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Corte d'Appello di Firenze, sentenza del 9 giugno 2007 n. 702
 
rel. Amato
 

Nella causa iscritta al n. 76 R.G. 2005, discussa all'udienza del 29.5.2007, promossa da Inps - Istituto nazionale della previdenza sociale, [...], appellante contro [...], erede di [...], Ministero dell'economia e delle finanze, [...] contumace, appellati. Oggetto: benefici assistenziali a cittadini extracomunitari: prestazione sociale rientrante tra i "beni" di cui all'art. 1 del Protocollo Cedu; necessità per l'erogazione del possesso della carta di soggiorno ex art. 80, co. 19, l. 388/2000; violazione del principio di non discriminazione di cui all'art. 14 Cedu; art. 6.2 TUE (rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla Cedu) e art. 34.2 della Carta di Nizza; conseguenze: disapplicazione della disciplina interna contrastante. [...].

Motivi

1. Preliminare alla valutazione del merito giuridico della controversia risulta la indagine concernente l'appello incidentale del Ministero dell'economia riguardo alla sua carenza di legittimazione passiva. Al riguardo il Collegio si limita ad ulteriormente ribadire l'indirizzo interpretativo, avallato dell'oramai consolidata interpretazione del giudice di legittimità, che ha appunto escluso che sussista la legittimazione dell'ex Ministero del tesoro (almeno fino alla novella del settembre 2003, inapplicabile ratione temporis alla lite in oggetto, introdotta giudizialmente nel marzo 2003) nelle controversie d'invalidità civile proposte successivamente al settembre 1998. L'art. 37, co. 5, della l. 448/98, richiamato dal tribunale, infatti, viene in maniera consolidata oramai interpretato nel senso di negare tale legittimazione del Ministero, cui pure spettano le funzioni di controllo e verifica delle provvidenze già erogate, in tutte le controversie concernenti l'attribuzione o la conferma dei benefici assistenziali.

L'art. 130, co. 3, d.lgs. 112/98, com'è noto, ha istituito il riparto di competenza (anche processuale) tra gli unici soggetti ora considerati dall'ordinamento come responsabili delle provvidenze in favore degli invalidi civili. I recenti arresti della S.C. (per tutti v. Cass. 6565/2004 e molti successivi), inoltre, hanno chiarito che l'avere ribadito il principio di separazione tra la fase dell'accertamento sanitario e quella della concessione dei benefici economici (incipit del citato co. 3) non ha riflessi sulla tutela giurisdizionale, meglio sulla legittimazione passiva in ordine alla sussistenza del diritto alle provvidenze in questione, giacché esclusivo legittimato risulta essere soltanto l'ente chiamato direttamente all'erogazione economica del beneficio (ossia l'Inps) e non quello cui restano le competenze accertative di tipo medico-legale.

2. Nella fattispecie in esame, in secondo luogo, non si controverte in ordine al possesso da parte della defunta sig.ra [...] del requisito sanitario per l'accesso al beneficio dell'indennità di accompagnamento, per cui nessuna indagine è necessaria in questa sede di gravame.

3. L'unica questione di merito sottoposta al vaglio di questa Corte distrettuale riguarda il mancato possesso da parte della dante causa dell'appellato [....] della carta di soggiorno, il cui possesso è necessario - per l'erogazione delle prestazioni assistenziali a cittadini extracomunitari - secondo quanto disposto dall'art. 80, co. 19, l. 388/2000 (applicabile ratione temporis, considerato che la domanda amministrativa è stata presentata nell'ottobre 2002) che ha in tal modo modificato il precedente regime stabilito dall'art. 41 d.lgs. 286/98, cd. T.U. dell'immigrazione, per il quale era sufficiente, al fine della fruizione delle provvidenze economiche previste dalla legislazione sociale nazionale, anche il possesso del solo permesso di soggiorno, di cui pacificamente era in possesso la sig.ra [...], presente regolarmente da lungo tempo nel nostro paese.

Il giudice delle leggi (nella richiamata decisione 324/2006) non ha sciolto il nodo interpretativo specifico, in quanto si è limitato a definire in rito la questione sottoposta, suggerendo ai giudici remittenti - nei limiti dei quesiti e dei casi di specie riferiti a prestazioni attribuite antecedentemente alla nuova disciplina introdotta dalla legge finanziaria per il 2001 - la lettura irretroattiva (peraltro già maggioritaria nella giurisprudenza ordinaria: per tutti v. Cass. 16415/2005) dell'art. 80, co. 19, l. 388/2000 e la verosimile persistenza del diritto a fruire delle prestazioni attribuite antecedentemente all'emanazione della nuova disposizione.

4. Questa Corte ha ritenuto di riflettere ulteriormente sul sospetto di incostituzionalità dell'art. 80, co. 19, in esame per quanto concerne le prestazioni richieste in epoca successiva all'introduzione del regime di accesso più gravoso. Tuttavia, nonostante la sollecitazione contenuta nelle note sul punto depositate dalla parte appellante, ritiene non essere necessario sottoporre al vaglio di costituzionalità la disposizione, giacché il composito ordinamento multilevel in materia - costituito, com'è noto, dalla pluralità di fonti nazionali, sovranazionali ed internazionali - appare in grado di dare esauriente risposta alla domanda di giustizia della sig.ra [...] e del suo erede parte di questa controversia.

5. Allo specifico riguardo è stato peraltro affermato (trib. Verona 22.5.2006, in Riv. crit. dir. lav., 2006, 959) che l'art. 80, co. 19, non interferirebbe con le specifiche provvidenze assistenziali previste dalla disciplina statale, bensì che il più rigoroso requisito del possesso della carta di soggiorno (il rilascio della quale implica peraltro, com'è noto, anche una peculiare capacità reddituale) andrebbe riferito esclusivamente alle prestazioni aggiuntive erogate ai medesimi scopi assistenziali dagli enti territoriali.

Tale interpretazione non si mostra persuasiva (in termini trib. Pistoia 4.5.2007, in questa Rivista n. 2.2007 p. 172), giacché nessuna distinzione tra erogazioni assistenziali è fissata dall'art. 80 citato e la ratio medesima dell'intervento della finanziaria 2001 - mirata a ridurre la spesa pubblica complessiva dello Stato - porta ad escludere una portata così riduttiva dell'intervento concernente le prestazioni sociali per i non-cittadini, mentre anche l'argomento testuale del richiamo espresso nel testo della disposizione dell'assegno sociale esprime la finalità d'intervenire proprio sulle prestazioni di welfare generale.

6. La questione va, inoltre, risolta anche a prescindere dalla portata assiologica del più recente regolamento CE 859/2003 (vigente dall'1.6.2003 e dunque successivo alla proposizione da parte di [...] della domanda amministrativa per la concessione dell'indennità di accompagnamento), utilizzato da altra parte della giurisprudenza di merito per disapplicare la disposizione dell'art. 80, co. 19, e riconoscere per tale via allo straniero in possesso del solo permesso di soggiorno i benefici assistenziali (trib. Trento 29.10.2004, in questa Rivista, n. 4.2004, p. 164), in quanto - come osservato in dottrina - tale legislazione comunitaria non realizza un generale principio di parità di trattamento, giacché condizione essenziale per l'applicabilità di tale regolamento (che ha esteso ai cittadini non comunitari le regole già previste dal regolamento 1408/71/CE) resta in ogni caso la necessità del collegamento del cittadino extracomunitario non soltanto con il paese terzo (di cui possiede la cittadinanza) ed uno Stato membro in cui risiede, ma altresì con almeno un altro Stato membro, ossia la necessità che egli sia "transitato" da un paese all'altro all'interno della Comunità, ora Unione: circostanza che non risulta documentata nel caso affrontato da questa Corte.

7. Il Collegio, dunque, rinviene la soluzione della controversia nel più ampio ventaglio della disciplina scaturente da fonti differenti, tutte peraltro espressione della esigenza di assicurare in maniera effettiva la realizzazione del diritto fondamentale di ogni individuo alla parità di trattamento, rectius all'eguaglianza, riguardo alle posizioni fondamentali della persona, in particolare relative alla sicurezza sociale, là dove è del tutto evidente che queste ultime attengono alle dotazioni essenziali di tipo economico o di altro genere necessarie alla sopravvivenza dell'individuo, anzi più precisamente alla sua vita dignitosa.

Sotto questo profilo un iniziale forte rilievo assume la fonte internazionale, così come recepita anche nell'ordinamento statuale interno.

Il riferimento è operato alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e della libertà fondamentali (Cedu) del 1950, resa esecutiva in Italia con la l. 848/55, il cui art. 14 dispone che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione deve essere assicurato senza alcuna discriminazione, tra i cui "fattori di rischio" viene inclusa (oltre al sesso, alla razza, al colore, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche o di altro genere, all'appartenenza ad una minoranza, al censo, alla nascita) altresì l'origine nazionale.

Inoltre, l'art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione riconosce ad ogni persona il diritto al rispetto dei suoi beni. È noto, peraltro, come la decennale elaborazione della Corte europea dei diritti dell'uomo, chiamata ad occuparsi dell'ambito oggettivo di operatività del citato art. 1, abbia attraverso progressive riflessioni contenute in alcune importanti decisioni incluso tra i beni ed i diritti patrimoniali da tutelare anche le prestazioni sociali, comprese quelle di tipo non contributivo, rendendo quindi applicabile anche a questi diritti il principio di non discriminazione di cui all'art. 14: v. Cedu 16.9.96, Gaygusuz c. Austria; Cedu 27.3.98, Petrovic c. Austria; Cedu 4.6.2002, Wessels-Bergervoet c. Olanda; Cedu 11.6.2002, Willis c. Regno Unito; Cedu 20.6.2002, Azinas c. Cipro; 30.9.2003; Cedu 30.9.2003, Koua Poirrez c. Francia, nella quale ultima la Corte di Strasburgo ha esplicitamente affermato che deve considerarsi discriminatoria ogni "distinzione" legata alla nazionalità del soggetto beneficiario della prestazione assistenziale - trattavasi di assegno per adulti minorati (caso pienamente sovrapponibile a quello al vaglio della Corte) - che non si fondi su "giustificazioni obiettive e ragionevoli" e che tali non sono gli "imperativi" finanziari destinati all'equilibrio della spesa sociale.

Risulta agevole osservare come queste decisioni della Cedu aprano ad un concetto di "cittadinanza" che travalica l'originario scenario degli Stati-nazione e si allarga al rispetto dei diritti fondamentali della persona, riallacciandosi idealmente all'art. 22 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ONU del 1948 che afferma che ogni individuo, quale membro della società, ha diritto alla sicurezza sociale.

8. È stato, d'altro canto, di recente osservato (trib. Pistoia 4.5.2007, cit.) che, a differenza di quanto previsto nel Trattato CE (artt. 244 e 256), nessuna norma della Convenzione europea rende le sentenze della Corte di Strasburgo direttamente eseguibili negli ordinamenti nazionali, sebbene questo riguardi soltanto l'efficacia esecutiva in relazione a provvedimenti da cui discende un obbligo pecuniario, mentre la regola generale, secondo la quale i principi enunciati nelle decisioni della Corte di Giustizia delle Comunità di Lussemburgo s'inseriscono direttamente nell'ordinamento interno, assumendo valore di fonte del diritto e di jus superveniens (per tutti, sul "primato" dunque del diritto comunitario, v. Corte cost. 62/2003; 125/2004), trova il suo fondamento nell'esigenza di uniforme interpretazione del diritto comunitario nell'ambito territoriale definito dal Trattato.

Risulta, tuttavia, al riguardo importante notare come le due Corti sovranazionali abbiano "imparato" a rispecchiarsi ed a concorrere all'adeguata tutela delle posizioni fondamentali della persona che rappresentano ora anche per il diritto dell'Unione un punto imprescindibile e come, dunque, non sia priva di grande rilevanza la circostanza di essere un punto fermo delle più recenti ed impegnative argomentazioni della Corte di Lussemburgo non solo l'affermazione del principio di uguaglianza come uno dei più significativi denominatori comuni del sostrato europeo (per tutte v. Cgce 22.11.2005, C-144/04, Mangold), ma anche il richiamo dell'art. 6 Tue, ai sensi del quale l'Unione è fondata sul principio dello stato di diritto e rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Cedu, "in quanto principi generali del diritto comunitario" (così, da ultima, Cgce 3.5.2007, C-303/05, Advocaten voor de Wereld VZW, punto 45), di modo che è possibile - attraverso l'autentica interpretazione del complessivo ordinamento comunitario (trattati e discipline conseguenti) effettuate dai giudici di Lussemburgo - dirsi, in buona misura e nonostante i distinguo della dottrina, realizzata la "comunitarizzazione" della Convenzione sui diritti dell'uomo (contra, ma come mera affermazione di principio non motivata, v. Cass. 6978/2007).

Come detto, il processo è binario e speculare. Non a caso, infatti, la Corte di Strasburgo (Cedu 30.6.2005, Bosphorus Hava Yollari Turizm c. Irlanda) si è spinta ad affermare la "equivalenza" tra i diversi ma convergenti sistemi di tutela dei diritti umani vigente in Europa (Cedu e Tue) attraverso un'approfondita ricostruzione del percorso storico-istituzionale dei diritti fondamentali, citando tra l'altro anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione proclamata a Nizza nel dicembre 2000.

9. A tale ultimo proposito deve essere segnalato che la questione dibattuta in questa sede giudiziaria trova proprio nel citato Bill of Rights una ulteriore importante chiave di lettura, giacché è nella Carta di Nizza che si rinviene la ricognizione/affermazione dell'articolazione di tutte le categorie dei diritti fondamentali della persona, compresi quelli sociali, ed è noto anche quale forte impulso a porre al centro della riflessione e dello stesso agire politico delle istituzioni comunitarie il tema dei diritti fondamentali abbia avuto la proclamazione di questa Carta dei diritti, soprattutto per quanto riguarda la indivisibilità di essi in tutte le accezioni: diritti civili, politici, sociali ed oltre.

Il contenuto della Carta è oramai unanimemente considerato non soltanto più un documento politico, né solo la "rappresentazione simbolica" del "progetto" di costituzione di una "società europea", il "luogo" in cui bisogni, aspettative, interessi, diritti assumono dignità e reclamano tutela. Essa, nel rappresentare senza alcun dubbio il catalogo più aggiornato e ragionato di quello che configura il "precipitato" storico e valoriale di qualche secolo di esperienza politica, sociale e giuridica del continente europeo nel suo complesso, ha anche affermato con nettezza l'universalismo di alcune di queste posizioni fondamentali.

Proprio per quanto attiene a questioni di più alta "temperatura" sociale, di più alta "tensione" etico-politica, quelle relative alla sicurezza sociale ed all'assistenza sociale, infatti, al paragrafo 2 dell'art. 34 della Carta dei diritti fondamentali è precisato che "ogni individuo che risieda o si sposti legalmente all'interno della Unione", quindi il riferimento deve essere inteso ovviamente ai cittadini di paesi terzi soggiornanti regolarmente in un paese membro, "ha diritto alle prestazioni di sicurezza sociale ed ai benefici sociali", dove l'inciso conclusivo "conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali" non può certo compromettere i principi generali dell'ordinamento comunitario (e, ad es., i suoi rapporti con la Cedu sopra delineati o il ruolo dell'interpretazione della Corte di Lussemburgo nella interpretazione "creativa" del diritto comunitario) né la tenuta effettiva delle discipline nazionali che si pongano in contrasto con l'incrocio multilivello delle normative di garanzia e tutela.

In dottrina, infatti, si è rilevato come l'obiettivo avuto di mira dagli estensori della Carta sia certamente più ampio ed impegnativo di quanto già previsto dall'ordinamento comunitario in tema di libera residenza e libera circolazione: l'art. 34.2 è teso, in altri termini, a realizzare all'interno dell'Unione una "situazione di (seppur minima) eguaglianza materiale tra tutti coloro, cittadini e non, che a vario titolo ... vi risiedono", coloro cioè che, avendo titolo per risiedere all'interno dell'U.E., "hanno diritto alle risorse materiali per condurre un'esistenza dignitosa".

10. La natura di diritto sociale fondamentale delle prestazioni assistenziali rappresenta, pertanto, sicuro acquis dell'ordinamento europeo e la sopradescritta previsione della Carta sanziona questa conclusione, mentre è opportuno ricordare che fin dal suo apparire sulla scena politica e giuridica del continente il documento di Nizza è stato reputato avere l'evidente vocazione a fungere "da sostanziale parametro di riferimento per tutti gli attori ... della scena comunitaria ... , [fornendo] la Carta ... la più qualificata e definitiva conferma della natura di diritto fondamentale" che rivestono i vari il diritto in essi esplicitati (v., sul tema specifico del diritto alle ferie, le "coraggiose" Conclusioni in data 9.2.2001 dell'avvocato generale CGCE nella causa C-173/99, Bectu, punto 28).

Ed il valore non più soltanto assiologico e politico delle enunciazioni dei principi e dei diritti sociali individuali e collettivi della Carta di Nizza si coglie oramai anche dal richiamo ad essa operato su numerose materie (altrettanto delicate perché relative a fondamentali posizioni soggettive della persona richiamate nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo) dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo (Cgce 27.6.2006, C-540/03, Parlamento c. Consiglio; Cgce 13.3.2007, C-432/05, Unibet; Cgce 3.5.2007, C-303/05, Advocaten voor de Wereld VZW), la quale pertanto, anche se in via indiretta, è giunta a conferire alla Carta dei diritti fondamentali dell'U.E. un ruolo molto prossimo a fonte sovraordinata omologa ad un testo costituzionale.

Se ne deve di conseguenza trarre la convinzione del vistoso scostamento da parte del legislatore italiano del 2000 dai principi ora ricostruiti e dalla lettura "incrociata" che le Supreme Corti europee danno del diritto alla sicurezza ed all'assistenza sociale.

11. Da quanto sopra delineato, inoltre, risulta effettivamente "difficile sottrarsi all'idea che la medesima esigenza di certezza ed uniforme applicazione delle regole [valida per le decisioni di Lussemburgo] operi anche con riferimento alla Convenzione europea una volta che si consideri[no] l'obbligo delle altre parti contraenti di riconoscere ad ogni persona soggetta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà definiti dal titolo I della Convenzione stessa" (così efficacemente trib. Pistoia 4.5.2007, cit.), considerata la competenza assegnata alla Corte di Strasburgo estesa a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione (art. 32 Cedu). E, quindi, aggiunge questo Collegio, alla esigenza di affermare il diritto dei cittadini stranieri non comunitari a forme adeguate di assistenza che non discriminino sulla base di elementi inappropriati (documentali e/o di tipo temporale) l'accesso alle provvidenze del welfare.

Al riguardo è utile ricordare come la fonte internazionale in questa sede più volte richiamata sia stata già ritenuta idonea (Cass. 10542/2002; Cass. 11096/2004; Cass. S.U. 28507/2005) a rappresentare indispensabile momento di raffronto giuridico per la valutazione delle discipline dell'ordinamento nazionale e come l'immediata precettività rispetto al caso concreto di una disposizione di essa possa implicare anche la disapplicazione della norma interna (da ultimo ancora Cass. S.U. 28507/2005); nonché come i recenti approdi interpretativi delle supreme magistrature del nostro paese abbiano, da un lato (Cass. pen. 1.12.2006, Dorigo), non soltanto ribadito l'immeditata applicabilità nel nostro ordinamento delle sentenze della Corte di Strasburgo emesse nei confronti dell'Italia bensì affermato l'altrettanto immediata precettività delle norme della Convenzione, e, dall'altro (Corte cost. 393/2006), riconosciuto esplicita forza giuridica a norme internazionali di tutela dei diritti fondamentali della persona.

12. A queste decisive considerazioni derivanti dal combinato disposto dell'ordinamento internazionale e comunitario e dalla valorizzazione delle previsioni della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, vanno - al fine di confermare il diritto della defunta signora Casco a fruire dell'indennità di accompagnamento - ad aggiungersi ulteriori argomentazioni.

a) La disciplina dell'art. 80, co. 19, l. 388/2000, in base a quanto ricostruito in precedenza sulla speciale caratura assiologica e giuridica della Convenzione del 1950 e del suo art. 14, nonché della sua interpretazione da parte della Corte di Strasburgo, si mostra a questo punto lesiva dell'art. 117, co. 1, Cost., nella versione introdotta dalla l. cost. 3/2001, ai sensi del quale la potestà legislativa è esercitata tra l'altro nel rispetto "dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali", ossia tenendo nel debito conto i principi affermati ed i diritti tutelati in ambedue le categorie di fonti giuridiche ora rammentate (sulla superiorità della Cedu rispetto alla legge ordinaria v. anche Cass. 401 e 402/2006, ordd.).

b) Appare conseguentemente di difficile confutazione la irragionevolezza della disparità di trattamento, lesiva quindi dell'art. 3 Cost., introdotta dalla disposizione in esame tra cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale, sulla sola base del possesso di documenti differenti: si è detto che l'accesso alle prestazioni assistenziali è espressione della tutela di posizioni fondamentali della persona (per le quali già l'art. 2 d.lgs. 286/98 non aveva differenziato le discipline di tutela sulla base del tempo e dei titoli del soggiorno) e che l'art. 34.2 della Carta di Nizza ha reso "universale" questo accesso, che, dunque, non può sopportare limitazioni legate alla mera durata della permanenza in uno Stato ovvero collegate ad una già determinata capacità reddituale (requisito questo peraltro radicalmente in contraddizione con la provvidenza assistenziale che - arg. ex art. 38 Cost. ital. - serve a garantire il mantenimento a chi è "sprovvisto dei mezzi necessari per vivere").

Esiste, in altri termini, un nucleo di principi e diritti fondamentali ed inviolabili che non tollerano discriminazioni, in quanto riferibili all'individuo in quanto tale, e non al cittadino o allo straniero, e vanno affermati con nettezza (in termini Corte cost. 432/2005 che ha dichiarato incostituzionale l'art. 8 l. reg. Lombardia 1/2001 che collegava il diritto di circolazione gratuita degli invalidi al 100% al possesso della cittadinanza italiana): ne consegue l'irragionevolezza di fissare l'accesso ad una basilare misura di assistenza ai soggetti privi di autonomia personale solo per coloro che abbiano un documento che attesti il soggiorno prolungato (requisito fattuale che nessuno ha negato avere realizzato anche la sig.ra [...], senza tuttavia avere mai richiesto la carta di soggiorno) ed altre condizioni personali di tipo reddituale. E, pertanto, va ampiamente condivisa la dottrina che, proprio in riferimento all'art. 80 in questione ed assunto in tesi essere la sicurezza sociale un diritto riconosciuto alla "persona", ritiene difficile riscontrare la legittimità di un criterio che conduce "ad includere solamente determinate categorie di immigrati - quelli di successo - lasciando ai margini i meno fortunati ... allorché, chiunque, da cittadino, si trovasse nelle medesime condizioni, fruirebbe di diritti economici e sociali".

13. Queste considerazioni imporrebbero - ove fossero possibile differenti interpretazioni - una lettura costituzionalmente adeguata della disciplina primaria che avesse violato le regole della Costituzione italiana del 1948.

Nella specie questo corollario non è materialmente praticabile, stante la sicura inequivocità della disposizione del citato co. 19 cui non è possibile sostituire da parte del giudice ordinario altra differente prospettiva legislativa.

Tale situazione, tuttavia, non impedisce in primo luogo che, se gli obblighi internazionali vanno rispettati, divenga conseguenziale riconoscere che anche le indicazioni interpretative della Corte di Strasburgo sono idonee a vincolare il giudice interno, a prescindere dalla necessità di sollecitare l'intervento della Consulta,

In secondo luogo - sviluppandosi così potenzialità sinora poco avvertite persino nel rapporto con l'ordinamento comunitario e realizzandosi un controllo diffuso tra i giudici di merito della legittimità delle leggi in un sistema caratterizzato dal sindacato centralizzato della Corte costituzionale (così trib. Pistoia 4.5.2007, cit.) - , in virtù della piena giuridicità del diritto internazionale quale si manifesta essenzialmente nella capacità degli operatori giuridici interni di dare concreta e stabile attuazione alle regole pattizie concordate dagli Stati, appare convincente e da ulteriormente articolare il rammentato indirizzo interpretativo (Cass. 10542/2002 e Cass. S.U. 28507/2005, citate) secondo cui dalla natura sovraordinata delle norme delle Convenzione Cedu discende anche "l'obbligo per il giudice di disapplicare la norma interna in contrasto con la norma pattizia dotata di immediata precettività nel caso concreto".

14. Non sembra a questo punto al Collegio che possa obiettarsi riguardo alla disposizione in esame (art. 80, co. 19, cit.) la non immediata precettività del principio sopra ricostruito in tema del diritto di tutti, cittadini e non, ad adeguate forme di assistenza sociale, come interpretato dalla Corte di Strasburgo il combinato disposto degli artt. 14 Cedu e dell'art. 1 Protocollo aggiuntivo (in termini v. trib. Pistoia 4.5.2007, che ha anche convincentemente contrastato gli argomenti di Cass. 11887/2006, ord., contrari all'uso del potere di disapplicazione).

Certamente la questione della disapplicazione "diretta" va ulteriormente approfondita, tenuto conto che in dottrina si è dubitato che essa possa avvenire quando la norma sovranazionale resti del tutto estranea riguardo a fattispecie meramente "interne" ossia prive di nessi con il diritto comunitario (così già Cass. 10542/2002, cit.).

Nella specie, peraltro, il nesso con l'ordinamento sovranazionale non si mostra insussistente, là dove - se è pur vero che le questioni del cd. welfare e delle politiche sociali sono state tradizionalmente lasciate alle capacità ed adeguatezza delle policies dei singoli Stati membri - non soltanto coesione ed inclusione sociale, lotta alla povertà ed integrazione dei sistemi di solidarietà, rappresentano dal trattato di Amsterdam in avanti e passando per la cd. Agenda di Lisbona obiettivi prioritari dell'Unione, ma soprattutto il ricordato regolamento 859/2003, nel definire un importante intervento normativo proprio in materia di sicurezza sociale e proprio nei riguardi dei cittadini non comunitari (in sostanziale continuità con la direttiva 2003/109 relativa allo status dei cittadini dei paesi terzi soggiornanti di lungo periodo), configura un ulteriore tassello di una generale cittadinanza sociale, già abbozzata dalla direttiva 2000/43/CE sul principio di non discriminazione fondata su razza ed origine etnica, attuata in Italia dal d.lgs. 215/2003, in entrambi i quali è esplicito il riferimento alle "prestazioni sociali" (nonché ad altri aspetti non-lavoristici attinenti alla cittadinanza generalmente intesa).

15. Va, d'altro canto, rilevato come la medesima dottrina, che ritiene eccessivamente disinvolti taluni passaggi interpretativi che mettono sul medesimo piano il modello comunitario e quello Cedu (quali ad es. contenuti in Cass. pen. 10.7.93, Medrano, ed in App. Roma 11.4.2002, in Riv. crit. dir. lav., 2002, 1059), valuti altrettanto «scorretto ... derivare dal semplicistico confronto tra modello comunitario e modello CEDU l'assenza, in quest'ultimo, della supremazia delle norme nonché di meccanismi idonei ad attribuire alle sentenze della Corte di Strasburgo la "diretta vincolatività per il giudice interno" valevole, invece, per le sentenze della Corte di Giustizia».

16. In conclusione sia la "interferenza virtuosa" tra ordinamenti giuridici - tutti, com'è pacifico, accolti nell'ordinamento italiano - attraverso il ricordato richiamo della Convenzione del 1950 da parte dell'art. 6 Tue e l'opera della giurisprudenza delle Corti di Lussemburgo e di Strasburgo sia il rinvenimento nell'art. 34.2 della Carta di Nizza di un postulato valoriale (ma non soltanto, vista la "giuridificazione" di questa mediante il dialogo tra Corti sovranazionali ed anche nazionali: tra le tante v. trib. costitutional spagnolo 13.2.2006, STC 41/2006; House of Lords 28.2.2007, Dabas v. High Court of Justice Madrid), che permette di assegnare alla sicurezza sociale anche dei cittadini extracomunitari la portata di diritto fondamentale esigibile presso le Corti dell'Unione in virtù della latitudine universale del principio di eguaglianza, consentono di affermare il diritto di questi ultimi alle provvidenze economiche destinate allo scopo di assistenza dall'ordinamento nazionale, senza che siano rilevanti distinzioni dettate dal possesso di uno o altro documento di regolare soggiorno, e di disapplicare la disciplina nazionale (quale l'art. 80, co. 19, l. 388/2000) che introduca siffatte distinzioni di regime, perché radicalmente contrastante con il detto generale principio di eguaglianza ed il divieto di discriminazione per nazionalità, in ragione dell'affermato primato degli ordinamenti comunitario ed internazionale in materia.

17. L'impugnazione va, pertanto, respinta, con conferma della decisione del tribunale di Pisa, ovviamente nei limiti temporali segnati dal decesso della sig.ra [...]. La particolarità delle questioni trattate suggerisce al Collegio di ritenere integralmente compensate tra tutte le parti pubbliche e private le spese di entrambi i gradi in cui si è articolato il giudizio di merito, ad eccezione di quelle della consulenza medico-legale che, in carenza di specifico motivo di appello, restano determinate secondo la valutazione del primo giudice.

P.Q.M.

in accoglimento dell'impugnazione incidentale del Ministero ne dichiara la carenza di legittimazione passiva; rigetta l'appello principale dell'Inps; compensa per intero tra tutte le parti le spese del doppio grado, ponendo a carico solidale di Inps e Regione Toscana quelle di consulenza, nella misura liquidata dal tribunale. [...].