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23.04.2008
 
Rom e Sinti - Contributo di Fulvio Vassallo Paleologo
 
Non stupisce neppure la condizione di abbandono nella quale sono lasciati da oltre dieci anni i rom kosovari, serbi e montenegrini presenti nel campo ubicato a Palermo vicino allo stadio, all'interno di una zona destinata a riserva naturale.

Quel campo ha ucciso in diverse occasioni, bambini e adulti, morti per cause spesso rimaste inspiegabili, ma assai probabilmente drivanti dalle condizioni di degrado nelle quali sono abbandonati dalle istituzioni, capaci solo di colpire con i decreti di espulsione quanti non sono in regola con il permesso di soggiorno, anche se si tratta di persone gravemente malate per le quali l'allontanamento forzato dall'Italia si potrebbe trasformare in una condanna a morte.
 
Lo scorso anno, dopo tre giorni di agonia in ospedale, senza che i medici fossero riusciti a capire la ragione delle continue emorragie e poi dello stato di coma, Vera, una donna rom originaria del Montenegro, se ne era andata in una sera di pioggia. A distanza di sei mesi dalla morte di Vera il perito nominato dal tribunale non ha ancora consegnato i risultati delle sue indagini, nessuno ha ancora una spiegazione per la morte di Vera, dopo giorni di inutili ricerche da parte dei medici ai quali si era rivolta.
 
Adesso con le misure annunciate dai vincitori delle ultime elezioni si potranno attendere altre deportazioni di massa, non solo oltre i confini delle città, ma anche nei paesi di provenienza, come nel caso dei Rom espulsi da Rutelli a Roma nel 2000, e poi risarciti dal governo Berlusconi dopo l'intervento della Corte europea dei diritti dell'uomo.
 
Forse riusciranno ad espellere anche la famiglia di Vera prima che sia stato possibile accertare la verità.
Il silenzio delle istituzioni ed i ritardi nell'accertamento delle cause della morte di Vera contribuiranno in qualche piccola misura ad accrescere ulteriormente la segregazione dei Rom. Il fratello di Vera nel frattempo ha ricevuto un decreto di espulsione da parte della Questura di Palermo perché non ha rinnovato tempestivamente il permesso di soggiorno scaduto proprio nei giorni in cui Vera era agonizzante in ospedale. Intanto le condizioni igieniche nel quale il campo rom di Palermo è tenuto da anni, rimangono immutate, e rischiano di produrre altri decessi, per il divieto di qualsiasi intervento strutturale da parte degli enti locali e della Prefettura.Non si contano più i decessi per tumori e malattie gastrointestinali. Malgrado l'impegno di poche associazioni che hanno ottenuto il risultato della scolarizzazione della maggior parte dei minori, che non vanno più a chiedere l'elemosina per strada, le istituzioni locali si limitano a minacciare periodicamente il trasferimento del campo, di fatto una deportazione forzata, senza proporre però soluzioni concrete e condivise, da parte della popolazione locale e degli stessi rom.
 
Soltanto pochi volontari sono rimasti accanto alla famiglia di Vera, al fratello, difeso dall'Avv. Giorgio Bisagna, alla nipotina che la vedeva come la mamma che aveva perduto appena nata, alla nonna di ottantacinque anni, una delle poche donne rom che sono arrivate a questa età a Palermo, che adesso è sempre più ammalata e vuole soltanto seguire sua figlia nella morte. Resteremo a fianco dei Rom di Palermo perché sappiamo che presto tutto potrà andare ancora peggio di prima, con le minacce di sgombero, con le incursioni della polizia e dei carabinieri, che avevano perquisito inutilmente la povera baracca di Vera pochi giorni prima della sua morte, in cerca di chissà che cosa, con la incapacità delle istituzioni nel trovare una soluzione dignitosa per la nuova ubicazione del campo, con le piccole clientele alimentate ad arte per gestire il malcontento e la disillusione dei rom.
 
In attesa di qualche miracolosa "pulizia etnica", di un altro patto per la sicurezza, per l'allontanamento dei rom fuori dai confini cittadini e per la espulsione di tutti coloro che sono privi di permesso di soggiorno, anche se questo significherà la separazione dei figli dai padri e dalle madri che tra loro non sono uniti da matrimoni validi per lo stato italiano. Espulsioni a valanga, esattamente come voluto ieri dal vecchio governo ed oggi con misure che si annunciano razziste ed incostituzionali da parte dei nuovi governanti del nostro sfortunato paese, un modo per tranquillizzare la vacillante percezione della sicurezza dell'opinione pubblica italiana.
Non importa se la logica del campo, ed i silenzi delle istituzioni, alternati ad interventi di stampo meramente repressivo, uccidano ancora, come continua a succedere a Palermo.
Quella che si annuncia nei prossimi giorni in Italia è una vera e propria gara tra sindaci di ogni colore e prefetti per cacciare dalle città i gruppi di immigrati ritenuti più pericolosi per la sicurezza dei cittadini. Intanto nessuna seria misura per legalizzare l'ingresso ed il soggiorno dei migranti in Italia, nessuna risorsa trasferita dalle misure di accompagnamento forzato agli strumenti di integrazione, nessun serio progetto per il popolo rom residente da anni in Italia, composto adesso, in parte, anche da cittadini comunitari. Quella stessa opportunità di difesa legale , fino alla Corte Europea dei diritti dell'uomo, garantita allora ai rom deportati nel 2000 in Bosnia va oggi assicurata a tutti i Rom che nei prossimi giorni saranno oggetto di operazioni di delocalizzazione, di fatto vere e proprie deportazioni, in nome di quella parte dell'opinione pubblica che, dopo la enfatizzazione di gravi ma isolati fatti di cronaca, reclama la applicazione della legge del taglione.
Di fronte all'offensiva mediatica e politica che reclama sempre e soltanto sicurezza, si registrano troppo silenzi e troppe interessate complicità. Il silenzio sulle cause della morte di Vera non è soltanto un normale ritardo burocratico, corrisponde al modo nel quale le istituzioni trattano i rom, considerati come esseri umani di serie zeta.
A questi colpevoli ritardi occorre reagire con la memoria, con una nuova capacità di comunicare con l'opinione pubblica, anche attraverso strumenti di informazione autogestiti, accrescendo ovunque la capacità di mobilitazione.
Contro la xenofobia dilagante occorre immaginarsi e praticare un nuovo movimento antirazzista capace di difendere insieme i diritti dei migranti ed i diritti delle fasce sociali più deboli.
Un percorso che va oltre le leggi contro la discriminazione razziale, i governi e forse anche oltre le forme di aggregazione, di rappresentanza e di comunicazione che noi stessi siamo riusciti a praticare finora.
 
Fulvio Vassallo Paleologo
Università degli studi di Palermo