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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Tribunale di Rovigo, sentenza del 9 maggio 2005

 
est. Miazzi
 

Svolgimento del processo 

L'imputato Adil Mazati è stato tratto in arresto l'8.5.2005 per rispondere del reato di cui all'art. 14 co. 5 ter d.lgs. 286/98 e succ. mod., perché - in violazione dell'ordine impartito dal questore di Rovigo in data 11.5.2004 ai sensi dell'art. 14 co 5 bis della medesima legge, di allontanarsi entro 5 giorni - si tratteneva nel territorio dello Stato italiano senza giustificato motivo. Il pubblico ministero ha chiesto la convalida dell'arresto ed il contestuale giudizio per direttissima, ai sensi dell'art. 14 co. 5 quinquies legge cit.; il 9.5.2005 si svolgeva l'udienza di convalida.

L'arresto non veniva convalidato in quanto il reato veniva ritenuto istantaneo con effetti permanenti, per cui non si applicavano le pene previste dalla l. 271/2004 ma si applicava la legge nella formulazione introdotta con la l. 189/2002; ciò premesso, si doveva rilevare che la Corte costituzionale con sentenza n. 223/2004 ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 14 comma 5 quinquies T.U. d.lgs. n. 286/1998 "nella parte in cui stabilisce che per il reato previsto dal comma 5 ter (nella formulazione da applicarsi all'odierno arrestato, ndr.) è obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto"; in conclusione, non essendo quindi consentito l'arresto per la contravvenzione, si riteneva di non poter convalidare l'arresto.

Si procedeva quindi con il rito direttissimo; l'imputato chiedeva procedersi con il rito abbreviato e quindi il giudice invitava a discutere le parti che concludevano come in atti.

Fatto

I fatti sono pacifici: il prefetto di Rovigo in data 11.5.2004 decretava l'espulsione di Adil Mazati dal territorio nazionale mediante accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica; in pari data il decreto di espulsione veniva notificato allo straniero. Come frequentemente avviene, il questore di Rovigo, accertato che non era possibile dare esecuzione con immediatezza all'espulsione, ordinava a Adil Mazati di lasciare il territorio dello stato entro 5 giorni dall'intimazione emessa il giorno stesso, cioè il 11.5.2004. L'8.5.2005 invece l'imputato veniva trovato nuovamente in Rovigo, e dichiarato in arresto. La diversa scrittura del nome non crea problemi, essendo derivata come risulta pacifico dalla diversa trascrizione effettuata dalla polizia giudiziaria del nome come pronunciato dall'imputato, ed essendo certa l'identità fisica del medesimo.

Motivi della decisione

Sussiste la penale responsabilità dell'imputato, in quanto il medesimo doveva allontanarsi dal territorio dello Stato, a seguito dell'intimazione ritualmente notificata l'11.5.2004, non oltre il 16.5.2004. Non risultano allegati elementi dai quali si possa ritenere la sussistenza del giustificato motivo che funge da esimente nel reato in esame. Tra l'altro l'imputato avrebbe detto di lavorare saltuariamente, anche se non in regola, come operaio giardiniere, per cui non vi è prova dell'assoluta impossidenza; il possesso di € 860 frutto dei risparmi per tali lavori ne è la riprova.

Il pubblico ministero ha chiesto la condanna alla reclusione, applicando la pena prevista per il reato a seguito della modifica intervenuta con la legge n. 271 del 12.11.2004 (che prevede appunto la pena della reclusione da uno a quattro anni). Ritiene invece il giudice di dover applicare alla fattispecie in esame la pena prevista dalla formulazione previgente dell'art. 14 comma 5 ter, cioè la pena dell'arresto da sei mesi ad un anno introdotta nel T.U. d.lgs. n. 286/1998 dalla legge n. 189/2002.

Si rileva al riguardo che l'imputazione riguarda un reato relativo ad un ordine del questore dato con provvedimento scritto dell'11.5.2004, contenente secondo le previsioni della legge (l'art. 14 comma 5 bis, secondo il quale l'ordine di allontanarsi dal territorio dello Stato doveva recare "l'indicazione delle conseguenze penali della sua trasgressione") l'avvertimento che "qualora si trattenga nello Stato senza giustificato motivo in violazione del presente ordine, verrà punito con l'arresto da sei mesi ad un anno ... "

E' vero che se si trattasse di reato permanente in via teorica lo straniero potrebbe ben essere sanzionato con la nuova pena, in quanto la consumazione e l'esaurimento della condotta illecita si sono protratti con la nuova disciplina; tuttavia ad avviso del giudicante va applicata la normativa previdente per un duplice ordine di motivi.

A) Natura istantanea del reato.

Preliminarmente va considerato che il reato è stato commesso sicuramente il sesto giorno dopo l'intimazione (non essendovi prova di un allontanamento tempestivo seguito da rientro) e quindi allorquando il reato era punibile come contravvenzione. Per cui diventa decisivo stabilire se il reato abbia natura permanente o istantanea con effetti permanenti.

Ora, il reato in esame è sicuramente un reato omissivo proprio; e parimenti ad avviso del giudicante esso ha natura istantanea. Per giungere a tale conclusione debbono essere valorizzati due elementi che paiono essere indiscutibili:

- non vi è dubbio infatti che il reato consegua all'inosservanza di un provvedimento dell'autorità, tanto che se non vi fosse la specifica previsione penale esso rientrerebbe a pieno titolo fra le inosservanze ai provvedimenti legalmente dati dall'autorità per ragioni di sicurezza pubblica sanzionati dall'art. 650 c.p..

- parimenti non vi è dubbio che il reato si consuma allo scadere dei cinque giorni previsti per l'allontanamento, e che inutile sarebbe per la sottrazione alle conseguenze dell'inottemperanza un tardivo adempimento: lo straniero che si allontani il decimo giorno risponde sicuramente ed egualmente del reato in esame.

Da questi elementi si deve trarre come conseguenza coerente che al reato in esame è perfettamente conferente la giurisprudenza della Suprema Corte elaboratasi in relazione alle violazioni dell'art. 650, giurisprudenza secondo la quale "nei reati omissivi che consistono nell'inottemperanza a un ordine legalmente dato dall'Autorità, occorre distinguere le ipotesi nelle quali l'Autorità medesima ha fissato un termine perentorio all'adempimento dell'ordine, da quelle nelle quali non ne ha fissato, né direttamente, né indirettamente, alcuno, ovvero il termine, quantunque fissato, non è perentorio. Nel primo caso l'agente deve ottemperare all'ordine entro il termine perentorio, scaduto il quale la situazione antigiuridica prevista dalla norma incriminatrice si è irrimediabilmente verificata, sicché l'eventuale adempimento successivo non ha alcuna rilevanza al fine di escludere la sussistenza del reato, che ha natura istantanea e la cui prescrizione comincia a decorrere dal termine fissato": Cass. pen., sez. I, 11.7.1997, n. 8607, Grillo. E conforme è Cass. pen., sez. IV, 3.6.1995.

Ora, mettere in discussione il carattere perentorio dell'ordine dato dal questore sembra difficilmente sostenibile: sia per le caratteristiche proprie di tale ordine, sia per la catena provvedimentale in cui l'ordine si inserisce (identificazione - emissione del decreto di espulsione - notifica dell'espulsione - arresto in casa di inosservanza), sia infine per le conseguenze che ne deriverebbero (venir meno del reato in caso di allontanamento tardivo) certo contrarie alla lettera e allo spirito della l. 189/2002, che per sua espressa dichiarazione nella relazione al progetto era tesa ad aggravare e a irrigidire le maglie del controllo sulle presenze illegali nel territorio dello Stato. E altrettanto deve dirsi della l. 271/2004. D'altra parte, anche altri reati aventi natura equiparabile a quella dell'art. 14 co. 5 ter in esame, sono stati considerati dalla giurisprudenza di legittimità come reati omissivi istantanei; si pensi alla  contravvenzione al foglio di via obbligatorio di cui all'art. 2 l. 27.12.1956, n. 1423, la quale per consolidata giurisprudenza ha natura di reato omissivo istantaneo (e non già di reato permanente) che "si consuma con la scadenza del termine entro il quale il soggetto avrebbe dovuto raggiungere il luogo di destinazione" (Cass. pen., sez. I, 2.10.1997, n. 1366; conforme Cass. pen., sez. I, 11.1.1995, n. 1716, Di Grazia); alla contravvenzione di mancata osservanza dell'invito a comparire davanti all'autorità di pubblica sicurezza, compresa nell'art. 650 c.p., che si consuma nel momento in cui scade il termine stabilito nell'invito (Cass. pen., sez. I, 12.12.1977, Oleotti, in Cass. pen. 1979, 64); o al reato di cui all'art. 2 l. 11.11.1983 n. 638 (omesso versamento all'ente previdenziale delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti) che "ha natura di reato omissivo istantaneo che si consuma nel momento in cui scade il termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali dovute." (Cass. pen., sez. III, 25 giugno 2004, n. 29275) o, per arrivare a fattispecie di delitto, quello di cui al comma 2 dell'art. 388 c.p., che nella sua forma omissiva "è istantaneo e si consuma, pertanto, nel momento stesso in cui l'agente, dolosamente, non ottemperi ad un provvedimento del giudice civile emesso per la finalità in tale norma indicata" (Cass. pen., sez. VI, 8.10.1987, Pasini).

La qualificazione come istantaneo del reato in esame è stata sostenuta, anche da altra giurisprudenza di merito seguita all'entrata in vigore della l. 271/2004 (cfr. Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 14.1.2005).

B) Inapplicabilità della nuova disciplina agli ordini precedentemente emessi.

Anche senza prendere posizione sulla natura del reato come istantaneo o permanente, comunque, si deve giungere ad applicare all'imputato la normativa previgente. Ciò riprendendo quanto elaborato e condiviso dalla giurisprudenza sia di merito che di legittimità a seguito dell'entrata in vigore della l. 189/2002, allorquando la condotta oggi in esame acquisì una rilevanza penale che non aveva e si trattò di stabilire le conseguenze di inottemperanze a ordini del questore impartiti precedentemente all'entrata in vigore della legge (cfr. Cass. 12301/2004; tribunale Perugia 14.11.2004, riportata in Diritto e Giustizia n. 6.2005, p. 67). Ebbene, si rilevò allora che le permanenze ingiustificate, successive all'entrata in vigore della nuova legge, non potevano essere indiscriminatamente criminalizzate, in quanto le nuove ipotesi di reato derivavano da ordini del questore aventi determinati requisiti previsti dalla legge, ordini che fra l'altro - ai sensi dell'art. 14 co. 5 bis sopra ricordato - dovevano riportare "l'indicazione delle conseguenze penali della trasgressione".

Ora, se il legislatore ha voluto che il decreto questorile riportasse le conseguenze della trasgressione (e ben avrebbe potuto ometterlo, per il principio di cui all'art. 5 c.p.), che le riportasse per iscritto e che la minaccia della pena gli fosse tradotta "in una lingua a lui conosciuta" è perché trattandosi di straniero clandestino era assai probabile che potesse di fatto non conoscere le leggi penali.

Quanto sopra dimostra quanto forte sia il legame fra il provvedimento amministrativo e le conseguenze penali per la sua inosservanza. Quando la Suprema Corte - pur in relazione al problema sopra accennato della successione di leggi a seguito dell'entrata in vigore della l. 189/2002 - affermava che "il co. 5 ter dell'art. 14 non criminalizza indiscriminatamente qualsiasi inosservanza di ingiunzioni espulsive del questore, ma soltanto quella "dell'ordine ... impartito ai sensi del comma 5 bis" suggellava la forza del rapporto fra ordine contenuto nell'intimazione ex comma 5 bis, e conseguenze della violazione del medesimo.

Tenuto conto ancora che l'elemento psicologico richiesto dalla l. 271 prevede un comportamento doloso e non la semplice colpa, è da ritenere inammissibile che a seguito della legge del 12.11.2004 possa essere condannato lo straniero alla pena inasprita dalla novella per un fatto per il quale era stato esplicitamente e per iscritto avvertito che avrebbe avuto una pena meno severa. Non si tratta infatti di una mera successione di leggi da applicare salvaguardando l'unicità del reato (come stabilito fra le molte da Cass. 3.11.1993, Rizzi), in quanto il diretto riferimento alle sanzioni contenute nell'avviso ex comma 5 bis è qualcosa di più della modifica della pena rispetto ad una condotta che rimane inalterata, ma è un elemento della fattispecie che è descritta proprio con riferimento all'avviso.

La violazione di legge cioè consiste nel non ottemperare all'invito notificato; se cambia il contenuto dell'invito e questo non è nuovamente notificato all'interessato, non si può parlare di continuità nella condotta ma dell'intervento di un elemento nuovo, diverso e autonomo introdotto dalla nuova legge, che può applicarsi solo dall'entrata in vigore della medesima.

La pena irrogabile all'imputato

Ritenuto pertanto che il reato si è consumato perdurante la vigenza della l. 189/2002, in quanto commesso il 17.5.2004 anche se accertato solo il 8.5.2005, l'imputato va punito con la pena dell'arresto da essa prevista.

Si deve rilevare, con riferimento ai criteri di cui all'art. 133 c.p., che il reato non appare di particolare gravità, in quanto l'imputato si è trattenuto nello Stato senza mai delinquere e anzi lavorando continuativamente anche se non in regola. Si ritiene congrua pertanto una pena base di mesi sei di arresto. L'imputato è incensurato, per cui possono essere concesse le attenuanti generiche che riducono la pena a mesi quattro di arresto. La diminuzione per il rito abbreviato porta alla pena finale di mesi due e giorni 20 di arresto La condanna comporta anche quella al pagamento delle spese processuali. Risultano concedibili la sospensione condizionale e la non menzione.

Per questi motivi

visti gli artt. 533 e 535 c.p.p., ritenuta la penale responsabilità dell'imputato per il reato ascritto e applicata la disciplina di cui alla legge n. 189/2002 anteriore alla modifica di cui alla legge n. 271/2004, lo condanna alla pena di mesi due e giorni venti di arresto. Condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali. Sospensione condizionale della pena.