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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Padova, ordinanza del 18 marzo 2005

 
est. Cameran
 

Il giudice, sciogliendo la riserva assunta; esaminati gli atti del procedimento n. 80494/04;

premesso:

che la ricorrente ha contratto matrimonio civile il [...] in Predazzo (TN) con il cittadino italiano [...]; che dopo il matrimonio la ricorrente ha preso dimora in [...], luogo di residenza del coniuge; che dal settembre 2003 al nucleo familiare si é aggiunto il minore [...], nato il [...] a [...], figlio naturale della ricorrente; che in data 8.8.2003 la questura di Trento ha rilasciato alla ricorrente il permesso di soggiorno n. [...] "per motivi familiari", ossia quale coniuge del cittadino italiano [...]; che successivamente, per la necessità di contribuire al - provatamente difficile - sostentamento della famiglia anche con un proprio reddito, la ricorrente ha trovato lavoro subordinato come operaia presso una ditta di Rossano Veneto ([...]: dal CUD 2004 risulta che ha iniziato a lavorare il 27.10.2003) e sistemazione abitativa in Cittadella [...], insieme al figlio, che ha iscritto a scuola; che il 19.3.2004 la ricorrente ha chiesto alla questura di Padova - essendosi trasferita in questa provincia - il rinnovo del permesso di soggiorno n. [...], scaduto l'8.1.2004;

- che con decreto di data 27.8.2004, notificato il 23.9.2004, il questore di Padova ha negato il rinnovo ritenendo che nel caso specifico, essendosi di fatto "interrotta" la convivenza coniugale all'atto del trasferimento della ricorrente in questa provincia, non fosse più applicabile il combinato disposto degli artt. 19 co. 2 lettera c) d.lgs. 286/98 e 30 [rectius: 28] reg. att. circa la inespellibilità dello straniero che sia coniuge convivente di cittadino italiano e la conseguente possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per motivi familiari;

- che avverso detto provvedimento l'interessata ha proposto tempestivo e rituale ricorso a questo tribunale in composizione monocratica, ai sensi dell'art. 30 co. 6 d.lgs. 286/98; che si é costituito in giudizio il Ministero dell'interno;

[...] a scioglimento della riserva formulata all'udienza camerale, osserva quanto segue:

1. La competenza giurisdizionale a decidere spetta al giudice ordinario. Invero l'ampiezza della formulazione dell'art. 30 co. 6 d.lgs. 286/98 induce ad affermare che la giurisdizione del giudice ordinario si estende a qualunque ipotesi di impugnazione di diniego di permesso di soggiorno per motivi di famiglia, quale che sia il motivo per cui il questore ha opposto il detto diniego.

2. Nella specie é accaduto che l'amministrazione ha negato il rinnovo del permesso per motivi di famiglia a causa della ritenuta insussistenza della convivenza tra coniugi, sull'assunto implicito che il matrimonio così contratto avrebbe avuto il solo fine di consentire una apparente regolarizzazione.

Nel merito il ricorso é fondato. Invero, l'argomento che mancherebbe, nella specie, il requisito della effettiva convivenza seguita al matrimonio contratto dalla ricorrente con un cittadino italiano é privo di fondamento per due differenti ordini di ragioni, ciascuno dei quali dirimente: il primo di natura sostanziale ed il secondo di natura processuale.

2.1. Sotto il profilo di diritto sostanziale occorre rilevare che per il disposto del comma 1 bis dell'art. 30 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 aggiunto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, "il permesso di soggiorno nei casi di cui al comma 1, lettera b), é immediatamente revocato qualora sia accertato che al matrimonio non é seguita l'effettiva convivenza salvo che dal matrimonio sia nata prole". Non ignora questo giudice che la Suprema Corte, con sentenza del 22.5.2003, n. 8034, ha statuito che anche ai sensi dell'originaria formulazione dell'art. 30 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (antecedente, cioè, alla introduzione, ad opera della legge 30 luglio 2002, n. 189, del comma primo bis), il matrimonio contratto con un italiano non attribuiva senz'altro allo straniero il diritto di ottenere il permesso di soggiorno, perché, mirando a tutelare l'unità familiare, il rilascio di quest'ultimo presupponeva la instaurazione di un'effettiva convivenza fra i coniugi, con la conseguenza che, in difetto di tale presupposto, il questore poteva rifiutare o revocare il permesso. Nondimeno tale lettura della norma può e deve essere riconsiderata alla luce delle seguenti argomentazioni.

Anzitutto, a parte il problema ermeneutico relativo all'effettiva portata della disposizione di cui all'art. 30 comma 1 bis (é sufficiente che al matrimonio sia seguita una sia pur temporanea convivenza ovvero é necessario che la convivenza si protragga continuativamente nel tempo? E per quanto tempo?) tale disposizione normativa confligge chiaramente non soltanto con i diritti nascenti dal matrimonio così come configurati dal nostro ordinamento giuridico e sanciti dalla Costituzione, ma anche con altra norma della medesima legge (l'art. 28) e con la normativa da essa richiamata (art. 1 d.p.r. 30.12.965, n. 1656, di recente sostituito dall'art. 3 del d.p.r. 18.1.2002, n. 54: provvedimenti legislativi, questi, emanati in applicazione delle disposizioni del Trattato istitutivo della Comunità europea ed in esecuzione di numerose direttive di detta Comunità, come si evince dal preambolo del primo).

Il comma 2 dell'art. 28 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dispone che "ai familiari stranieri di cittadini italiani [...] continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1965, n. 1656, fatte salve quelle più favorevoli del presente Testo unico o del regolamento di attuazione".

L'art. 3 del d.p.r. 18.1.2002, n. 54 che ha abrogato e sostituito l'art. 1 del d.p.r. 1656/1965, dopo avere affermato (comma 1) che "hanno diritto al soggiorno nel territorio della Repubblica i cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea" appartenenti alle categorie elencate nelle seguenti lettere a), b), c), d) ed e), al terzo comma riconosce il medesimo diritto di soggiorno anche ai coniugi dei cittadini degli Stati membri della Comunità europea indicati alle lettere a), b) e c) del comma 1, "quale che sia la loro cittadinanza" e, quindi, anche qualora siano extracomunitari.

Appare, quindi, evidente il diritto della ricorrente al soggiorno nel nostro Paese.

Tale sua posizione giuridica si configura come diritto soggettivo perfetto, che non dovrebbe abbisognare per il suo effettivo esercizio dell'adozione di alcun provvedimento amministrativo: il permesso di soggiorno che la competente amministrazione é obbligata per legge a rilasciare all'interessata si configura come atto meramente ricognitivo e non costitutivo del suo diritto.

Il provvedimento del questore di Padova si fonda sull'affermazione che [...] non conviverebbe con il marito e sul rilievo che alla convivenza fra i coniugi viene dato nel comma 1 bis dell'art. 30 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nel testo attualmente vigente. Va osservato, però, che questa norma, introdotta nel d.lgs. 286/1998 dalla legge 30 luglio 202, n. 189, contraddice le disposizioni di cui al citato d.p.r. 30 dicembre 1965, n. 1656, oggi sostituito dal d.p.r. 18.1.2002, n. 54, la cui vigenza con riferimento ai casi come quello qui in discussione é tuttora espressamente sancita dal citato art. 28 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, intitolato significativamente "Diritto all'unità familiare".

La contraddizione esistente fra i due articoli del d.lgs. 286/1998 - il 30, comma 1 bis, sfavorevole agli stranieri coniugati con cittadini italiani, e il 28, comma 2, a loro più favorevole - va risolta con assoluta certezza in favore della disposizione più favorevole per diverse ragioni, la decisiva delle quali é che quest'ultima é, fra le due disposizioni normative, l'unica compatibile con gli artt. 29, 2, 3 e 10 della Costituzione.

Diversamente opinando, infatti, si avrebbe anche una irragionevole disparità di trattamento tra il cittadino comunitario (non italiano) ed il suo coniuge extracomunitario che avrebbe, comunque, diritto al permesso di soggiorno in Italia a prescindere dal requisito della convivenza, ed il cittadino italiano ed il suo coniuge extracomunitario che avrebbe, invece, diritto al permesso di soggiorno solamente alla ulteriore condizione che sussista anche il requisito della convivenza.

Sotto un diverso e concorrente profilo sostanziale si osserva quanto segue.

La convivenza fra i coniugi é una condizione abituale ma non essenziale del matrimonio. E' dato di comune esperienza come moltissime siano le ragioni che inducono o costringono un numero molto elevato di coniugi a non convivere, senza che tale loro condizione incida in alcun modo sulla natura del vincolo contratto e sui diritti e doveri che ne discendono. Fra le tantissime e a mero titolo esemplificativo, si considerino la situazione di coloro che, per il lavoro che svolgono, sono costretti a risiedere stabilmente in città anche molto lontane fra loro, ovvero la situazione di quei coniugi che non abbiano il denaro sufficiente a procurarsi un alloggio e continuino ad abitare ciascuno presso i propri genitori. Va ricordato, inoltre, che anche nel regime di separazione personale fra i coniugi sancito da una sentenza adottata all'esito di un giudizio promosso ex art. 706 e segg. c.p.c., permangono fra i coniugi rilevantissimi vincoli solidaristici - morali e giuridici - che subirebbero intollerabile pregiudizio dall'espulsione di uno di essi dal territorio dello Stato.

Se ne deve dedurre allora, quanto meno, che la "effettiva convivenza" pretesa dal comma 1 bis dell'art. 30 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 2 deve essere interpretata nell'unica accezione costituzionalmente compatibile, ossia non - letteralmente - come materiale coabitazione, ma - estensivamente - come ideale comunione di vita.

2.2. Ma, come si é detto, il ricorso é fondato anche e comunque per un motivo di natura processuale. Invero il provvedimento del questore di Padova si fonda sull'affermazione che la ricorrente non convive con il marito. Tale affermazione é rimasta, però, sfornita di prova idonea.

L'amministrazione che ha emesso il provvedimento ha, infatti, ritenuto come "accertato a seguito di accurata e precisa istruttoria" il fatto che la ricorrente vive e lavora a Cittadella. La circostanza é pacifica, ma il fatto che se ne vuol desumere (cessazione della convivenza) ha portata più ampia, ed avrebbe richiesto mirati accertamenti tesi a verificare se la condizione indiscussa di vivere e lavorare in due luoghi diversi si sia accompagnata ad un mutamento qualitativo del vincolo coniugale, ossia, in concreto, se i coniugi vivano ancora insieme nel tempo libero, come da entrambi dichiarato e facilmente verificabile. Nella specie, però, l'amministrazione non ha provato o chiesto di provare alcunché al riguardo, mentre la ricorrente ha esplicitamente contestato la veridicità dell'assunto che ne inferisce la questura (trasferimento in altra provincia = interruzione della convivenza coniugale) producendo, anzi, dichiarazioni che lo smentiscono.

3. In ogni caso, ammesso pure che all'interruzione della convivenza si accompagnassero altri fatti (in nessun modo provati) sintomatici di cessazione dei rapporti materiali e spirituali che sono alla base della comune organizzazione domestica, e quindi di una reale separazione di fatto fra i coniugi (Cass. civ. sez. I, 20.8.2003, n. 12227), il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare si porrebbe in contrasto con la previsione dell'art. 30 co. 5 d.lgs. 286/98 in forza del quale "in caso di separazione legale o di scioglimento del matrimonio ... il permesso di soggiorno può essere convertito in permesso per lavoro subordinato": in tali ipotesi il venir meno del requisito della convivenza non determina automaticamente la revoca del permesso di soggiorno per motivi familiari, ma consente di convertirlo in permesso per motivi di lavoro; con analoga ratio l'art. 22 co. 11 d.lgs. 286/98 stabilisce che "la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno". Perciò la possibilità di conversione del permesso di soggiorno per motivi familiari deve essere consentita, per interpretazione analogica - che, unica, consente di sfuggire a censure di legittimità costituzionale della norma per disparità di trattamento - ai sensi dell'art. 30 co. 5 anche nell'ipotesi di separazione di fatto che, quale interruzione effettiva della convivenza, assume rilievo ai fini della pronunzia di divorzio analogamente alla separazione legale. Il provvedimento impugnato, dunque, é illegittimo anche sotto questo profilo, perché non ha esaminato la sussistenza dei presupposti per la conversione in permesso di soggiorno per motivo di lavoro ex art. 30 co. 5 d.lgs. 286/98, benché già dal 27.10.2003 (anteriormente alla richiesta di rinnovo) la ricorrente avesse un lavoro subordinato documentabile.

Per tutte le ragioni che precedono il ricorso merita accoglimento. Concorrono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del giudizio, anche in considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali sulla materia.

P.Q.M.

visti gli artt. 737 c.p.c.; 30, comma 6, d.lgs. 286/98, accoglie il ricorso proposto da [...],e per l'effetto annulla il decreto di data 27.8.2004, notificato il 23.9.2004, con il quale il questore di Padova ha negato il rinnovo del permesso di soggiorno n. [...].