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01.04.2010
 
Conseil d’État francese: L’interdizione generale ed assoluta del velo integrale islamico nei luoghi pubblici non avrebbe un fondamento giuridico incontestabile, ma al contrario potrebbe portare ad una lesione delle libertà fondamentali
 

Il 25 marzo scorso il Conseil d'État francese ha adottato il Rapporto intitolato: "Etude relative aux possibilités juridiques d'interdiction du port du voile intégral" (Studio relativo alle possibilità giuridiche di proibizione del velo integrale).  Il Rapporto è stato redatto su richiesta avanzata il 29 gennaio scorso dal Primo ministro francese, in relazione all'intenzione dell'esecutivo francese di proporre all'Assemblée Nationale il varo di una legislazione che pervenga alla proibizione generale ed assoluta dell'uso del velo integrale nei luoghi pubblici.

A tale riguardo, il Conseil d'État nel proprio documento di analisi esprime serie perplessità sul fondamento giuridico di una tale misura, sottolineando la possibile incompatibilità della medesima con la libertà di manifestazione del credo religioso garantita dalla Costituzione francese e dalla Convenzione europea dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali.

Il Conseil d'État, peraltro,  sottolinea come  nell'ordinamento giuridico francese già esistano disposizioni volte a dissuadere ovvero a proibire in determinate circostanze l'uso del velo integrale ovvero, più in generale, di indumenti volti a nascondere  il volto. In Francia, in nome del principio di laicità è proibita  l'ostentazione di simboli religiosi ovvero l'uso del velo integrale ovvero di indumenti religiosamente connotati atti a coprire il volto, da parte di impiegati della pubblica amministrazione nell'esercizio delle loro funzioni. Ugualmente  è proibita l'ostentazione di simboli religiosi e l'uso del velo islamico nelle scuole pubbliche (legge 15 marzo 2004). Allo stesso modo, considerazioni di pubblica sicurezza o di contrasto alla frode  impongono l'identificazione precisa delle persone e dunque escludono l'uso del velo integrale nei controlli d'identità da parte delle forze dell'ordine, nelle fotografie per i documenti identificativi, nei controlli per l'accesso alle sale d'imbarco degli aeroporti ovvero in quelle situazioni ove la persona debba essere identificata per circostanze oggettive ai fini della somministrazione di servizi e beni.   Il Conseil d'État, dunque, pur escludendo la legittimità giuridica di una proibizione assoluta e generalizzata dell'uso del velo integrale nello spazio pubblico, suggerisce dunque la possibilità di uno o più dispositivi di legge  o regolamentari che meglio precisino le possibilità di interdizione del velo integrale da parte dei Prefetti o dei Sindaci in quelle circostanze particolari di luogo e di tempo ove  obiettive e giustificabili considerazioni di ordine pubblico  possano ritenersi prevalenti rispetto al diritto alla manifestazione della libertà religiosa dell'individuo (ad es. riguardo all'accesso ad istituti bancari, in occasioni di certe manifestazioni sportive o di conferenze internazionali,...). Ugualmente, il Conseil d'État suggerisce che l'interdizione del velo integrale potrebbe avere una legittimità giuridica se circoscritta all'ingresso e alla circolazione in determinati luoghi pubblici ove le esigenze di immediata verifica dell'identità della persona o della sua età sarebbero  obiettivamente giustificate da esigenze di buon funzionamento dei servizi pubblici  (tribunali, seggi elettorali, municipi per le celebrazioni del matrimonio o gli atti di stato civile, la riconsegna dei minori all'uscita delle scuole,  centri di cura ove sono somministrate prestazioni sanitarie, svolgimento di concorsi, esami e selezioni pubbliche, o anche uffici postali e bancari in relazione a pagamenti ed operazioni finanziarie...). Anche in questi casi, tuttavia, il Conseil d'État raccomanda che eventuali  violazioni  non conducano alla somministrazione di  sanzioni penali o pecuniarie, bensì all'ingiunzioni a sottoporsi ad interventi di mediazione culturale.

Il Conseil d'État invece ritiene che sarebbe legittima l'introduzione di una fattispecie penale specifica a carico di coloro che costringano l'altrui persona all'uso del velo integrale in pubblico mediante la violenza, l'uso della forza, la minaccia, l'abuso di potere e di autorità.

Secondo il Conseil d'État, il principio di laicità, pur essendo un principio costituzionale fondamentale, non potrebbe giustificare di per sé una proibizione integrale dell'uso del velo integrale negli spazi pubblici . Il principio di laicità   si impone legittimamente alle istituzioni  pubbliche imponendo un obbligo di neutralità per i funzionari pubblici nell'esercizio delle loro mansioni, ma non può imporsi direttamente alla società e agli individui se non in circostanze particolari in ragione delle esigenze proprie di determinati servizi pubblici (come nel caso in Francia delle scuole pubbliche). Al di fuori di tali  circostanze, deve invece essere garantito il principio di autonomia personale, sancito dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'Uomo, in base al quale ciascuno ha diritto a condurre la propria vita secondo le proprie convinzioni e scelte personali, finchè tali convinzioni e scelte personali non si traducano in comportamenti che portino offesa alle altre persone. Pertanto, finchè la scelta di indossare il velo integrale è volontariamente operata dalle dirette interessate e non invece frutto di costrizione e violenza altrui, tale scelta deve essere rispettata e non sottoposta a misure limitative che risulterebbero discriminatorie, almeno fintantochè non si impongano considerazioni  di ordine pubblico, obiettivamente giustificate e prevalenti, in situazioni ben determinate e circoscritte.


Di seguito in lingua francese le conclusioni del rapporto di studio del Conseil d'État.


a cura di Walter Citti


Par lettre de mission du 29 janvier 2010, le Premier ministre a demandé au Conseil d'Etat d'étudier « les solutions juridiques permettant de parvenir à une interdiction du port du voile intégral », qui soit « la plus large et la plus effective possible » tout en rappelant la nécessité de « ne pas blesser nos compatriotes de confession musulmane ». C'est donc dans le strict cadre de cette demande juridique, c'est-à-dire indépendamment de toute considération sur l'opportunité de légiférer en ce sens, que le Conseil d'Etat a procédé à l'étude demandée.

Alors qu'existent d'ores et déjà des dispositions contraignantes mais partielles, il est apparu au Conseil d'Etat qu'une interdiction générale et absolue du port du voile intégral en tant que tel ne pourrait trouver aucun fondement juridique incontestable. Il a donc également examiné la possibilité d'une interdiction de la dissimulation du visage, quelle que soit la tenue adoptée. Même dans cette perspective élargie, une interdiction dans l'ensemble de l'espace public se heurterait encore à des risques juridiques sérieux au regard des droits et libertés garantis constitutionnellement et conventionnellement. En revanche, le Conseil d'Etat est d'avis que la sécurité publique et la lutte contre la fraude, renforcées par les exigences propres à certains services publics, seraient de nature à justifier des obligations de maintenir son visage à découvert, soit dans certains lieux, soit pour effectuer certaines démarches.

1. DE NOMBREUSES DISPOSITIONS CONDUISENT D'ORES ET DEJA A PROHIBER OU A DISSUADER, DANS CERTAINS CAS, DES PRATIQUES DE PORT DU VOILE INTEGRAL, VOIRE, PLUS GENERALEMENT, DE DISSIMULATION DU VISAGE.

a) Ces pratiques sont déjà prohibées dans deux situations :

  • pour les agents publics, dans l'exercice de leurs fonctions, au nom du principe de laïcité;
  • dans les établissements d'enseignement public (loi du 15 mars 2004): le port du voile intégralest interdit en milieu scolaire, là encore au nom du principe de laïcité.

Par ailleurs, le port du voile intégral peut être interdit pour les salariés et les personnes qui
fréquentent les locaux d'entreprise, sur décision du chef d'établissement motivée par le souci
d'assurer son bon fonctionnement.

b) Certains dispositifs, reposant déjà sur des considérations de sécurité publique ou de lutte contre la fraude, imposent également l'identification ponctuelle des personnes et impliquent donc que celles-ci découvrent leur visage. Ils résultent tantôt de dispositifs législatifs ou réglementaires, tantôt d'instructions de service.


Tel est le cas :

c) En revanche, le fait de contraindre au port du voile intégral ou à la dissimulation du visage ne peut être appréhendé qu'indirectement par les incriminations « de droit commun » telles que la violence ou la menace avec ordre de remplir une condition, et, si la proposition de loi sur les violences faites aux femmes actuellement en discussion était adoptée, le délit de violences psychologiques au sein du couple.

Il existe donc un ensemble hétérogène de prescriptions ou d'interdictions, qui fait apparaître que la France est d'ores et déjà, au sein des démocraties comparables, l'un des Etats les plus restrictifs à l'égard de ces pratiques.

2. UNE INTERDICTION GENERALE DU PORT DU VOILE INTEGRAL EN TANT QUE TEL OU DE TOUT MODE DE DISSIMULATION DU VISAGE DANS L'ENSEMBLE DE L'ESPACE PUBLIC SERAIT EXPOSEE A DE SERIEUX RISQUES AU REGARD DE LA CONSTITUTION ET DE LA CONVENTION EUROPEENNE DE SAUVEGARDE DES DROITS DE L'HOMME ET DES LIBERTES FONDAMENTALES.

Le Conseil d'Etat a procédé à l'examen des différents principes qui seraient susceptibles de
fonder une interdiction du port du voile intégral dans l'espace public ou, plus généralement, de
la dissimulation du visage.

a) Une interdiction générale du seul voile intégral serait soumise à de fortes incertitudes
juridiques.

Aucun fondement n'est apparu juridiquement incontestable au Conseil d'Etat pour procéder à
une telle prohibition.

En dépit de leur forte assise juridique, ces fondements n'apparaissent pas juridiquement permettre l'interdiction du port du voile intégral, faute de pouvoir s'appliquer à des personnes qui ont choisi délibérément le port du voile intégral. Le Conseil d'Etat ne peut donc les recommander comme fondements juridiques d'une interdiction générale.


b) Le Conseil d'Etat a donc examiné la possibilité juridique d'interdire de façon générale la dissimulation du visage dans l'espace public.

Il a pris en compte, à cet égard, les exigences de l'ordre public. Mais les significations juridiques de cet objectif de valeur constitutionnelle diffèrent. Ses trois piliers traditionnels sont la sécurité publique, la tranquillité publique et la salubrité publique, seule la première pouvant être invoquée en l'espèce. L'ordre public comporte aussi, en vertu de la jurisprudence constitutionnelle, une finalité particulière qui est celle de la lutte contre la fraude, laquelle peut impliquer la lutte contre la dissimulation des personnes, voire l'exigence de leur identification.

En outre, l'ordre public comprend une dimension, souvent qualifiée de « non-matérielle », qui englobe historiquement les « bonnes moeurs », le « bon ordre » ou la dignité. Mais cet ordre public non matériel, pour les raisons précédemment indiquées, ne peut à lui seul servir de fondement à une interdiction générale de la dissimulation du visage.

Le Conseil d'Etat a donc envisagé une conception renouvelée et élargie de l'ordre public, qui serait défini comme les règles essentielles du vivre-ensemble. Celles-ci pourraient impliquer, dans notre République, que, dès lors que l'individu est dans un lieu public au sens large, c'est-àdire dans lequel il est susceptible de croiser autrui de manière fortuite, il ne peut dissimuler son visage au point d'empêcher toute reconnaissance.

Mais le Conseil d'Etat a été conduit à écarter ce fondement. Outre qu'une telle définition n'a jamais fait l'objet d'une quelconque formulation juridique, et serait de ce fait sans précédent, elle serait également contraire à la jurisprudence du Conseil constitutionnel qui retient une définition traditionnelle de l'ordre public, y compris dans ses décisions les plus récentes, et elle ouvrirait un espace de contrainte collective aux conséquences incertaines.


3. DANS CES CONDITIONS, SEULE LA SECURITE PUBLIQUE, COMPOSANTE DE L'ORDRE PUBLIC, ET L'EXIGENCE DE LUTTE CONTRE LA FRAUDE POURRAIENT FONDER UNE INTERDICTION, MAIS UNIQUEMENT DANS DES CIRCONSTANCES PARTICULIERES DE TEMPS ET DE LIEUX.

Sur ce fondement, le Conseil d'Etat a estimé que l'obligation de découvrir son visage pourrait, de manière solide sur le plan juridique, être consacrée par deux dispositifs.

Une telle mesure, sous réserve des dérogations nécessaires, invite donc les pouvoirs publics à décider dans quelles hypothèses il leur apparaît opportun de prévoir une obligation de découvrir son visage, la loi renvoyant à d'autres textes la détermination de lieux ou de situations où s'appliquerait une telle prescription.

Enfin, s'agissant des sanctions, le Conseil d'Etat a distingué deux cas de figure :

Le Conseil d'Etat a traduit ces dispositifs en formulations juridiques envisageables, sans pour
autant énoncer de propositions, seuls les pouvoirs publics étant compétents en la matière.


Info :  http://www.conseil-etat.fr/cde/node.php?articleid=2000