Documento a cura dell' A.S.G.I.
Web: http://www.asgi.it

segreteria@asgi.it
info@asgi.it
 
 
13.09.2012
 
Diritto antidiscriminatorio: il datore di lavoro che prevede una prestazione previdenziale integrativa anche a favore del convivente del proprio dipendente non puņ negarla in ragione della natura omosessuale della convivenza.
 

La Corte di Appello di Milano, con la sentenza dd.  29 marzo 2012 depositata il 31 agosto 2012 (n. 7176), ha respinto l’appello proposto dalla Cassa Mutua Nazionale per il Personale delle Banche di Credito Cooperativo avverso  la sentenza di primo grado emessa dal giudice del lavoro di Milano e depositata il  15.12.2009, con la quale era stato dichiarato il diritto di un dipendente della Banca di Credito Cooperativo di ottenere l’iscrizione del proprio compagno convivente alla suddetta Cassa Mutua in relazione ad una prestazione previdenziale  sanitaria integrativa che lo Statuto della Cassa estende anche al convivente more uxorio del beneficiario  risultante dallo stato di famiglia.  L’interessato era stato escluso dalla prestazione in quanto, secondo la Cassa Mutua, la nozione di convivenza more uxorio doveva essere interpretata nella direzione dell’estensione del beneficio alle sole coppie non sposate composte da persone di sesso diverso, dovendosi escludere invece le coppie omosessuali.

La Corte di Appello di  Milano ha confermato la sentenza del giudice di prime cure,  risolvendo la questione nell’ambito e sulla base delle norme interpretative dei contratti di cui agli artt.  1362-1370 c.c.. Secondo la Corte di Appello di Milano, l’applicazione del principio di buona fede nell’interpretazione dei contratti, porta a escludere che all’espressione “convivenza more uxorio” possa essere riconosciuto il significato attribuitole in un’epoca ormai risalente, dovendo la stessa essere interpretata in considerazione dell’attuale contesto economico-sociale e  degli schemi oggi socialmente riconosciuti.

In tal senso, la Corte di Appello si è richiamata ai  recenti pronunciamenti del giudice delle leggi  (Corte Costituzionale, 23 marzo 2010, n. 138), del giudice europeo dei diritti dell’uomo ( Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sez. I, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf contro Austria) e del giudice di legittimità ( Corte di Cassazione, 15 marzo 2012, n. 4184), per affermare come, nell’attuale realtà politico-sociale, la convivenza more uxorio, intesa quale comunione di vita caratterizzata da stabilità pur nell’assenza del vincolo del matrimonio e comunque portatrice  di valori di solidarietà e sostegno reciproco, è una formazione sociale nella quale si realizza la personalità individuale e non  necessariamente deve essere caratterizzata dall’unione di persone di sesso diverso, ma è altresì quella propria delle unioni omosessuali alle quali ormai un sentimento socialmente diffuso, anche a livello europeo, riconosce il diritto alla vita familiare propriamente intesa.

Senza scomodare i principi dell’interpretazione dei contratti, i giudici milanesi avrebbero potuto affrontare la questione anche sotto lo specifico profilo del diritto antidiscriminatorio di derivazione comunitaria, peraltro accennato dal giudice di prime cure. Infatti, la direttiva n. 2000/78/CE sul divieto di discriminazioni fondate, tra l’altro, sull’orientamento sessuale in materia di occupazione e condizioni di lavoro, recepita in Italia con il d.lgs. n. 216/2003, espressamente vieta ogni discriminazione diretta, indiretta o molestia fondata sull’orientamento sessuale per quanto attiene tra l’altro all’occupazione e alle condizioni di lavoro.

A tale riguardo, con riferimento all’eguaglianza di genere,  la Corte di Giustizia europea ha interpretato la nozione di “condizioni di lavoro” in senso estensivo, includendovi anche quelle prestazioni di natura previdenziale o “sociale” collegate alla relazione lavorativa, quale appunto un beneficio di sicurezza sociale di natura familiare (causa Meyers v. Adjudication Officer, C-116/94, 13 luglio 1995) o i criteri di accoglienza presso l’asilo nido aziendale (causa Lommers v. Minister van Landbouw, C-476/99, 19 marzo 2002). Pertanto, è indubbio che l’interpretazione data dalla Cassa Mutua Nazionale delle Banche di Credito Cooperativo all’art. 4 del proprio  Statuto costituisce una chiara violazione della direttiva europea n. 2000/78 così come recepita in Italia con il d.lgs n. 216/2003 e successive modifiche.