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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza del 9 febbraio 2005

 
est. Casadonte
 

N. 1398/2004 R.G.N.C. Il giudice, letti gli atti ed a scioglimento della riserva che precede, premesso in fatto:

a) che i coniugi [...] e [...], cittadini marocchini regolarmente residenti in Italia hanno proposto ricorso per conseguire il ricongiungimento familiare della nipotina [...], nata il [...], loro affidata in base ad atto di affidamento (kafala) adottato dalla sezione notarile presso il tribunale di prima istanza di Beni Mellal il 21.7.2003.

b) che il Consolato generale d'Italia di Casablanca ha respinto il visto d'ingresso alla minore con la motivazione che "secondo la legge italiana, non ha diritto al ricongiungimento familiare previsto per i genitori. In effetti, la sua situazione non corrisponde ai termini previsti dalla legge in materia di adozione e/o affidamento";

c) che avverso tale diniego di visto é stato proposto il presente ricorso ai sensi dell'art. 30 co. 6 T.U. n. 286/1998, deducendo l'illegittimità del diniego di visto, sussistendo i presupposti per il ricongiungimento in forza dell'allegato atto di affidamento, oltre alle altre condizioni riguardanti la regolare permanenza in Italia dei ricorrenti;

- ritenuto che occorra, ai fini di stabilire la fondatezza della pretesa, individuare i limiti entro i quali il nostro legislatore ha previsto il ricongiungimento familiare e che al riguardo l'art. 29 T.U. sull'immigrazione, d.lgs. n. 286/1998 e succ. modificazioni, dopo aver riconosciuto allo straniero la facoltà di chiedere il ricongiungimento per i figli minori a carico, puntualizza al comma 2 che "ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a 18 anni. I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli"; atteso, perciò, che il legislatore ha equiparato al rapporto di filiazione quello con i minori adottati, affidati o sottoposti a tutela, consentendo per i medesimi la proposizione della domanda di ricongiungimento;

- ritenuto che alla luce di quanto sopra occorra verificare la riconducibilità a dette ipotesi del rapporto instaurato dall'atto di kafala in esame; che per quanto é dato sapere - anche se la materia del diritto di famiglia marocchino é stata oggetto di recente riforma - l'istituto della kafala presente nel diritto islamico (letteralmente "fideiussione") ove é tuttavia proibita l'adozione, può assumere la forma del provvedimento giudiziario ovvero notarile, come appare quello in esame seppure dalla traduzione risulta una non meglio specificata omologa ed una firma del giudice (non essendo stato prodotto l'originale del provvedimento dell'autorità marocchina ma solo una fotocopia di una traduzione dello stesso) e consente di affidare un minore ad una famiglia che si impegna ad accudirlo, mantenerlo ed educarlo come se fosse un figlio; che ciò può avvenire in ragione di impedimento assoluto ovvero temporaneo dei genitori; che nondimeno il minore non può essere equiparato ad un figlio naturale ed anzi in caso di genitori naturali conosciuti, questi verranno sempre considerati i veri genitori e il minore ne porterà il nome; che gli effetti del provvedimento sono quindi reversibili;

- rilevato peraltro che il nostro ordinamento riconosce la kafala quale mezzo di protezione a favore di fanciulli temporaneamente o definitivamente privati del loro ambiente familiare ovvero che non vi possono stare per essere lo stesso incompatibile con il loro proprio interesse; che tale riconoscimento deriva dalla ratifica da parte dell'Italia con la legge 27 maggio 1991 n. 176 (G.U. 11.6.1991 n. 135 S.O.) della Convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989, che esplicitamente la menziona nell'art. 20, il quale recita:

"1. Ogni fanciullo il quale é temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse, ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello Stato.

2. Gli Stati Parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale.

3. Tale protezione sostitutiva può in particolare concretizzarsi per mezzo di sistemazione in una famiglia, della kafalah di diritto islamico, dell'adozione o in caso di necessità, del collocamento in un adeguato istituto per l'infanzia. Nell'effettuare una selezione tra queste soluzioni, si terrà debitamente conto della necessità di una certa continuità nell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica".

- ritenuto nondimeno che ciò non possa essere considerato riconoscimento incondizionato e definitivo di ogni provvedimento di kafala, dovendo richiamarsi ai fini del riconoscimento anche le disposizioni di cui all'art. 65 ovvero dell'art. 66 - in caso di ritenuta qualificazione quale provvedimento in oggetto quale atto di volontaria giurisdizione - della L. n. 218/1995 ed, in particolare, i limiti ivi individuati;

- considerato con specifico riguardo ad essi che il provvedimento di kafala é stato emesso dall'autorità dello Stato la cui legge é richiamata dall'art. 36 L. n. 218/1995, la quale individua la legge regolatrice dei rapporti personali fra i genitori ed i figli in quella nazionale del figlio;

che si tratta poi di verificare la conformità dell'atto di affidamento con il limite dell'ordine pubblico, sotteso anche alla normativa sul ricongiungimento familiare;

che in tale prospettiva non può non osservarsi che la disposizione sul ricongiungimento familiare, che mira a tutelare il ricongiungimento dei figli minori alla propria famiglia equiparando agli stessi i minori adottati, affidati o sottoposti a tutela, ha come presupposto di fatto la mancanza di genitori viventi od inidonei (naturalmente o giuridicamente) anche solo temporaneamente, a svolgere il diritto-dovere di mantenere, istruire, ed educare i propri figli;

che pertanto in ragione del conseguente stato di abbandono o di debolezza che si determina in capo al minore - al quale é riconosciuto, come si dirà meglio in seguito, il diritto di crescere ed essere educato nella propria famiglia - operano quegli strumenti giuridici (adozione, affidamento e tutela) a loro volta espressione di principi di solidarietà e tutela dei minori;

- rilevato che, al contrario, nel caso di specie i genitori, per quanto é dato apprendere dall'atto di affidamento, sono noti, legati da matrimonio fin dal 1979, il padre ha un lavoro di operaio, la madre convive con il marito e non risultano altri figli a carico;

- ritenuto perciò che essi appaiono idonei a svolgere il loro ruolo genitoriale, accudendo la loro figlia e che perciò non risultano i presupposti - se non quelli intuibili di presumibile maggior benessere, peraltro astrattamente inteso, degli zii in Italia - per invocare l'istituto del ricongiungimento familiare e giustificare l'affidamento agli zii residenti in Italia, nei fatti mai avvenuto, di una bimba così piccola;

-osservato, inoltre, che l'atto di kafala in esame produce un effetto che non si ritiene compatibile con il concetto di ordine pubblico desunto dal riconoscimento dei fondamentali diritti all'unità familiare (art. 29 Cost.) ed alla tutela dei minori (art. 30 Cost.) che il nostro ordinamento esprime;

che esso di fatto finisce per incidere ingiustificatamente sul diritto preminente del minore alla propria famiglia, diritto che anche la stessa Convenzione sui diritti del fanciullo, sopra citata, espressamente richiama nel preambolo e nel successivo art. 9; dato atto che tale diritto riceve particolare attenzione tanto che si afferma che le condizioni di indigenza, peraltro qui neppure allegate, dei genitori non possano essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia (cfr. art. 1 L. n. 184/1983);

- ritenuto per tutte le considerazioni sin qui svolte che il diniego di visto di ingresso per ricongiungimento familiare non appaia illegittimo;

che tale conclusione sia assorbente rispetto ad ogni altro rilievo mosso dai ricorrenti, ma che tuttavia sussistano giusti motivi, in ragione della novità della questione interpretativa, per la compensazione delle spese di causa.

P.Q.M.

respinge il ricorso. Si comunichi.