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03.10.2012
 
Nuovi aspetti della detenzione amministrativa dentro e fuori i CIE
 


Si ringrazia Fulvio Vassallo Paleologo

Questa volta eravamo stati prima in prefettura, con l’on. Alessandra Siragusa, per verificare che le procedure irregolari di convalida del trattenimento, segnalate nelle precedenti visite a maggio ed a giugno fossero cessate, come alcuni avvocati ci avevano detto. Ed in effetti adesso sembra che le convalide delle proroghe dei trattenimenti si facciano alla presenza delle persone interessate e non siano più quelle proroghe “cartacee” sanzionate anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 4544 del 2010, senza la presenza dell’immigrato e senza la possibilità di esercitare un effettivo diritto di difesa. Intanto a Trapani è cambiato il dirigente dell’ufficio immigrazione, è in corso una indagine della magistratura sulle violenze commesse dalla polizia durante uno dei tanti tentativi di fuga, un caso le cui immagini sono finite in diversi siti internet e che non si poteva più ignorare, e sembra che i giudici di pace si rechino all’interno del centro, senza limitarsi a svolgere le convalide dei trattenimenti in tribunale senza la presenza dell’immigrato. 
Questo tuttavia non ha impedito di trovare all’interno del CIE cinque persone di nazionalità tunisina che asserivano di non avere mai visto un giudice di pace ed anzi lamentavano che altri arrivati a Milo alla fine di luglio erano stati rimessi in libertà per la mancata convalida nei termini di legge ( 48 ore per la comunicazione al giudice e altre 48 ore per la convalida), termini sanciti addirittura dall’art. 13 della Costituzione, ma ignorati da sempre nei CIE italiani. Si dovrà verificare adesso la loro posizione, ma intanto è certo che la maggior parte delle persone sbarcate quest’anno e poi respinte in base all’art. 10 comma 1 ( respingimento immediato) del T.U. sull’immigrazione, magari dopo giorni dall’ingresso nel territorio e di detenzione amministrativa informale in centri di accoglienza a porte chiuse, con la complicità delle autorità consolari dei paesi di origine, non hanno visto uno straccio di provvedimento né hanno potuto fare valere una richiesta di asilo o i loro diritti di difesa. Un escamotage inventato da qualche esperto del ministero dell’interno per evitare l’applicazione della Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, che sembrerebbe escludere dal suo campo di applicazione i respingimenti immediati. La direttiva non precisa se sono esclusi solo i respingimenti immediati in frontiera, ed a livello europeo forse era fin troppo difficile cogliere la peculiarità del respingimento differito disposto dal questore, che può essere eseguito anche mesi dopo l’ingresso irregolare nel territorio dello stato, dopo mesi di trattenimento amministrativo nei CIE, esattamente come nel caso di una comune espulsione amministrativa disposta dal prefetto. Un istituto quello del respingimento differito ex art. 10 comma 2 del testo unico sull’immigrazione, che consente gli spazi più ampi alla discrezionalità amministrativa anche perché la norma che lo contiene non disciplina neppure i mezzi di ricorso, ed a lungo sia i giudici di pace che i tribunali amministrativi hanno negato la loro competenza, al punto che si è negato agli immigrati qualunque diritto di difesa. Dopo che alcuni giudici di pace hanno cominciato ad annullare provvedimenti di respingimento differito, come lo scorso anno ad Agrigento, ecco il ricorso ai respingimenti immediati ex art. 10 comma 1 del T.U. 286 del 1998, senza alcun provvedimento del questore, come una mera prassi di polizia, ma con il trattenimento in strutture informali e non nei CIE, senza alcuna convalida del magistrato, peggio senza che sia neppure comunicato il trattenimento ad un magistrato. In questi casi si tratta di persone entrate e trattenute per giorni in luoghi diversi da CIE sotto stretta sorveglianza di polizia, come capannoni nella zona portuale soggetta a controllo militare, senza uno straccio di provvedimento che possa essere almeno impugnato, per essere poi accompagnate in aeroporto e dopo l’identificazione del console del paese di ( presunta) provenienza, imbarcate sull’aereo e rispedite in patria.

Una detenzione “in incommunicado” vietata dalla legge e dal Regolamento Frontiere Schengen del 2006, che impone formalità e garanzie precise per i respingimenti in frontiera, che però è frutto degli accordi negoziati da Maroni a Tunisi lo scorso anno, il 5 aprile, quando si convenne di fare partire dall’Italia con cadenza settimanale due voli di rimpatrio diretto verso la Tunisia, senza attendere il riconoscimento individuale delle persone, ma solo sulla base dell’attestazione di nazionalità da parte di un console, magari nello stesso aeroporto di Palermo nel quale era già pronto l’aereo di ritorno con i motori accesi. Solo che siccome la sommarietà non esclude gli errori, ecco l’altra novità di ieri, di solito dai centri di prima accoglienza/detenzione all’aeroporto di Punta Raisi di Palermo viene portato un numero superiore di persone destinate al rimpatrio, e quelli che il console non riconosce, o non vuole riconoscere, quelli allora vengono portati nel Cie di Milo o trasferiti in altri CIE. E la roulette russa si può ripetere all’infinito. Un cittadino marocchino rinchiuso ieri nel CIE di Milo ha raccontato di essere stato portato sei volte davanti ad un console senza essere mai riconosciuto e quindi rimpatriato.

Evidente, già a partire da queste prassi di polizia ,e dallo schieramento di un cordone da ordine pubblico, lo stato di tensione che si respira nel centro. A differenza di giugno le sbarre dei portoni di ferro sono affumicate dal fuoco, e alcuni immigrati mostrano segni di pestaggi in fase di riassorbimento, forse la fase più calda delle fughe che si colloca tra luglio ed agosto, ma ancora in questi giorni le contestazioni sono violente e per la prima volta la nostra visita all’interno delle gabbie si è svolta, contro la nostra volontà, sotto scorta di un gruppo di poliziotti schierati tra noi e la porta di ingresso della gabbia con scudi, manganelli e visiera. Sembra che le fughe siano state tantissime, alcune sono riuscite e sono state fughe di massa, in altri casi quasi tutti gli immigrati sono stati ripresi. Decisivo in questo caso l’intervento dei pattuglioni antisommossa di stanza a Trapani, alloggiati in albergo e chiamati ad intervenire quando la tensione sale o si verificano fughe. Ieri nel gabbiotto di guardia all’ingresso si vedevano ammucchiati decine di zaini degli agenti di polizia, come se fossero arrivati in massa poco prima della nostra visita. Forse si temeva una sommossa o l’ennesimo tentativo di fuga. Certo l’esasperazione era tanta, anche perché molti immigrati non sapevano assolutamente quale sarebbe stato il loro destino ed erano costretti ad attendere il passare dei giorni senza avere assolutamente nulla da fare.

In queste condizioni le informazioni che abbiamo potuto assumere sui casi individuali sono state lacunose, all’inizio nessuno voleva parlare con noi, evidentemente avevano ricevuto tante altre visite di persone che volevano solo sapere qualcosa senza offrire alcuna possibilità di difesa. Poi, una volta rotto il muro della diffidenza, siamo stati circondati da numerosi immigrati che volevano raccontare la propria storia, raccontare -alternando protesta a rassegnazione- quello che vivevano ogni giorno, in una struttura che è ancora più disumana del vecchio Vulpitta, il vecchio CPT di Trapani, ubicato in un ospizio riadattato, ma al centro della città. Sembra che siano ancora in corso gli studi preliminari per l’ennesima ristrutturazione, in vista di una sua riapertura. Malgrado i milioni di euro spesi negli anni passati, per costruire il nuovo centro di Milo e per le continue ristrutturazioni del Vulpitta, ancora fiumi d i denaro per ristrutturare il vecchio centro che nel dicembre del 1999 era stato teatro della più grave tragedia mai verificatisi in un centro di detenzione italiano, con la morte di sei migranti, a seguito di un rogo appiccato dopo un tentativo di fuga, quando ben dodici persone erano state rinchiuse per punizione in una cella di pochi metri quadri e non si erano rinvenuti in tempo chiavi ed estintori. 
A Milo oggi molte cose sono cambiate rispetto ad allora, la struttura è nuova, ma tutto è isolamento e annientamento della personalità. Cemento, materassi per terra, pochi tavoli, quelli che abbiamo visto nuovi, evidentemente portati prima della visita, perché ci hanno detto in prefettura che gli immigrati li rompono e li utilizzano contro gli agenti nei tentativi di fuga. E poi solo muri e sbarre, non una sola occasione per trascorrere il tempo, solo pratiche di controllo, appelli continui e condizioni disumane di isolamento di persone colpevoli soltanto di non avere il documento di soggiorno o di ingresso in regola. Come dicevano molti, peggio che un carcere, si, perché a seguito della prassi dei respingimenti sommari dei tunisini ( e degli egiziani) appena sbarcati, oltre che per la riduzione oggettiva delle partenze dal nord africa ( meno di un decimo rispetto allo scorso anno), la popolazione del CIE di Milo ormai è quasi esclusivamente composta da ex detenuti, o da richiedenti asilo che hanno potuto formalizzare la loro domanda solo dopo avere ricevuto un provvedimento di respingimento ed espulsione. Come imposto dal decreto legislativo 159 del 2008 di Maroni, un provvedimento che estendeva i casi di detenzione amministrativa dei richiedenti asilo, dopo il decreto legislativo 25 del 2008 che invece attuava la direttiva comunitaria sulle procedure di asilo in modo molto più aperto. Anche se ancora ieri qualcuno riferiva di avere subito torture nei commissariati di polizia in Tunisia, o in altri paesi ritenuti a torto sicuri molte di queste domande saranno certamente rigettate e non si vede come possano essere fatti i ricorsi, a fronte dei costi ormai impossibili per un migrante, della chiusura dei consigli dell’ordine sul gratuito patrocinio e dei tempi per avvalersi di un avvocato di fiducia. 
E per quelli che manifestano l’intenzione di chiedere asilo, anche due mesi per la formalizzazione della domanda nel modello C 3 e per l’avvio della procedura presso la Commissione territoriale. Due mesi di detenzione del tutto privi di giustificazione, basati solo sul pregiudizio che tutti i richiedenti asilo sono soltanto immigrati che cercano di evitare il respingimento o l’espulsione. Una circostanza che si può anche verificare, ma che andrebbe accertata dalla Commissione territoriale, e che in nessun caso può costituire una ragione per impedire o ritardare l’accesso alla procedura quando questo significa settimane di trattenimento ingiustificato.

Molti i casi di immigrati che segnalavano di non avere più notizie del proprio avvocato d’ufficio. Malgrado il quadro idilliaco tracciato dai responsabili del nuovo consorzio di associazioni, l’Oasi di Siracusa, sui servizi di mediazione offerti a quelli che la direttrice si ostinava a definire come “ospiti”, il livello di informazione legale a disposizione di queste persone è assai modesto e le possibilità di fare valere i loro diritti rimangono assai remote. Alcuni immigrati si trovavano detenuti da oltre sei mesi, in un caso addirittura da dieci mesi, senza un motivo specifico ed individuale che giustificasse questo ulteriore prolungamento del trattenimento, accertamento richiesto caso per caso dalla Direttiva sui rimpatri 2008/115/CE che il nostro legislatore ha attuato in Italia con gravi omissioni e difformità. Casi che meriterebbero di essere portati davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, se solo si trovasse un giudice nazionale che sollevi una questione pregiudiziale ritenendola non manifestamente infondata.

In base al Considerando 16 della Direttiva comunitaria 2008/115/CE, che dopo la scadenza del termine di attuazione (25 dicembre 2010) ha acquistato una precisa portata precettiva sul piano del diritto interno, “ il ricorso al trattenimento ai fini dell’allontanamento dovrebbe essere limitato e subordinato al principio di proporzionalità con riguardo ai mezzi impiegati e agli obiettivi perseguiti. Il trattenimento è giustificato soltanto per preparare il rimpatrio o effettuare l’allontanamento e se l’uso di misure meno coercitive è insufficiente”. L’art.14 della Direttiva sui rimpatri suggella il carattere residuale della detenzione amministrativa, in quanto il trattenimento risulta applicabile solo quando “non possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive”. Nei casi in cui sia evidente la impossibilità di procedere al rimpatrio forzato, come ad esempio dopo periodi di trattenimento in carcere o nei CIE, seguiti dalla rimessione in libertà, con l’intimazione a lasciare entro 7 giorni il territorio nazionale, o quando manca la collaborazione dei consolati dei paesi di provenienza nel fornire i documenti di viaggio, la detenzione amministrativa degli stranieri irregolari rimane dunque priva di fondamento legale. La stessa Direttiva comunitaria stabilisce poi, con il Considerando 17, che i cittadini dei paesi terzi trattenuti dovrebbero essere trattati “in modo umano e dignitoso, nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali”. In base allo stesso Considerando il trattenimento dovrà avvenire «di norma» negli appositi centri di permanenza temporanei, salvi casi eccezionali in cui è data facoltà allo Stato di trattenere gli immigrati in attesa di allontanamento in un istituto penitenziario, avendo in tal caso cura di assicurare che siano ivi tenuti separati dai detenuti ordinari (art. 16 par. 1).

Secondo l’art. 15 della Direttiva comunitaria sui rimpatri, il trattenimento dell’immigrato irregolare sottoposto ad una procedura di espulsione dovrebbe avere la durata più breve possibile ed è soggetto a riesame “ad intervalli ragionevoli” su richiesta dello straniero o d’ufficio, dovendo comunque cessare allorché risulti che «non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1» (art. 15 § 4); Evidente a questo punto il contrasto tra l’art.14 dell’attuale testo unico n.286 del 1998, come novellato dal decreto legge del 17 giugno 2011 poi convertito con la legge 2 agosto 2011 n.129 e le corrispondenti previsioni vincolanti della direttiva comunitaria 2008/115/CE in materia di trattenimento e successive proroghe della detenzione amministrativa. La Direttiva 2008/115/CE, inoltre, all’art. 15 comma 4, prevede che “quando risulta che non esistano più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi”, o che non esistano più rischi di fuga o comportamenti dell’interessato contrari al rimpatrio,”il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”.

La legge 129 del 2 agosto 2011 tace volutamente su questa previsione e permette all’autorità di polizia di reiterare a discrezione la misura, con convalide successive ogni due mesi, riuscendo così a superare persino il limite massimo dei 18 mesi di detenzione amministrativa. Di fatto le previsioni della nuova legge 129 in materia di detenzione amministrativa mantengono intatto il sistema dei trattenimenti nei CIE introdotto dalla legge Turco- Napolitano nel 1998 e poi inasprito dalla legge Bossi-Fini del 2002 e dai successivi pacchetti sicurezza che a cadenza annuale hanno stravolto la disciplina dell’immigrazione in Italia. Le norme di legge vigenti in Italia e le prassi applicate rilevate fino a ieri durante la visita nel CIE di Milo appaiono in contrasto con l’art. 8 della Direttiva comunitaria 2008/115/CE, secondo cui “ ove gli Stati membri ricorrano- in ultima istanza- a misure coercitive per allontanare un cittadino di un paese terzo che oppone resistenza, tali misure sono proporzionate e non eccedono un uso ragionevole della forza. Le misure coercitive sono attuate conformemente a quanto previsto dalla legislazione nazionale in osservanza dei diritti fondamentali e nel debito rispetto della dignità e dell’integrità fisica del cittadino di un paese terzo interessato”.

La situazione nei centri di identificazione e di espulsione è diventata sempre più incandescente anche dopo la fine dell’emergenza sbarchi dal nord africa del 2011, proprio per il prolungamento a 18 mesi della detenzione amministrativa e per l’abbattimento sostanziale di tutte le garanzie di difesa in vista dell’accompagnamento forzato in frontiera. Una procedura che sembra rimasta l’unico strumento per contrastare la cd. immigrazione clandestina, che si abbatte sui cd. migranti economici e sui richiedenti asilo denegati o ai quali si vieta di fatto un tempestivo accesso alla procedura, ma che colpisce anche immigrati residenti da anni in Italia, “colpevoli” soltanto di essere stati licenziati dal proprio datore di lavoro o di avere commesso un lieve reato. Una procedura generalizzata, costosa ed inefficace, sebbene il ricorso alla detenzione amministrativa sia limitato dall’articolo 13 della Costituzione soltanto a “casi eccezionali di necessità ed urgenza”.

Infine i singoli casi, si potrebbe dire ormai ordinari, del tutto privi di quei connotati di necessità ed urgenza che legittimano da un punto di vista costituzionale e comunitario il ricorso alla detenzione amministrativa prolungata. Si trattava in generale di immigrati residenti da lungo tempo in Italia, molti dei quali avevano avuto in precedenza un permesso di soggiorno che poi avevano perso per varie ragioni. Un immigrato affermava di essere nato in Francia e di essere cittadino comunitario, un altro che la questura aveva ingiustificatamente ritenuti falsi i suoi documenti di soggiorno, un altro ancora lamentava una grave forma di allergia che gli provocava soffocamento, diceva di avere già avuto delle gravi crisi di dispnea e girava imbottito di cortisone, dopo un esame ospedaliero che aveva sancito la compatibilità del suo stato con la detenzione in un CIE. Molti lamentavano la qualità scadente del cibo o la totale mancanza di attività da svolgere, qualcuno raccontava che in carcere era invece ben diverso e la giornata era scandita da impegni che almeno occupavano la testa e le braccia delle persone. Altri mostravano evidenti i segni lontani di qualche tentativo di fuga andato male, piedi gonfi, uno ancora con le stampelle, un altro con il segno evidente, ma ormai in fase di riassorbimento di una manganellata sulla schiena.

Si potrebbe dire ormai, storie quotidiane di ordinaria follia all’interno di un centro di detenzione amministrativa nel quale l’art. 13 della Costituzione che vieta qualsiasi violenza fisica e psichica sulle persone comunque sottoposte ad una limitazione della libertà personale rimane un mero enunciato formale. E non sapremo mai cosa succede veramente nei centri di prima accoglienza utilizzati come centri di detenzione in attesa del rimpatrio sommario e collettivo. Tanto coloro che ci finiscono dentro e vengono portati via dopo qualche giorno non potranno mai fare nessuna denuncia, anche perché quelli che ci hanno provato hanno trovato un muro nelle rappresentanze consolari e diplomatiche italiane all’estero, dalle quali sarebbe possibile fare partire ricorsi e denunce. Si, solo sulla carta, nella pratica non ci riesce nessuno e gli abusi commessi durante le procedure di allontanamento forzato, come l’assenza di un documento individuale di viaggio rilasciato dalle autorità consolari al pari del nastro adesivo per tappare la bocca, o delle fascette strette ai polsi, molto strette ai polsi, rimangono la prassi ordinaria.

Gli sbarchi non sono certo cessati perchè le autorità italiane hanno violato sistematicamente le regole in materia di allontanamento forzato stabilite dalle leggi interne e dalla normativa comunitaria, ma per la particolare situazione politica e militare nei paesi dai quali partivano gli immigrati, una situazione in continua evoluzione che potrà comportare anche in futuro altre situazioni di emergenza che non potranno essere affrontate ancora una volta con la detenzione illegittima e con i rimpatri collettivi vietati da tutte le Convenzioni internazionali.

Appendice informativa sugli accordi bilaterali
In assenza di dati ufficiali pubblicati dal ministero dell’interno o forniti dall’agenzia Frontex, i dati più completi di cui si dispone sono forniti dal sottosegretario al ministero dell’interno Ruperto, nella risposta ad una interrogazione parlamentare (Legislatura 16 Risposta ad interrogazione scritta n° 4-06711, fascicolo n.171) in Senato il 14 luglio 2012.

Secondo Ruperto “il dialogo con i Paesi nord africani, primi fra tutti Libia, Tunisia e Egitto, costituisce obiettivo strategico del Governo. Anche nel Consiglio GAI dell’8 marzo 2012, il Governo italiano ha riaffermato la necessità di ottenere, da parte dei Paesi terzi, risultati concreti ed efficaci nel controllo delle proprie frontiere marittime e terrestri. È stata evidenziata l’importanza di qualunque possibile sinergia tra le iniziative nazionali e europee e quelle dell’agenzia Frontex, invitando quest’ultima ad accelerare la conclusione di accordi di cooperazione con i Paesi dell’area mediterranea. In ogni caso, tutti gli accordi stipulati con i precedenti Governi della Tunisia, Libia ed Egitto e tuttora vigenti hanno sempre rispettato ampiamente le norme previste dal diritto internazionale, in particolare quelle riferite al rispetto dei diritti umani. Nell’ambito delle iniziative condotte dall’Italia con la Tunisia, già all’indomani della crisi migratoria scaturita dalla situazione di instabilità politica che ha interessato il Mediterraneo meridionale, sono stati attuati mirati interventi sia sul fronte dell’assistenza tecnica (fornitura di equipaggiamenti e formazione della polizia tunisina addetta al controllo delle frontiere), sia sul posizionamento di mezzi aeronavali in prossimità delle acque territoriali tunisine per la sorveglianza delle rotte maggiormente utilizzate dagli immigrati per raggiungere la Sicilia, sia, infine, nella cooperazione con Tunisi per efficaci procedure di riammissione che hanno consentito di rimpatriare 4.583 tunisini. Attualmente le intese prevedono il rimpatrio di 60 tunisini a settimana con due distinti voli charter da 30 ciascuno”. Sempre secondo il sottosegretario, “Il 22 marzo 2012 il ministro Cancellieri si è recato in Tunisia dove ha incontrato i Ministri degli affari esteri e dell’interno tunisini. Nel corso dei colloqui è stata rivolta particolare attenzione ai temi dell’immigrazione, sia in riferimento ai flussi d’ingresso regolari, che a quelli di natura clandestina o comunque illegale, nonché al livello di collaborazione raggiunto”.

Secondo Ruperto dunque “La cooperazione operativa tra l’Italia e la Tunisia nel contrasto all’immigrazione via mare mediante l’impiego di unità navali della Marina militare nelle acque prospicienti le coste tunisine, terminata il 31 dicembre 2011, ha permesso di svolgere una funzione dissuasiva nei confronti dei natanti con a bordo clandestini, consentendo altresì l’intervento delle autorità locali prima che le imbarcazioni si trovassero in situazioni di pericolo. Inoltre, il Ministero degli affari esteri sta definendo i termini di un accordo quadro con la Tunisia, di cui fanno parte integrante tre protocolli esecutivi, elaborati dalle amministrazioni competenti: per il contrasto all’immigrazione irregolare e alla tratta di esseri umani; la gestione delle migrazioni per motivi di lavoro; la circolazione delle persone e visti”.

Il testo del primo protocollo è stato elaborato dal Ministero sulla falsariga del processo verbale firmato a Tunisi il 5 aprile 2011 dai Ministri dell’interno pro tempore dei due Paesi. In particolare, viene previsto che: 1) la cooperazione tra l’Italia e la Tunisia, che si è consolidata con la firma del processo verbale, prosegua con lo sviluppo dei programmi di cooperazione economica, finanziaria e tecnica; 2) la cooperazione sia finalizzata al contrasto dell’immigrazione clandestina e delle organizzazioni che gestiscono la tratta di esseri umani, con spirito di solidarietà; 3) il rafforzamento della cooperazione sia attuato attraverso lo scambio di informazioni, l’attività formativa e la fornitura di attrezzature e mezzi tecnici; 4) l’Italia proceda al rinnovo totale o parziale dei materiali e alla loro manutenzione, con la prospettiva di creare in Tunisia un centro di formazione professionale nautico; 5) l’Italia provveda al rimpatrio dei tunisini giunti irregolarmente dopo il 5 aprile 2011 attraverso una procedura semplificata, utilizzando vettori charter (nel limite massimo di 2 voli a settimana ciascuno dei quali con 30 persone); 6) sia comunque possibile, nei casi di straordinaria necessità e urgenza, aumentare il numero delle persone da rimpatriare ogni settimana; 7) sia possibile avvalersi di reciproci punti di contatto per scambiare in tempo reale ogni utile informazione operativa con l’utilizzo di ufficiali di collegamento e di collegamenti telematici”.

Appare ormai consolidata la prassi dei respingimenti collettivi immediati e della detenzione amministrativa informale dei migranti giunti in Italia che si ritiene di nazionalità egiziana. Di particolare rilievo quanto affermato dal sottosegretario agli interni in Senato il 14 giugno scorso in relazione ai rapporti tra Italia ed Egitto. “Quanto allo stato della collaborazione in materia migratoria e agli accordi e alle intese tra l’Italia e l’Egitto, il 18 giugno 2000 i due Governi hanno sottoscritto, a Il Cairo, l’accordo per la cooperazione di polizia nella lotta contro la criminalità organizzata ed il terrorismo, che riguarda anche il contrasto dell’immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani. Il 29 novembre 2005 è stato firmato, a Il Cairo, l’accordo in materia di lavoro. Il 9 gennaio 2007 è stato firmato, a Roma, l’accordo di cooperazione fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica araba di Egitto in materia di riammissione con il relativo protocollo esecutivo. L’accordo è entrato in vigore il 25 aprile 2008. Il 22 dicembre 2009 è stato firmato il memorandum d’intesa in materia di cooperazione bilaterale, atto a favorire il contenimento del fenomeno migratorio dei minori egiziani non accompagnati verso l’Italia. Il 30 maggio 2011, l’ambasciatore d’Italia a Il Cairo ha informato il Ministro dell’interno circa gli esiti dei suoi reiterati colloqui con quel Ministro dell’interno, nel corso dei quali da parte egiziana è stato auspicato un intervento forte dell’Italia a sostegno dell’Egitto, per contribuire alla ricostruzione di una polizia moderna ed efficiente. Con fondi di bilancio destinati alla cooperazione internazionale sono stati acquistati 30 personal computer con tastiera araba, 30 stampanti, 10 scanner e 30 metaldetector palmari. È, altresì, in corso la procedura per l’acquisto di 6 fuoristrada e 6 pick up per il pattugliamento in zone desertiche. Il 21 giugno 2011, il Direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere ha incontrato l’ambasciatore della Repubblica d’Egitto a Roma, al fine di proseguire la cooperazione di polizia tra i due Paesi in tema di lotta all’immigrazione clandestina, che ha consentito, nel solo 2011, il rimpatrio di 1.662 connazionali, di cui 1.162 nell’immediatezza dello sbarco. L’attività di cooperazione ha consentito, dall’inizio del 2012, di rimpatriare 155 egiziani, nei momenti successivi al loro ingresso illegale via mare”.

In tutti questi casi di rimpatrio “nell’immediatezza dello sbarco” le modalità di accompagnamento forzato in frontiera adottate e le forme sommarie di identificazione e trattenimento hanno comportato la violazione reiterata del divieto di espulsioni collettive, affermato dall’art. 4 del protocollo quarto allegato alla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo e dell’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, oltre che del Regolamento frontiere Schengen n.562 del 2006. Se una qualche autorità amministrativa fosse in possesso di documenti giustificativi delle misure di allontanamento forzato adottate “nei momenti successivi al loro ingresso illegale via mare” sarebbe pure tempo che li renda noti, quanto meno ai magistrati che dopo le circostanziate denunce dello scorso anno dovrebbero ancora indagare su queste operazioni.

Bibliografia minima:

P. Bonetti, La proroga del trattenimento e i reati di ingresso e permanenza irregolare nel sistema del diritto degli stranieri: profili costituzionali e rapporti con la Direttiva comunitaria sui rimpatri, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2009,4, p. 85
Borraccetti, Il rimpatrio di cittadini irregolari: armonizzazione (blanda) con attenzione (scarsa) ai diritti delle persone, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010,1, p.17
A. Puggiotto, I meccanismi di allontanamento dello straniero, tra politica del diritto e diritti violati, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010,1, p.42
F. Vassallo Palelogo, Il respingimento differito disposto dal questore e le garanzie costituzionali, n Diritto, Immgrazione e Cittadinanza, 2009, fasc. 2, p.19.
F. Viganò, Diritto penale ed immigrazione: qualche riflessione sui limiti della discrezionalità del legislatore, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2010,3, p.13