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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Torino, sentenza del 15 dicembre 2004

 
est. Ciocchetti
 

Nella causa iscritta al n. 7661 R.G. L. 2004, A. M.[...], parte ricorrente, contro U.S., [...], parte convenuta.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in cancelleria in data 29.6.04, il Signor A. M., già dipendente di U. S., con mansioni di operaio, assumendo di dover essere inquadrato nel 5° livello del CCNL per il terziario, chiede al giudice del lavoro:

1. di condannare la convenuta a corrispondergli la somma di € 1.158,60 a titolo di differenze retributive;

2. di accertare e dichiarare la inefficacia del licenziamento intimatogli, per violazione dell'art. 2 L. 604/66 e L. 108/90 e per l'effetto condannare parte convenuta a ripristinare il rapporto dalla predetta data di recesso ed a corrispondere al ricorrente tutte le retribuzioni (dirette ed indirette) maturate e maturande dalla stessa data di recesso e fino all'effettivo ripristino;

3. di condannare la convenuta al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sulle somme spettanti dalle singole scadenze al saldo.

Parte convenuta si costituisce a sua volta in giudizio e contesta le pretese azionate in causa, ritenendole destituite di fondamento, onde chiede il rigetto del ricorso. Fallita la conciliazione, il giudice dà corso all'istruttoria, interrogando il ricorrente e il convenuto ed escutendo i testi, la vertenza viene infine discussa e decisa, come da dispositivo trascritto in calce alla presente sentenza, di cui il giudice dà pronta lettura alle parti.

Motivi della decisione

La controversia ha ad oggetto i seguenti punti.

E' controversa in primo luogo la data di inizio dell'attività lavorativa del ricorrente, il quale sostiene di aver iniziato a lavorare il 14.2.04. Il convenuto afferma invece che il ricorrente ha cominciato a lavorare il giorno 23 dello stesso mese. Si deve ritenere provata la data di inizio allegata dal convenuto, essendo tale data confermata sia dalla testimonianza del sig. E. K. (verb. pag. 5), sia da quella della sig.ra L. A. (verb. pag. 7). D'altra parte l'onere della prova sul punto gravava sul ricorrente.

Il secondo punto oggetto di contestazione é relativo all'orario svolto. Parte ricorrente sostiene di aver osservato i seguenti orari: dalle 6 alle 14, dal lunedì al venerdì, e dalle 5 alle 20, il sabato. Il convenuto, diversamente, allega il seguente orario: dalle 8 alle 10 e dalle 13 alle 14,20, dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 10 e dalle 18 alle 19,20, il sabato, per un totale di 20 ore settimanali. Tale questione va definita nel senso prospettato da parte convenuta, le cui allegazioni hanno trovato riscontro nella deposizione della teste L. A., collaboratrice del convenuto, non potendosi, viceversa, dare credito alla deposizione del teste N. K., il quale riferisce solo quanto appreso dalla stessa parte ricorrente (verb. p. 3).

Sussiste inoltre contestazione tra le parti con riguardo ai giorni di lavoro effettivo, ritenendo il convenuto che vadano detratti 2 giorni di assenza del ricorrente, non retribuibili, essendo mancata la prestazione lavorativa. La tesi di parte convenuta deve ritenersi provata, in base alle testimonianze della sig.ra L. A. e del sig. E. K.

Anche l'ulteriore questione relativa al superiore inquadramento preteso dal ricorrente (5° livello), rispetto a quello riconosciutogli dal convenuto (6° livello), va risolta a favore di quest'ultimo. Ciò come necessaria conseguenza presuntiva derivante dal provato orario di lavoro, tale da escludere l'attività al banco, sulla quale si basa l'inquadramento preteso dal ricorrente.

Si deve anche considerare provata la corresponsione della somma prospettata dal convenuto, pari a € 900, come confermato nella deposizione del teste E. K.

Sulla base dei dati allegati relativi al periodo di durata dei rapporto di lavoro, all'orario osservato e all'inquadramento, il ricorrente avanza la pretesa ad una differenza retributiva pari a € 1.158,60 lorde, ottenuta sottraendo alla somma lorda dovuta, risultante dal ricorso (1.517,05), la somma risultante dalla lordizzazione di quella percepita effettivamente (€ 300+20%= € 360). Parte convenuta sostiene invece di non dovere nulla, avendo corrisposto al ricorrente a titolo retributivo la somma di € 900, superiore al dovuto in base ai dati relativi al periodo, all'orario svolto, ai giorni effettivi di lavoro e all'inquadramento, così come allegati dalla stessa.

Sulla base di tutti i dati allegati e provati in questo giudizio, la questione delle differenze retributive va risolta nel senso che nulla competa a tale titolo al ricorrente.

Un'ulteriore questione é relativa alle conseguenze del licenziamento, da considerarsi inefficace in quanto intimato oralmente, come sostenuto da parte ricorrente, oppure tale da determinare senz'altro la risoluzione dei rapporto, in quanto relativo al periodo di prova, come affermato dal convenuto.

II convenuto sostiene in memoria di avere licenziato il ricorrente nell'ambito del periodo di prova e comunque in relazione ad un assetto del rapporto finalizzato all'ottenimento da parte del ricorrente del permesso di soggiorno. Non risulta peraltro stipulato alcun patto di prova, che come é noto deve essere stipulato in forma scritta. Va aggiunto, inoltre, che il ricorrente é stato allontanato dal lavoro ad iniziativa dello stesso convenuto, come il medesimo ha riconosciuto in sede di interrogatorio a pag. 2 dei p.v. Dovremmo trovarci di fronte teoricamente ad un licenziamento illegittimo o comunque inefficace.

Ad avviso del giudice la domanda del ricorrente non merita comunque accoglimento per diversi ordini di ragioni.

Si ritiene di escludere, in primo luogo, la stessa qualificabilità del comportamento del convenuto come licenziamento, ossia come atto unilaterale di recesso dal rapporto di lavoro da parte del datore. Si osserva che l'assunzione del ricorrente presso il convenuto, secondo quanto riferisce il teste E K., amico dello stesso ricorrente, é avvenuta soltanto per consentirgli il rinnovo del permesso di soggiorno e quindi al di fuori di un inserimento nell'impresa del convenuto finalizzata all'espletamento di prestazioni di vero interesse. In sostanza, tenuto conto delle dichiarazioni del teste e dell'obiettivo specifico avuto di mira dal ricorrente, di conseguire cioè il permesso di soggiorno, la vicenda può ritenersi contrassegnata da un'anticipata manifestazione di volontà risolutoria, da parte del lavoratore, da utilizzarsi ad opera del convenuto in modo discrezionale. Riprova di questa volontà risolutoria si ha nel fatto che, contestualmente alla cessazione del rapporto, il ricorrente ha subito reperito altra occupazione, come attestato dallo stesso teste E. K., e cioè, nei due-tre giorni immediatamente successivi al suo licenziamento, presso i mercati generali e immediatamente dopo, presso una pizzeria, ove ancora attualmente lavora.

La qual cosa sta a dimostrare che il lavoratore già da tempo era alla ricerca di altro posto di lavoro, proprio nella consapevolezza della precarietà, per sua stessa volontà, di quello oggetto della presente controversia. Siamo perciò di fronte non ad un licenziamento, ma ad un'ipotesi di scioglimento del contratto per mutuo consenso, concretizzatosi nel momento in cui il convenuto ha aderito alla volontà risolutoria manifestata implicitamente dal ricorrente.

Anche ove si volesse qualificare il comportamento del convenuto come licenziamento illegittimo o inefficace, la domanda del ricorrente di risarcimento dei danni non potrebbe essere accolta. Come si é detto, l'assunzione del ricorrente presso il convenuto, secondo quanto riferisce il teste E. K., amico dello stesso ricorrente, é avvenuta soltanto al fine di consentirgli il rinnovo del permesso di soggiorno e quindi al di fuori di una prospettiva di stabile occupazione, alla quale il lavoratore non era realmente interessato. Viene al riguardo in considerazione la figura dell'abuso del diritto, definita dalla giurisprudenza come l'esercizio del diritto per uno scopo diverso da quello per il quale la legge lo riconosce (vedi Cass. 23.7.97 n. 6900).

In particolare, il diritto al risarcimento del danno da licenziamento illegittimo é diretto a tenere indenne il lavoratore dai danni che questo possa subire in conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro. Nel caso concreto, il ricorrente, nell'esercitare in giudizio tale diritto, non aveva di mira la realizzazione delle garanzie legate alla stabilità del rapporto di lavoro, in quanto a tale stabilità non aveva interesse, come é dimostrato dal fatto, provato tramite testimonianza, che ha instaurato il rapporto di lavoro per ottenere il permesso di soggiorno.

Un'ulteriore ragione che giustifica il non accoglimento della pretesa risarcitoria del ricorrente é legata al fatto che lo stesso, come attestato dallo stesso teste E. K., ha reperito, poco dopo la cessazione del rapporto con il convenuto, un'altra occupazione: due-tre giorni dopo il suo licenziamento, presso i mercati generali e, successivamente, presso una pizzeria, ove ancora attualmente lavora. E' noto che la giurisprudenza fa applicazione, anche in caso di licenziamento illegittimo, dell'art. 1227, comma 2 c.c., in base al quale il creditore ha l'onere di evitare, usando l'ordinaria diligenza, i danni che conseguono all'inadempimento del debitore. Il lavoratore licenziato ha dunque l'onere di attivarsi per trovare un'occupazione al fine di evitare le conseguenze dannose derivanti dal licenziamento. Nel caso oggetto del presente giudizio, il lavoratore si é effettivamente attivato, evitando i danni conseguenti alla mancata percezione della retribuzione. Non può perciò pretenderne il risarcimento. Alla luce di quanto in antecedenza esposto, la domanda va quindi respinta. Le spese di lite vengono poste interamente a carico della parte ricorrente.

P. Q. M.

Il tribunale ordinario di Torino in funzione di giudice del lavoro visto l'art. 429 c.p.c.; respinge il ricorso; condanna parte ricorrente a rifondere a parte convenuta le spese di lite, che liquida in € 2.500,00, oltre I.V.A. e C.P.A. e successive occorrende.