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20.04.2013
 
Diritto antidiscriminatorio. CGUE: sentenza interpretativa del divieto di discriminazioni nei confronti delle persone disabili nel settore dell’occupazione (direttiva 2000/78)
 

Con la sentenza del 11 aprile 2013, resa nelle cause riunite C-335/11 e  C- 337/11, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha fornito alcune importanti interpretazioni delle norme contenute nella direttiva n. 2000/78, che prevede il divieto di discriminazioni fondate tra l’altro sul fattore ‘disabilità’ nel settore dell’occupazione.

Innanzitutto, i giudici di Lussemburgo hanno chiarito che una malattia curabile o cronica che comporti una limitazione fisica, mentale o psichica può essere assimilata ad una ‘disabilità’, ai sensi della direttiva 2000/78. Inoltre, la Corte di Giustizia ha affermato che la direttiva 2000/78 deve essere interpretata alla luce della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Unione europea. Nel caso in specie, la Corte ha affermato che un datore di lavoro  non può licenziare un lavoratore per sopraggiunto limite del numero massimo di assenze per malattia in un determinato periodo di tempo, nel caso in cui tali assenze siano state la conseguenza dell’omessa adozione da parte dello stesso datore di lavoro delle misure di adattamento adeguate e ragionevoli, per consentire al lavoratore disabile di lavorare. La riduzione dell’orario di lavoro può essere considerata come una misura di adattamento che il datore di lavoro deve adottare per consentire ad una persona disabile di lavorare.

La sentenza della CGUE è particolarmente importante anche per il nostro Paese per il  fatto che il legislatore italiano, nel trasporre la Direttiva n 2000/78 con il d.lgs. n. 216/2003 e successive modifiche, ha omesso di prevedere norme che applichino integralmente e con portata  generale tanto il concetto di ‘disabilità’ secondo l’autonoma nozione del diritto UE, quanto  il principio delle soluzioni ragionevoli (reasonable accomodation) per i disabili di cui all’art. 5 della direttiva. Ne consegue che in Italia, allo stato attuale  la protezione dei disabili nel settore lavorativo non ha portata generale secondo la nozione comunitaria di disabilità prevista dal diritto comunitario, bensì concerne solo quelli che ottengono lo specifico riconoscimento previsto dalla legge interna n. 68/99 con riferimento alla quote di capacità lavorativa residua inferiore al 55% o al 70% per i disabili da infortunio sul lavoro. Ugualmente l’obbligo di ragionevole adattamento delle posizioni lavorative alla condizioni dei lavoratori disabili non ha portata generale, così come richiesto dalla direttiva 2000/78, bensì riguarda solo taluni datori di lavoro e non concerne  tutti gli aspetti della relazione di impiego, incluso quello dell’accesso all’impiego, ovvero della selezione e del reclutamento del personale.

Per  tali ragioni, la Commissione europea ha avviato nei confronti della Repubblica Italiana un procedimento di infrazione del diritto UE di fronte alla Corte di Giustizia europea (Caso C- 312/11 dd. 20 giugno 2011, in Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea dd. 30.07.2011 C-226/19).

a cura di Walter Citti,  del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.