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04.07.2013
 
Diritto antidiscriminatorio: Importante pronuncia sull'obbligo di adattamento ragionevole della posizione lavorativa in favore del lavoratore disabile
 

Il Tribunale di Bologna, sezione lavoro, con ordinanza dd. 18 giugno 2013 (R.G. Lav. 171/2013) ha accolto il ricorso anti-discriminazione presentato da un infermiere professionale  che, dopo aver vinto un  bando di concorso pubblico presso un’Azienda ospedaliera di Bologna, per la copertura di un posto a tempo determinato di durata semestrale, non si è visto concludere il contratto a seguito delle prove mediche di idoneità, che  avevano accertato la necessità di evitare il lavoro notturno in ragione di una patologia di ‘epilessia notturna’. Posto che tra i requisiti previsti dal bando vi era ‘l’incondizionata idoneità fisica specifica alle mansioni del profilo’, l’Azienda ospedaliera ha ritenuto di non concludere il contratto di assunzione, non potendo il ricorrente svolgere i turni di lavoro notturno.

Il giudice del lavoro di Bologna ha accolto il ricorso dell’infermiere professionale, ritenendo che la mancata assunzione dell’infermiere professionale in ragione  soltanto della sua patologia, abbia sostanziato un comportamento discriminatorio fondato sulla ‘disabilità’ vietato dalla direttiva europea n. 2000/78 e dalla legge di ratifica della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Di conseguenza, il giudice ha condannato l’Azienda Ospedaliera al risarcimento del danno patrimoniale commisurato alle retribuzioni perdute a seguito della mancata assunzione per il semestre, nonchè al pagamento delle spese legali.

Il provvedimento del giudice di Bologna è particolarmente importante perchè si tratta della prima pronuncia giurisprudenziale nazionale in tema di discriminazioni fondate sulla disabilità, nella quale viene fatto riferimento alle definizioni di ‘disabilità’ e di ‘soluzioni ragionevoli’ di accomodamento delle posizioni lavorative a favore dei disabili proprie del diritto dell’Unione europea e, nello specifico, della direttiva n. 2000/78.

Il giudice di Bologna, infatti, ha fatto esplicito riferimento alla recente sentenza della Corte di Giustizia europea dd. 11 aprile 2013, resa nelle cause riunite C-335/11 e  C- 337/11, ove i giudici di  Lussemburgo hanno  fornito alcune importanti interpretazioni delle norme contenute nella direttiva n. 2000/78, che prevede il divieto di discriminazioni fondate tra l’altro sul fattore ‘disabilità’ nel settore dell’occupazione.

Innanzitutto, i giudici di Lussemburgo hanno chiarito che una malattia curabile o cronica che comporti una limitazione fisica, mentale o psichica può essere assimilata ad una ‘disabilità’, ai sensi della direttiva 2000/78. Inoltre, la Corte di Giustizia ha affermato che la direttiva 2000/78 deve essere interpretata alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Unione europea. Nel caso in specie, la Corte ha affermato che un datore di lavoro  non può licenziare un lavoratore per sopraggiunto limite del numero massimo di assenze per malattia in un determinato periodo di tempo, nel caso in cui tali assenze siano state la conseguenza dell’omessa adozione da parte dello stesso datore di lavoro delle misure di adattamento adeguate e ragionevoli, per consentire al lavoratore disabile di lavorare. La riduzione dell’orario di lavoro può essere considerata come una misura di adattamento che il datore di lavoro deve adottare per consentire ad una persona disabile di lavorare.

Alla luce di tali conclusioni dei giudici della Corte europea,  il giudice del lavoro di Bologna ha ritenuto che la patologia di cui l’infermiere professionale in oggetto era affetto, per il suo carattere duraturo e non transeunte, fosse riconducibile al concetto ampio di ‘handicap’, nella sua definizione comunitaria, che deve essere interpretata in linea con la definizione posta nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, alla luce del fatto che a detta Convenzione  ha dato autonoma adesione anche l’Unione europea, per effetto della decisione del  Consiglio Europeo del 26 novembre 2009 (G.U. UE 27.1.2010 L/35), e successiva ratifica avvenuta il 23 dicembre 2010, per cui la Convenzione ONU non è solo strumento di diritto internazionale pattizio, ma è divenuta parte integrante del diritto dell’Unione europea.

Posto dunque che la vicenda dell’infermiere professionale affetto da ‘epilessia notturna’ ricadeva entro la sfera applicativa della direttiva europea 2000/78, tanto ratione personae, quanto ratione materiae, in quanto l’art. 3 della direttiva estende il suo campo di applicazione anche ai criteri di assunzione e alle condizioni di assunzione il giudice del lavoro di Bologna ha ritenuto che dovesse trovare applicazione l’art. 5 della direttiva medesima che obbliga il datore di lavoro ad adottare ‘soluzioni ragionevoli’ per i disabili, prendendo i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Il giudice del lavoro ha ritenuto di diretta applicazione nell’ordinamento interno tale obbligo di ‘soluzioni ragionevoli’, posto dalla normativa europea, sebbene sia noto come nella normativa interna di trasposizione, il d.lgs. n. 216/2003 e successive modifiche,  il legislatore italiano non abbia recepito l’art. 5 della direttiva europea, fatto questo che ha determinato l’avvio da parte della  Commissione europea di un procedimento di infrazione del diritto UE nei confronti della Repubblica Italiana tuttora pendente di fronte alla Corte di Giustizia europea (Caso C- 312/11 dd. 20 giugno 2011, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea dd. 30.07.2011 C-226/19).

Il giudice di Bologna, peraltro, giustamente fonda l’obbligo del datore di lavoro di prendere i provvedimenti necessari per assicurare ‘soluzioni ragionevoli’ di adattamento della posizione lavorativa a favore del disabile anche sul richiamo agli analoghi concetti posti dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, in particolare all’art. 2, quarto comma, e più in generale, alla definizione ‘sociale’ di disabilità cui essa si ispira, per cui la disabilità è una  condizione risultante dall’interazione tra durature menomazioni di natura fisica,  mentale, intellettuale o sensoriale, delle persone e le barriere attitudinali e ambientali che impediscono l’effettiva partecipazione nella società su basi di eguaglianza con gli altri dei soggetti interessati.

Applicando tali criteri interpretativi al caso concreto in questione, il giudice del lavoro di Bologna conclude che l’Azienda Ospedaliera di Bologna, nel negare l’assunzione dell’infermiere professionale solo in ragione della  patologia di ‘epilessia notturna’ cui quest’ultimo è affetto,   è venuta meno all’obbligo di assicurare al lavoratore disabile un accomodamento ragionevole della posizione lavorativa in quanto, in ragione tanto della tipologia del posto di lavoro in esame (un contratto a termine di sei mesi), quanto del contesto lavorativo (un’Azienda ospedaliera con oltre 4.000 dipendenti come personale ospedaliero), non appariva un onere organizzativo sproporzionato  o eccessivo per il datore di lavoro assicurare al lavoratore disabile di essere impiegato  in turni di lavoro esclusivamente nelle dodici ore diurne.

Accertando il carattere discriminatorio del comportamento dell’Azienda Ospedaliera, e non essendo praticabile  il rimedio ‘reale’ alla discriminazione consistente nell’effettiva assunzione del ricorrente, essendo il bando scaduto e risultando restrizioni per le nuove assunzioni, il giudice dunque ha ordinato il risarcimento del danno patrimoniale subito dal ricorrente, rappresentato dalle retribuzioni cui egli avrebbe avuto diritto se fosse stato ammesso in servizio.

commento a cura di Walter Citti, servizio antidiscriminazioni ASGI.

Si ringrazia per la segnalazione l’avv. Caterina Burgisano, del Foro di Bologna.