherita di Pula nella flagranza del delitto previsto e punito dall'art. 14, comma 5-ter, in relazione al comma 5-bis, d.lgs. 286/1998 (come modificato dalla legge 471/2004), per essersi trattenuto nel territorio dello Stato, quale straniero, senza giustificato motivo, in violazione del provvedimento del questore di Cagliari in data 28.5.2003, impartito per ingresso illegale nel territorio nazionale, che gli intimava di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni da quella data. Il Gaye è stato quindi condotto davanti al tribunale di Cagliari, in composizione monocratica, per la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio direttissimo; all'udienza del 3.3.2005, è stato convalidato l'arresto e, poiché il Pubblico Ministero non ha chiesto l'applicazione di misure coercitive personali, è stata ordinata l'immediata liberazione del Gaye se non detenuto per altra causa. E' stato quindi disposto il giudizio direttissimo, e l'imputato ha chiesto la concessione di un termine per predisporre la propria difesa, ai sensi dell'art. 558, settimo comma, c.p.p.

All'atto della convalida, secondo quanto stabilito dall'art. 13, comma 3-bis, d.lgs. 286/1998 (come modificato dall'art. 12 legge 189/2002), il giudice deve rilasciare il nulla osta all'espulsione amministrativa.

Si deve prospettare al riguardo una questione non manifestamente infondata di illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (come modificato dall'art. 12 legge 30 luglio 2002, n. 189), in riferimento al diritto di difesa tutelato dall'art. 24, secondo comma, Cost., e a quello del giusto processo di cui all'art. 111, terzo comma, Cost. (come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), nella parte in cui prevede che il giudice debba accordare il nulla osta all'espulsione dello straniero all'atto della convalida dell'arresto, anziché all'esito del giudizio, o nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il nulla osta per assicurare all'imputato l'effettivo esercizio del suo diritto di difesa nel suo nucleo essenziale, ed in particolare il diritto alla partecipazione al processo.

I profili della questione di illegittimità costituzionale in merito alle citate norme della Carta fondamentale sono strettamente intrecciati tra loro e si correlano alla struttura del procedimento penale per i reati previsti dall'art. 14, commi 5-ter e 5-quater, d.lgs. 286/1998 e successive modificazioni.

Al riguardo, si deve rilevare innanzitutto che l'art. 13 d.lgs. 286/1998, norma che disciplina l'espulsione in via amministrativa dello straniero che si trovi illegalmente nel territorio dello Stato, prevede che nel caso in cui lo straniero sia sottoposto a procedimento penale l'azione dell'autorità amministrativa competente (questore) debba essere coordinata con quella dell'autorità giudiziaria, alla quale deve essere richiesto il nulla osta.

La legge disciplina poi i presupposti per la concessione del nulla osta e disegna l'ambito di discrezionalità dell'autorità giudiziaria, attraverso due norme che si pongono in rapporto di genere a specie.

La norma generale è quella del terzo comma dell'art. 13 legge citata, che prevede che l'autorità giudiziaria possa negare il nulla osta "solo in presenza di inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all'accertamento della responsabilità di eventuali concorrenti nel reato o imputati in procedimenti per reati connessi, e all'interesse della persona offesa"; in tal caso, l'esecuzione del provvedimento di espulsione è sospesa fino a quando l'autorità giudiziaria comunichi la cessazione delle esigenze processuali che hanno comportato il diniego.

La norma speciale, riferita ai casi di arresto in flagranza o di fermo, è quella del comma 3-bis dello stesso art. 13, in base al quale il giudice, all'atto della convalida, "rilascia il nulla osta" a meno che applichi la misura coercitiva personale della custodia in carcere ovvero ricorrano le ragioni che giustificano il diniego ai sensi del comma precedente.

Dalla lettura coordinata di tali norme emerge dunque che, nel caso qui in esame (convalida dell'arresto in flagranza), il nulla osta all'espulsione amministrativa può essere negato soltanto quando ricorrano particolari motivi di cautela sociale (tali da giustificare la misura della custodia in carcere) oppure peculiari esigenze investigative (accertamento della responsabilità di altre persone) o legate all'interesse della persona offesa.

Si deve poi aggiungere che, ai sensi del comma 3-sexies dello stesso art. 13, il nulla osta non può essere concesso quando si proceda per i reati di cui all'art. 407, secondo comma, lett. a), c.p.p., ovvero all'art. 12 del d.lgs. 286/1998.

Non viene dunque in alcun modo considerato, ai fini del rilascio o meno del nulla osta all'espulsione, il diritto di difesa dell'imputato, ed in particolare il diritto, previsto dall'art. 111, terzo comma, Cost., di disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa, di poter interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore.

La ragione di tale mancata considerazione è da ricercare nel successivo comma 3-quater, che prevede che, acquisita la prova dell'avvenuta espulsione, il giudice - se non sia stato ancora emesso il decreto che dispone il giudizio - debba pronunciare sentenza di non luogo a procedere.

Tali disposizioni, però, risentono del mancato coordinamento con quelle, successive, introdotte dalla c.d. legge Bossi/Fini (legge 30 luglio 2002, n. 189), che ha introdotto il comma 5-quinquies dell'art. 14 d.lgs. 286/1998, norma in base alla quale per i reati previsti dai commi 5-ter e 5-quater d.lgs. 286/1998 è obbligatorio l'arresto in flagranza e si procede con rito direttissimo (tale norma è stata poi ribadita dal D.L. 14 settembre 2004, n. 241, convertito dalla legge 12 novembre 2004, n. 271).

Infatti, l'obbligatorietà dell'arresto in flagranza e del rito direttissimo fa sì che non possa mai verificarsi, in relazione a tale categoria di reati, la condizione (mancato esercizio dell'azione penale) di cui all'art. 13, comma 3-quater; conseguentemente, lo straniero espulso non potrà essere prosciolto prima del giudizio.

La salvaguardia del diritto di difesa è dunque affidata in via esclusiva alla disposizione (intitolata infatti "Diritto di difesa") dell'art. 17 d.lgs. 286/1998, che prevede che lo straniero sottoposto a procedimento penale sia autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di difesa, "al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza", e disciplina il relativo procedimento amministrativo, che si articola in una documentata istanza presentata dall'imputato o dal suo difensore e in un'autorizzazione rilasciata dal questore, anche per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare.

Tale procedimento amministrativo, però, è incompatibile con la struttura del giudizio direttissimo, in particolare nei procedimenti davanti al tribunale in composizione monocratica, come disegnata dall'art. 558 c.p.p.

Infatti, secondo quanto stabilito dal sesto comma della norma citata, se l'arresto è convalidato si procede immediatamente al giudizio, nelle forme ordinarie o in quelle del giudizio abbreviato o dell'applicazione della pena su richiesta, e salva la facoltà dell'imputato di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a cinque giorni (facoltà che rientra nei limiti incomprimibili del diritto di difesa, atteso che l'art. 111, terzo comma, Cost. prevede che l'imputato debba disporre "del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa").

Il procedimento previsto dall'art. 17, in tale contesto, assume i caratteri di una garanzia puramente formale, in contrasto con i princìpi affermati, in motivazione, dalla Corte costituzionale nella sentenza 15 luglio 2004, n. 222 (relativa al procedimento di convalida): "Non è certo in discussione la discrezionalità del legislatore nel configurare uno schema procedimentale caratterizzato da celerità (...). Vengono qui, d'altronde, in considerazione la sicurezza e l'ordine pubblico suscettibili di esser compromessi da flussi migratori incontrollati. Tuttavia, quale che sia lo schema prescelto, in esso devono realizzarsi i principî della tutela giurisdizionale; non può, quindi, essere eliminato l'effettivo controllo sul provvedimento de libertate, né può essere privato l'interessato di ogni garanzia difensiva".

Infatti, poiché il questore esegue l'espulsione immediatamente e - al di fuori dell'ipotesi di mancato rinnovo del permesso di soggiorno scaduto - mediante accompagnamento da parte della forza pubblica, si deve ritenere che il procedimento di espulsione non garantisca in modo sufficiente neppure il diritto dell'imputato di partecipare al processo nei suoi confronti, e tanto meno quello di poter concretamente esercitare - nel rapporto dialettico con il proprio difensore che ne costituisce il presupposto di fatto - le facoltà previste dall'art. 111, terzo comma, Cost.

In particolare, nel caso in cui il giudizio non si concludesse nella stessa udienza, oppure nel caso in cui l'imputato chiedesse il termine di legge previsto per preparare la propria difesa (come è avvenuto nel caso specifico), il procedimento previsto dall'art. 17 non sarebbe sufficiente a tutelare i diritti costituzionali richiamati, essendo da escludere che nello spazio di cinque giorni lo straniero espulso abbia la reale possibilità di presentare istanza di autorizzazione per il rientro in Italia per partecipare al proprio processo, ottenere l'autorizzazione del questore, raggiungere il territorio nazionale e porsi nelle condizioni di poter effettivamente predisporre la propria difesa.

L'effettivo esercizio del diritto di difesa può essere assicurato solamente consentendo all'imputato di rimanere nel territorio nazionale, mantenendo dunque una effettiva relazione con il proprio difensore, prima e durante il processo (tenuto conto del fatto che, come si è detto, il processo si svolge con cadenze particolarmente rapide).

Si deve dunque ritenere che si ponga una questione non manifestamente infondata di legittimità dell'art. 13, comma 3-bis, nella parte in cui prevede che il nulla osta all'espulsione debba essere rilasciato all'atto della convalida dell'arresto o del fermo, anziché all'esito del giudizio, o quanto meno nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il nulla osta, oltre che per le ragioni enunciate dalla norma, per garantire all'imputato l'esercizio effettivo del suo diritto di difesa.

La questione qui sollevata, infine, è rilevante nel presente giudizio.

Il Gaye, infatti, è stato arrestato in flagranza e condotto a giudizio direttissimo, ed è stata disposta la convalida dell'arresto; il nulla osta deve dunque essere rilasciato immediatamente, non sussistendo alcune delle ipotesi che ai sensi dei commi 3, 3-bis e 3-sexies dell'art. 13 ne giustificano il diniego (l'imputato, infatti, è a piede libero, non vi sono ragioni processuali o di tutela della persona offesa, e il reato contestato non rientra tra quelli che escludono la possibilità di espulsione amministrativa).

Inoltre, poiché l'imputato ha chiesto ed ottenuto la concessione di un termine per preparare la sua difesa, l'immediata esecuzione dell'espulsione - da eseguire mediante accompagnamento alla frontiera, in quanto il Gaye non ha mai ottenuto il permesso di soggiorno - imporrebbe all'imputato, per poter partecipare al giudizio, di attivare il procedimento previsto dall'art. 17, i cui tempi sono ragionevolmente incompatibili con quelli del presente giudizio così come disciplinato dal legislatore.

P.Q.M.

Il giudice:

1) dichiara non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 13, comma 3-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (come modificato dall'art. 12 legge 30 luglio 2002, n. 189), in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, terzo comma, Cost. (come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), nella parte in cui prevede che il giudice debba accordare il nulla osta all'espulsione dello straniero all'atto della convalida dell'arresto, anziché all'esito del giudizio, o nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il nulla osta per assicurare all'imputato l'effettivo esercizio del suo diritto di difesa nel suo nucleo essenziale;

2) per l'effetto, dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e dispone la sospensione del procedimento. [...].