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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Corte d'Appello di Perugia, sentenza del 20 aprile 2004, n. 8

 
rel. Di Marzio
 

Nella causa civile in grado d'appello iscritta al numero 617 del ruolo generale degli affari camerali dell'anno 2003, posta in decisione all'udienza camerale del giorno 12 febbraio 2004 e vertente tra [...] e Ministero dell'interno [...]. Oggetto: riconoscimento dello status di apolide

Svolgimento del processo

[...] ha proposto appello, nei confronti del Ministero dell'interno, contro la sentenza del 14 luglio 2003, resa tra le parti dal tribunale di Perugia, con la quale quest'ultimo aveva respinto la sua domanda di riconoscimento dello status di apolide. Costituito il contraddittorio, il Ministero dell'interno ha resistito al gravame e spiegato impugnazione incidentale. L'appello é stato posto in decisione all'udienza camerale del giorno 12 febbraio 2004.

Motivi della decisione

1. Con 1'unico motivo di gravame l'appellante rinnova la sua domanda di riconoscimento dello status di apolide, ponendo a fondamento della medesima i tre elementi seguenti: 1) essere il ricorrente in Italia da circa un ventennio ed avere radicato relazioni familiari e sociali; 2) non possedere più la protezione di alcun organismo né ancor meno dello Stato di nascita e ciò in quanto successivamente alla domanda di rifugio politico formulata nel 1984 lo Stato iraniano mal tollererebbe il rientro in patria dello stesso per evidenti ovvie ragioni; 3) mancato acquisto della cittadinanza italiana.

Ciò detto, l'[...] sostiene che il primo giudice sarebbe incorso in contraddizione laddove aveva riconosciuto che l'apolidia é uno stato di fatto, ma aveva preteso che esso richiedente provasse la perdita formale della cittadinanza originaria: tale formale attestazione, infatti, non era ottenibile, in quanto, successivamente alla sua fuga dall'Iran, egli aveva compromesso irreversibilmente i suoi rapporti con la patria natale.

Prosegue l'appellante sostenendo che il suo stato di apolidia era il frutto di disavventure burocratiche e giudiziarie in cui egli era incorso a partire dal 1984, per effetto delle quali egli non aveva mai posseduto documenti per l'arco temporale di un ventennio.

Né appariva corretto ritenere, come aveva fatto il primo giudice che egli fosse titolare della cittadinanza iraniana per il fatto di essersi dichiarato iraniano in una precedente richiesta di sanatoria, e ciò in quanto detta qualificazione non poteva essere considerata attestazione delle effettività della protezione dello Stato nel quale egli era nato.

2. L'appello va respinto.

2.1. La disciplina dell'apolidia ha al suo vertice la norma costituzionale dettata dal secondo comma dell'art. 10 Cost., secondo cui «la condizione giuridica dello straniero é regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali».

Il diritto pattizio al quale occorre fare riferimento é costituito dalla Convenzione di New York 28 settembre 1954, resa esecutiva in Italia con legge 1 febbraio 1962, n. 306. L'articolo 1 definisce apolide l'individuo che non é considerato cittadino da nessuno Stato, in virtù della propria legislazione: «une personne qu'aucun Etat ne considère comme son ressortissant par application de sa législation».

Lo stesso articolo 1 richiede che l'individuo non sia parificato, nello Stato di residenza, ai cittadini di questo quanto ai diritti e ai doveri connessi al possesso della cittadinanza: «considérées par les autorités compétentes du pays dans lequel ces personnes ont établi leor résidence comme ayant les droits et les obligations attachés ò la possession do la nationalité de ce pays».

Quanto alla prova della perdita della cittadinanza di origine, essa costituisce - insieme con il mancato acquisto della cittadinanza italiana - uno dei due elementi indispensabili per la dichiarazione dello status di apolidia.

Ebbene - come già ha rilevato il tribunale - dal momento che il concetto di apolidia esprime la mancanza dello status di cittadinanza di qualunque Stato, al fine del suo riconoscimento dovrebbe pretendersi una dimostrazione negativa concernente tutte le possibili nazionalità. La giurisprudenza ha dunque rilevato che «per evitare tale conseguenza, evidentemente assurda e paradossale sul piano probatorio, appare opportuna utilizzare un concetto di apolidia più ristretto e più realistico, che consenta di attribuire tale qualifica a coloro che siano privi della cittadinanza degli Stati con i quali intrattengano o abbiano intrattenuto rapporti rilevanti tali da dar vita ad un collegamento effettivo. L'indagine probatoria trova così dei limiti precisi e si circoscrive a due elementi fondamentali: la perdita della cittadinanza dello Stato di origine e il mancato acquisto di quella dello Stato di residenza o domicilio» (Trib. Torino 23 giugno 1988, in Riv. dir. int. priv. proc, 1989, 699).

Per il resto, merita sottolineare che la prova richiesta - il cui onere grava senz'altro sul preteso apolide - non é obbligatoriamente limitata alle certificazioni ufficiali rilasciate dalle autorità statali ma può consistere anche nel dimostrare comportamenti che le autorità della Stato tengano nei confronti dell'individuo anche in conseguenza di disposizioni legislative nazionali che non disciplinano in modo specifico la cittadinanza.

In tal senso é stato sostenuto che ai fini del riconoscimento dello status di apolidia non é necessario un provvedimento formale di privazione della cittadinanza ma sono sufficienti atti di rifiuto degli organi nazionali ad accordare la tipica protezione spettante al cittadino: «La pratica internazionale anche più recente consente di constatare che, se gli Stati pervengono a privare un loro membro della cittadinanza mediante un apposito atto formale, o quanto meno attraverso una risoluzione che assuma un qualche carattere pubblico, ciò si verifica in un numero di casi ristretto, e con riguardo in prevalenza a persone che in vario modo godano, in patria ed all'estero, di prestigio o notorietà. Tuttavia non si può non rilevare parimenti che un numero, e assai più considerevole, di fuoriusciti i quali proprio perché non godono invece di alcuna notorietà hanno particolare bisogno della tutela prevista dalla Convenzione di New York, vengano di fatto ad essere privati dello status in parola in forme del tutto diverse, ossia attraverso univoci atti di rifiuto degli organi nazionali ad accordare loro la tipica protezione spettante al cittadino. Sembra perciò giustificata, alla luce di questo fenomeno della prassi internazionale, ricomprendere altresì nella nozione di apolidia espressa dal menzionato accordo di New York la situazione in cui versano quegli individui che, pur non potendo addurre una esplicita misura sanzionatoria (nel senso che qui rileva), vengano in concreto a trovarsi irrimediabilmente sforniti del beneficio della protezione da parte del loro Stato e ciò dimostrino, ad esempio, attraverso concludenti comportamenti omissivi delle rispettive autorità diplomatico-consolari» (Trib. Milano 31 maggio 1976, Riv. dir. int. priv. proc., 1977, 595).

2.2. Ciò detto, é sufficiente osservare che 1'appellante - come già rilevato dal tribunale - non ha neppure allegato quali elementi concludenti o comportamenti omissivi mantenuti dalle autorità diplomatico-consolari iraniane dovrebbero indurre a propendere per la perdita della cittadinanza iraniana: ciò che risulta, infatti, é soltanto che l'appellante ha inizialmente fatto istanza di riconoscimento del suo status di rifugiato politico - status in un primo tempo riconosciuto e poi definitivamente negato - e si é trattenuto in territorio italiano per circa due decenni.

Non é dato comprendere, però, per quale ragione la semplice lontananza dalla nazione d'origine dovrebbe avere comportato la perdita della cittadinanza, né la Corte comprende come un simile effetto possa essere il prodotto dell'interinale riconoscimento, in favore dell'appellante, dello status di rifugiato politico.

Viceversa, é presuntivamente indicativa del mantenimento della cittadinanza iraniana la circostanza che lo stesso [...] si sia qualificato iraniano nell'istanza di sanatoria già considerata dal primo giudice, ed altresì lo stesso timore, paventato dall'appellante, che lo Stato iraniano, una volta fatto rientro nel territorio nazionale, possa perseguirlo: il che testimonierebbe che tale Stato considera l'[...] suo cittadino, ancorché da perseguire.

3. Il Ministero ha spiegato impugnazione incidentale.

3.1. Il primo motivo, con il quale é stata riproposta l'eccezione di difetto di giurisdizione dell'a.g.o., é però inammissibile, essendosi il Ministero limitato a riproporre i propri argomenti al riguardo, omettendo integralmente di considerare la motivazione adottata dal primo giudice a fondamento della decisione impugnata: il quale ha ampiamente - e condivisibilmente - sostenuto versarsi in ipotesi di controversia su un diritto soggettivo.

3.2. Il secondo motivo - con il quale il Ministero ha lamentato l'inammissibilità dell'originaria domanda, per essere stata introdotta con rito camerale, va parimenti disattesa perché: a) il Ministero non pare avere, in astratto, interesse all'impugnazione; b) non pare averne neppure in concreto, dal momento che non deduce alcun pregiudizio ipoteticamente derivato dall'adozione del rito camerale in luogo di quello ordinario; c) la Corte condivide l'opinione del primo giudice, secondo il quale alla controversia in tema di apolidia va applicato analogicamente il rito previsto dalla contermine materia regolata dal d.lgs. 286 del 1998, stante l'identità di ratio, da ravvisarsi nella medesima esigenza di celerità.

4. Le spese possono integralmente compensarsi in considerazione della natura della vicenda.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sull'appello proposto da [...] nei confronti di Ministero dell'interno contro la sentenza del 14 luglio 2003 resa tra le parti dal tribunale di Perugia, così provvede: rigetta l'appello; spese compensate.