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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Giudice di pace di Ravenna, decreto del 15 febbario 2005

 
est. Giambarbo
 

[...] Il ricorrente ha presentato ricorso avverso il decreto di espulsione emesso dal prefetto d Ravenna, nel novembre 2000, in quanto entrato in Italia sottraendosi ai controlli alla frontiera; detto decreto intimava al ricorrente di lasciare il territorio italiano entro 15 giorni dalla sua emissione e, non avendo ottemperato, l'interessato veniva coattivamente rimpatriato in data 27/8/2001, a cura della questura di Ravenna. Il [...], espulso con il nome di battesimo [...], rientrava in Italia e si occupava presso la ditta ravennate [...], che, a seguito dell'entrata in vigore del D.L. 195/2002, covertito dalla legge 222/2002, effettuava la dichiarazione di emersione, consentendo al [...] - la modifica del nome di battesimo è stata regolarmente operata dagli uffici anagrafici del comune di nascita - la regolarizzazione prevista per i lavoratori stranieri che svolgevano attività irregolare.

Dopo il conseguimento del permesso di soggiorno, l'odierno ricorrente iniziava un nuovo rapporto di lavoro presso la società [...] di Imola; scaduto il termine del permesso, il sig. [...] ne chiedeva il rinnovo ma in data 22.7.2004 il questore di Bologna emetteva un provvedimento di reiezione in quanto, dai rilievi segnaletici, era emerso che egli era stato già espulso nel novembre 2000, col nome di [...], e rimpatriato coattivamente.

Tanto premesso, il ricorrente ha impugnato il provvedimento di espulsione sopra indicato, nonostante il tempo trascorso, in quanto a suo parere affetto da nullità e, comunque, inefficace, dato che esso è stato compilato in lingua italiana  e tradotto in lingua inglese ma non nella lingua albanese, l'unica da lui conosciuta. In tal modo egli non ha potuto conoscere l'effettivo contenuto del provvedimento e, pertanto, non è stato messo in condizione di proporre ricorso tempestivamente. La conoscenza esatta del contenuto del decreto di espulsione è avvenuta solo quando, recentemente, gli è stato negato il rinnovo del permesso di soggiorno.

Considerato che la Corte costituzionale (sent. 198/2000) nell'affermare la imprescindibilità della traduzione dei provvedimenti inerenti il soggiorno e l'espulsione degli stranieri nella lingua effettivamente conosciuta dall'interessato ha evidenziato come "lo straniero (anche irregolarmente soggiornante) goda di tutti i diritti fondamentali della persona umana, fra cui quello di difesa, il cui effettivo esercizio implica che il destinatario di un provvedimento, variamente restrittivo della libertà di autodeterminazione, sia messo in grado di comprenderne il contenuto ed il significato", con la conseguenza che se ciò non avviene, per omessa traduzione in lingua conosciuta, vige il principio "secondo cui ogni qual volta la legge fissa un termine perentorio, prevedendone la decorrenza dal compimento di un determinato atto, è necessario che quest'ultimo sia effettivamente compiuto, non contenga vizi e sia portato a conoscenza di colui che è onerato dal rispetto di esso". Il concetto è stato ribadito anche nelle sentenze della stessa Corte n. 227/2000 e 257 del 21/7/2004.

Atteso che anche secondo l'indirizzo maggioritario della giurisprudenza di merito, l'autorità amministrativa al fine di consentire allo straniero la comprensione della misura e l'apprestamento del diritto di difesa, ha l'obbligo di comunicare all'interessato il decreto di espulsione unitamente ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta e, solo ove ciò non sia possibile, in lingua inglese, francese o spagnola, ne deriva che è affetto da nullità il provvedimento di espulsione privo di traduzione nella lingua conosciuta dallo straniero ancorché accompagnato dalla traduzione di una delle lingue sopra dette ma senza la preventiva giustificazione dell'impossibilità di rendere compiutamente noto il provvedimento al suo destinatario nella lingua da lui conosciuta. Tale nullità non sarebbe sanata neanche dal tempestivo ricorso dell'interessato (Cass. civ. I sez. 16/10/2001, n. 12581, 6/7/2001, n. 9138; 7/7/2001, n. 9264).

Ritenuto, quindi, che la traduzione si configura come condizione di validità del decreto di espulsione in quanto non costituisce un semplice adempimento formale, fine a se stesso, ma è funzionale a garantire il diritto di difesa, che può  esplicarsi soltanto attraverso la piena conoscenza del provvedimento prefettizio; ritenuto anche che la violazione della norma relativa alla mancata traduzione costituisca una violazione del diritto di difesa e come tale comporti una nullità insanabile ai sensi dell'art. 156 c.p.c., si ritiene fondato il ricorso e meritevole di accoglimento, con rimessione in termini del ricorrente e conseguente annullamento del decreto prefettizio di espulsione del novembre 2000. Attesa la natura del provvedimento si compensano le spese.

P.Q.M.

Il giudice di pace così provvede: accoglie il ricorso presentato da [...] e per l'effetto rimette in termini il ricorrente, per quanto riguarda l'impugnazione del provvedimento di espulsione, e, conseguentemente, annulla il decreto di espulsione emesso dal prefetto di Ravenna in data 22.11.2000. Compensa le spese processuali.