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14.04.2010
 
Cassazione: il cittadino italiano di origine marocchina non può chiedere il ricongiungimento familiare con il minore marocchino affidatogli secondo l’istituto di diritto islamico della Kafalah
 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4868/2010 (depositata il 01.03.2010), ha respinto l'istanza   di un cittadino italiano di origini marocchina volta ad ottenere il visto per ricongiungimento familiare a favore di un minore marocchino che gli era stato  affidato secondo l'istituto della Kafalah dai suoi genitori sulla base della decisione di un tribunale marocchino.

La Corte di Cassazione, ribaltando il pronunciamento adottato tanto dal giudice di primo grado (Tribunale di Spoleto, decisione del 7.6.2008), quanto dal giudice di merito (Corte di Appello di Perugia, decreto 20.12.2008), sostiene che l'ingresso e soggiorno dei familiari di Paesi terzi del cittadino italiano e del cittadino comunitario residente in Italia sono regolati esclusivamente dalle norme del d.lgs. n. 30/2007, di recepimento della direttiva europea n. 2004/38. Pertanto, tra il novero dei familiari di cui agli art. 2 e 3 del d.lgs. n. 30/2007, possono essere certamente ricompresi i minori del cittadino italiano o comunitario adottati od adottanti che fanno ingresso in Italia acquisendo lo status di minore in affidamento familiare alla stregua delle previsioni del titolo III della legge n. 184/1983, come modificato dalla legge n. 476/1998 di esecuzione della Convenzione dell'Aja del 19.05.1993 sull'adozione internazionale. Secondo la Cassazione , invece, non possono ritenersi invece familiari ai sensi del d.lgs. n. 30/2007  i minori stranieri di paesi terzi semplicemente affidati al di fuori di un procedimento di adozione internazionale, categoria alla quale possono ritenersi assimilati i minori  oggetto dell'istituto di diritto islamico della Kafalah, secondo un indirizzo consolidato della stessa Cassazione (sentenze n. 21395/05, 7472/2008, e 18174/2008).

Né la Cassazione ha inteso confermare la tesi del giudice di merito,  secondo cui  poteva invocarsi  il principio della clausola più favorevole  di cui all'art. 28 c. 2 del d.lgs. n. 286/98, per cui le disposizioni del T.U. sull'immigrazione in materia di ricongiungimento familiare  possono trovare applicazione  anche ai familiari di cittadini italiani o comunitari se più favorevoli rispetto a quelle previste dalla norme di recepimento delle direttive europee in materia di libera circolazione e soggiorno dei cittadini comunitari e loro familiari. Secondo la Corte di Appello di Perugia, infatti, poiché l'istituto di diritto islamico della Kafalah  è stato riconosciuto nell'ordinamento nazionale italiano ed assimilato, in presenza di determinate garanzie,  all'affidamento familiare  anche ai fini delle procedure di ricongiungimento familiare secondo le norme del T.U. immigrazione (art. 29 c. 2 d.lgs. n. 286/98, equiparazione dei minori affidati ai figli ai fini del ricongiungimento), tale procedura ed il conseguente rilascio del visto per ricongiungimento familiare poteva dunque essere attivata anche quando la persona cui era stato affidato il minore (il c.d. Kafil) dal tribunale marocchino è un cittadino italiano o dell'Unione europea e non soltanto quanto il richiedente è un cittadino extracomunitario.  

La Cassazione non ha condiviso tale argomento. Secondo la Suprema Corte, la portata applicativa della clausola del trattamento più favorevole di cui all'art. 28 c. 2 del d.lgs. n. 286/98 deve essere intesa restrittivamente solo  con riguardo all'ambito delle procedure cioè delle modalità di ricongiungimento, non con riferimento all'individuazione dei familiari beneficiari, che deve pertanto rimanere circoscritta, per i cittadini italiani e comunitari,  alle sole previsioni del d.lgs. n. 30/2007.

Secondo la Cassazione, non sussiste un profilo di irragionevole disparità di trattamento nel fatto che un cittadino di paese terzo può avvalersi del ricongiungimento familiare con un minore affidatogli secondo l'istituto della Kafalah, mentre ciò non può aver luogo per il cittadino italiano o comunitario, in quanto nel secondo caso il cittadino italiano può assicurare l'inserimento nella propria famiglia del minore in stato di abbandono mediante il procedimento di adozione internazionale, secondo quanto previsto dalla legge n. 184/1983 e successive modifiche.

La Cassazione ha pertanto accolto il ricorso del Ministero degli Affari Esteri italiano e ha confermato il diniego di visto di ingresso adottato dal Consolato italiano di Casablanca.

fonte: http://it.west-info.eu/west/