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28.03.2013
 
La Corte di Appello di Brescia ribadisce il carattere discriminatorio della richiesta di esibizione del permesso di soggiorno ai fini delle pubblicazioni di matrimonio da parte del Comune di Chiari
 

La Corte di Appello di Brescia,  con la sentenza n. 311/2013 del 18 marzo 2013, ha respinto il ricorso in appello presentato dal Comune di Chiari contro l’ordinanza  pronunciata in primo grado dal Tribunale di Brescia (n. 488/2012 dd. 11.04.2012) che, nell’accogliere il ricorso presentato da ASGI e Fondazione Guido Piccini per i diritti dell’Uomo ONLUS,  aveva accertato il carattere discriminatorio dell’atto del 20 settembre 2011 del  Comune del Bresciano avente per oggetto “Pubblicazioni di matrimonio”. Tale ordinanza, nel disciplinare la procedura che doveva essere seguita dagli stranieri, disponeva l’obbligo per questi di produrre il permesso di soggiorno.

Con la sentenza ora depositata, la Corte di Appello di Brescia ricorda che i compiti del Sindaco come ufficiale di Stato civile sono strettamente applicativi delle norme vigenti in tema di stato civile, senza alcun margine di discrezionalità amministrativa, in quanto il Sindaco agisce come ufficiale di governo ed esecutore di direttive ministeriali. Pertanto, la Corte di Appello di Brescia rileva che, nell’emanare l’atto con il quale le pubblicazioni di matrimonio dello straniero venivano essere subordinate all’esibizione del permesso di soggiorno, il Sindaco di Chiari aveva chiaramente esorbitato dalle sue funzioni di ufficiale di governo in quanto aveva consapevolmente ignorato le direttive ministeriali seguite alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 245/11, che aveva dichiarato incostituzionale parzialmente l’art. 116 c.c., così come era stato emendato dalla legge n. 94/2009.

La sentenza della Corte di Appello di Brescia respinge anche la motivazione addotta nell’appello del Comune di Chiari, secondo cui le associazioni ricorrenti non sarebbero state legittimate ad agire in quanto il ricorso aveva per oggetto un trattamento differenziato fondato sulla nazionalità e non sull’appartenenza etnico-razziale. Al riguardo, i giudici di Brescia sottolineano come il decreto legislativo n. 215/2003 di recepimento della direttiva europea n. 2000/43 contro le discriminazioni fondate sull’elemento etnico-razziale, che contempla la legittimazione ad agire delle associazioni iscritte in un apposito registro nei casi di discriminazione aventi natura collettiva, fa salve le disposizioni precedenti contenute nel T.U. immigrazione che riguardano anche il contrasto alle discriminazioni fondate sulla nazionalità (cittadinanza). Ne consegue, secondo i giudici di Brescia, che la legittimazione attiva delle associazioni deve ritenersi estensibile anche ai casi di discriminazione che riguardano lo straniero in generale.

Il Comune di Chiari è stato condannato al pagamento delle spese processuali.

 

A cura del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.