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25.09.2013
 
Il disegno di legge in materia di contrasto all'omofobia viene trasmesso al Senato
 

La proposta di legge “Disposizioni in materia di contrasto dell'omofobia e della transfobia  è stata approvata alla Camera dei Deputati lo scorso 19 settembre ed è stata trasmessa il giorno dopo al Senato della Repubblica.

Il testo approvato dalla Camera dei Deputati prevede innanzitutto la modifica all’art. 3 della  legge 13 ottobre 1975, n. 654 (la c.d. “Legge Reale” di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966), inserendo tra le condotte di istigazione, violenza e associazione finalizzata alla discriminazione anche quelle fondate sull'omofobia o sulla transfobia. Conseguentemente, il provvedimento prevede la punizione  con la reclusione fino a un anno e 6 mesi o la multa fino a 6.000 euro chi «istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi» fondati sull'omofobia o transfobia; con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chi in qualsiasi modo «istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi» fondati sull'omofobia o transfobia; con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque partecipa - o presta assistenza - ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi fondati sull'omofobia o transfobia. La pena per coloro che le promuovono o dirigono è la reclusione da 1 a 6 anni.

Nel corso del dibattito in aula, tuttavia, è stato approvato un emendamento,  secondo cui  ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all'odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all'interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all'attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni”.

L’ASGI ha espresso perplessità rispetto a tale emendamento perchè suscettibile di introdurre elementi di forte ambiguità –contrari peraltro ai principi di tassatività della norma giuridica penale -nella effettiva possibilità di perseguire penalmente  forme di istigazione alla discriminazione che, pur non facendo  ricorso ad un linguaggio esplicitamente inneggiante all’odio o alla violenza, pur sempre esprimano sentimenti di rigetto,  pregiudizio  e di ostilità nei confronti di determinati gruppi sociali identificati secondo le categorie ‘protette’ dalla norma . Se così fosse, l’Italia verrebbe meno ai suoi obblighi derivanti dall’adesione e ratifica alla Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale che richiede agli Stati membri  di reprimere penalmente tra l’altro l’incitamento alla discriminazione razziale, non solo dotandosi di  norme penali appropriate,  ma anche applicandole effettivamente (“To satisfy these obligations, State parties have not only to enact appropriate legislation but also to ensure that it is effectively enforced” Committee on the Elimination of Racial Discrimination, General Recommendation XV on art. 4 adopted by the Committee at its forty-second session (1993)).

Ugualmente, non si ravvede la necessità e l’opportunità  di definire un’eccezione dall’applicabilità della norma penale in materia di contrasto a forme di hate speech  per le ‘organizzazioni di tendenza’. Innanzitutto queste  già godono  di particolari forme di esenzione dall’applicazione delle normative antidiscriminatorie nell’ ambito civile della regolamentazione delle  relazioni lavorative in virtù delle norme applicative della direttiva n. 2000/78 (direttiva “Occupazione”). Inoltre, la giurisprudenza  della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, nonchè la casistica del Comitato ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, chiamato a monitorare l’applicazione dell’apposita  Convenzione, hanno chiarito come un giusto bilanciamento tra principio di libertà di espressione e limiti alla medesima per effetto del divieto di  incitamento all’odio razziale o verso altri  gruppi sociali può certamente richiedere una maggiore tolleranza verso affermazioni “provocatorie”  o forme di “esagerazione” espresse da esponenti politici nell’ambito di dibattiti pubblici su questioni generali che possono riguardare anche le politiche migratorie , ma senza mai  giungere ad una assoluta garanzia di “impunità” a favore ad es. di  organizzazioni o esponenti politici,  restando invece punibili le dichiarazioni pubbliche che esprimano e siano suscettibili di suscitare sentimenti di avversione e di ostilità verso comunità o minoranze etniche, nazionali o religiose o sociali (si veda ad es. CEDU,  decisione 20 aprile 2010,  Le Pen c. Francia, causa n. 18788/09;  sentenza  16 luglio 2009, Féret c. Belgio; sentenza 22 ottobre 2007, Lindon Otcvhakovsky-Laurens July c. Francia; e,  per quanto riguarda il CERD, Kamal Quereshi  v. Denmark , communication  No. 27/2002, Opinion of 19 August 2003;  P.S.N.  v. Denmark , communication No. 36/2006, Decision  of 8 August 2007;  A.W.R.A.P.  v.Denmark ,  communication No. 37/2006, Opinion of 8 August  2007; Saada Mohamad Adan  v. Denmark , communication No. 43/2008, Opinion  of 13 August 2010; Ahmed Farah Jama v. Denmark, communication n. 41/2008, of 21 August 2009).

Se venisse  definitivamente approvato, l’emendamento introdotto nella proposta di legge in materia di contrasto all’omofobia rischierebbe dunque di sottrarre il nostro Paese dai suoi obblighi derivanti dall’adesione e ratifica alla Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, ponendo dunque un problema di incostituzionalità del provvedimento per violazione dell’art. 117 c. 1 della Costituzione, come già evidenziato da diversi giuristi (si veda in proposito il commento dell’avv. Dimitri Lioi, apparso sul blog: http://www.dimitrilioi.it/?p=532, e quello dell’avv. Luca Morassutto, apparso sul sito di ‘Questione Giustizia’ (MD).

L’introduzione di un tale emendamento non pare nemmeno una scelta appropriata ed opportuna   nel momento in cui  il  Consiglio europeo si appresta  entro la fine del novembre 2013 a valutare il comportamento degli Stati membri UE nella lotta al razzismo e alla xenofobia, nell’ambito innanzitutto delle misure adottate o in vigore per conformarsi alle disposizioni della Decisione quadro  2008/913/EC  del 28 novembre 2009 sulla lotta contro talune forme di espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

Apprezzabile, invece, il fatto che nel corso del dibattito in aula sia  stato approvato un emendamento all’art. 3 c. 1 del d..l 26 aprile 1993, n 122, convertito nella legge 205/1993,  per cui la finalità o motivazione omofobica o transfobica nella commissione di un reato diventerebbe una circostanza aggravante ai fini della previsione della pena, in linea con quanto auspicato dalla  Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (2010)5 e con l’evoluzione già avvenuta nella normativa di  più della metà dei Paesi membri dell’Unione europea.

La proposta di legge intende, infine,  modificare il titolo e la rubrica dell'art. 1 della c.d. legge Mancino (Legge 205/1993), chiarendo che sono applicate anche ai condannati per una delle fattispecie precedenti - ovvero a seguito di condotta fondata sull'omofobia o transfobia - le pene accessorie previste dalla stessa legge Mancino (obbligo di prestare un'attività non retribuita a favore della collettività; obbligo di permanenza in casa entro orari determinati; sospensione della patente di guida o del passaporto, nonché del divieto di detenzione di armi e del divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale).

a cura del servizio antdiscriminazioni dell'ASGI



Il testo del disegno di legge, nella versiona approvata dalla Camera dei Deputati il 19 settembre scorso: 


Art. 1.

(Modifiche alla legge 13 ottobre 1975, n. 654, e al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122)

1. All'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettere a) e b), sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o fondati sull'omofobia o sulla transfobia»;

b) al comma 3, primo periodo, dopo le parole: «o religiosi» sono aggiunte le seguenti: «o fondati sull'omofobia o sulla transfobia»;

c) dopo il comma 3 è aggiunto il seguente:

«3-bis. Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all'odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all'interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all'attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni».

2. Al decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al titolo, dopo le parole: «e religiosa» sono aggiunte le seguenti: «ovvero fondata sull'omofobia o sulla transfobia»;

b) alla rubrica dell'articolo 1, dopo le parole: «o religiosi» sono aggiunte le seguenti: «ovvero fondati sull'omofobia o sulla transfobia»;

c) all'articolo 3, comma 1, le parole: «o religioso» sono sostituite dalle seguenti: «, religioso o fondati sull'omofobia o transfobia».

Art. 2.

(Statistiche sulle discriminazioni e sulla violenza)

1. Ai fini della verifica dell'applicazione della presente legge e della progettazione e della realizzazione di politiche di contrasto della discriminazione e della violenza di matrice xenofoba, antisemita, omofobica e transfobica e del monitoraggio delle politiche di prevenzione, l'Istituto nazionale di statistica, nell'ambito delle proprie risorse e competenze istituzionali, assicura lo svolgimento di una rilevazione statistica sulle discriminazioni e sulla violenza che ne misuri le caratteristiche fondamentali e individui i soggetti più esposti al rischio con cadenza almeno quadriennale.