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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Ravenna, sentenza dell'11 ottobre 2005

 
est. D'Agostini
 
Fatto e diritto

Il giorno 10.10.2005, il cittadino nigeriano Alfred Amos Agbonlahor si presentava presso gli uffici della questura di Ravenna, per richiedere informazioni in merito alla propria istanza di regolarizzazione.

Il personale della questura accertava che lo straniero, incensurato e in possesso di regolare passaporto, era stato colpito da un decreto espulsione del prefetto della provincia di Rimini in data 5.7.2004, cui aveva fatto seguito l'ordine del questore della stessa città, emesso il medesimo giorno, di abbandonare il territorio nazionale entro il termine di cinque giorni.

Pertanto, gli operanti procedevano all'arresto obbligatorio del cittadino extracomunitario, in relazione al delitto previsto dall'art.14 co. 5 ter del d.lgs. n. 286/1998 (come modificato dalla legge 12.11.2004 n. 271), in quanto lo stesso non aveva ottemperato al predetto ordine di espulsione.

Ad esito della convalida dell'arresto in sede di giudizio direttissimo, l'imputato ha chiesto procedersi con giudizio abbreviato. Conseguentemente è stata emessa ordinanza ex art. 438 co. 4 del codice di rito.

Pacifico essendo che l'imputato si è trattenuto nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine impartito il 5.7.2004 dal questore ai sensi dell'art. 14 co. 5 bis d.lgs. n. 286/1998, si tratta di accertare se vi fosse un giustificato motivo idoneo a scriminare la sua condotta illecita.

Nell'ordinanza in data 6.2.2003 con la quale questo giudice sollevò questione di costituzionalità dell'art.14 comma 5 ter per indeterminatezza della formula "senza giustificato motivo", si sostenne che "la presenza di tale giustificato motivo pare poter integrare un elemento negativo della condotta, la cui sussistenza farebbe venire meno, già sotto il profilo oggettivo, la configurabilità del reato" (nello stesso senso, di recente, cfr. trib. Bologna, 1.3.2004 n. 178).

La Corte costituzionale (sent. 18.12.2003 - 13.1.2004 n. 5), nel respingere analoga questione di costituzionalità sollevata in precedenza da altri giudici, ha in effetti statuito che detta formula costituisce una clausola negativa a carattere "elastico", che assolve al ruolo di escludere la punibilità di condotte per il resto corrispondenti al tipo legale.

Il giudice delle leggi ha evidenziato come alcuni motivi che, ai sensi dell'art. 14 legittimano la pubblica amministrazione, in deroga al primario obbligo previsto a non procedere all'accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera (necessità di soccorso; difficoltà nell'ottenimento dei documenti per il viaggio; indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo), non possano "non costituire sicuri indici di riconoscimento di situazioni nelle quali può ravvisarsi, per lo straniero, la sussistenza di "giustificati motivi" per non ottemperare all'ordine del questore. E ciò in specie (ad impossibilia nemo tenetur) quando l'inadempienza dipenda dalla condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea o marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio; ovvero dipenda dal mancato rilascio, da parte della competente autorità diplomatica o consolare, dei documenti necessari, pure sollecitamente richiesti".

In proposito la Corte ha altresì affermato che "fermo restando il potere-dovere del giudice di rilevare direttamente quando, possibile, l'esistenza di ragioni legittimanti l'inosservanza del precetto penale, lo straniero avrà, dal canto suo, un semplice onere di allegazione dei motivi non conosciuti né conoscibili dal giudicante".

Nel caso di specie, la difesa dell'imputato ha prodotto copiosa documentazione, allegata alla richiesta di rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari, presentata il 13.7.2005, dalla quale si evince che lo stesso è coniugato e convivente con una cittadina nigeriana, in Italia con regolare permesso; che dall'unione fra i coniugi, in data 7.2.2005, è nato un figlio maschio; che la moglie ha un'attività lavorativa dalla quale percepisce un reddito modesto.

L'Agbonlahor ha dichiarato di non essersi allontanato dall'Italia nel luglio del 2004, prima perché la moglie, già in gravidanza, aveva bisogno di assistenza, e poi perché non vi sono altre persone in grado di provvedere al minore, stante anche il reddito modesto della famiglia.

Anche a prescindere dalle previsioni della Carta costituzionale, della Convenzione internazionale del 20.11.1989 sui diritti del fanciullo e dello stesso d.lgs. n.286/1998 in tema di salvaguardia dell'unità familiare, ritiene il giudicante che nella fattispecie vi sia stato un giustificato motivo idoneo a scriminare la condotta dell'imputato.

La Corte di cassazione ha di recente evidenziato che il concetto di "giustificato motivo" comporta anche un "giudizio di esigibilità dell'obbligo condotto non esclusivamente su basi oggettive, ma tenendo conto del reale condizionamento psichico esercitato dalle circostanze concrete sulle capacità individuali di adempimento dell'obbligo stesso" (così Cass. 11.5.2004, Taibi Aziz).

Alfred Amos Agbonlahor, dunque, deve essere assolto dal reato contestatogli per insussistenza dello stesso fatto materiale (permanenza in Italia senza giustificato motivo), come anche dal pubblico ministero.

P.Q.M.

visti gli artt. 442 e 530 c.p.p., assolve l'imputato dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste.