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23.01.2013
 
Tribunale di Verona: La pensione di inabilità e l’indennità di accompagnamento non possono essere subordinate al requisito del permesso di soggiorno per lungosoggiornanti
 

Il giudice del lavoro del Tribunale di Verona, con sentenza dd. 16 gennaio 2013 (causa n. 1670/2012 RG), ha accolto il ricorso presentato da una cittadina straniera con totale e permanente inabilità al lavoro avverso l’INPS per la mancata corresponsione della pensione di inabilità civile e dell’indennità di accompagnamento in ragione del mancato possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti previsto dall’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000.

Il giudice del lavoro di Verona ha fatto riferimento alle pronunce della Corte Costituzionale, con le quali è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 80 c. 19 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 che ha previsto per i cittadini di Paesi terzi non membri UE il requisito della carta di soggiorno o permesso CE per lungo soggiornanti ai fini dell’accesso alla prestazioni di assistenza sociale previste quali diritti soggettivi dalla legislazione nazionale, incluse quelle per disabilità. Facendo riferimento alle sentenze della Corte n. 306/2008 e 11/2009, il giudice di Verona ha rilevato come la Consulta abbia evidenziato l’irragionevolezza dell’esclusione di stranieri regolarmente soggiornanti da prestazioni di assistenza sociale legate al soddisfacimento di un diritto fondamentale quale quello alla salute e come tale spettante a tutti i residenti, senza distinzioni fondate sulla nazionalità o sull’anzianità di residenza, con l’unico limite della dimostrazione da parte dello straniero di un titolo di soggiorno che dimostri il carattere non episodico e non temporaneo della sua permanenza in Italia. Nel caso in specie, la ricorrente ha esibito copia dei permessi di soggiorno  relativi ai periodi 24 giugno 2011 fino al 4 giugno 2012 e dal 28 febbraio 2012 al 10 maggio 2014.

Più discutibile invece la decisione del giudice di Verona di applicare nel procedimento le regole proprie del rito del lavoro ex art. 442 c.p.c.  piuttosto che quelle relative al rito specifico previsto per le azioni giudiziarie antidiscriminazione di cui all’art. 28 d.lgs. n. 150/2011 (rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c.).

Se, infatti, il diniego ad un bene della vita (ad es. una prestazione sociale) è basato su un fattore vietato da  una norma nazionale o comunitaria che stabilisce la parità di trattamento, ovvero sulla base di una decisione  discriminatoria, allora dovrebbe trovare applicazione il rito speciale previsto dall’azione giudiziaria antidiscriminatoria, quale  strumento processuale ‘tipico’ previsto in questi casi  (Cassazione,  sentenza n. 7186/2011 e 3670/2011).

In questo senso, la decisione del Tribunale di Verona appare inconsueta  nel panorama giurisprudenziale italiano.

 

A cura del  Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.