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23.04.2012
 
Sentenza della Corte di Giustizia europea in materia di presunzione di discriminazione ed onere probatorio nelle controversie relative al reclutamento del personale
 

La Corte di Giustizia europea ha emanato una sentenza (19 aprile 2012, causa Meister c. Speech Design System, causa C-415/10)  relativa all’interpretazione del principio del bilanciamento dell’onere della prova  nei procedimenti giudiziari anti-discriminazione per motivi fra l’altro, di razza o origine etnica (2000/43), età (2000/78)  e sesso (2006/54). Come è noto tali direttive prevedono l’obbligo per gli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari affinché, nei procedimenti giudiziari e amministrativi che trattano di asserite violazioni del principio di parità di trattamento, sia la parte convenuta a dover provare l’insussistenza della discriminazione qualora il ricorrente abbia prodotto elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che vi sia stata discriminazione diretta o indiretta.

La controversia dinanzi alla Corte di Giustizia europea nasce da un rinvio pregiudiziale operato da un giudice tedesco nel caso di una signora di origine russa, la quale  aveva risposto ad un annuncio per una posizione lavorativa disponendo delle qualifiche richieste, ma non era stata convocata dal datore di lavoro per un colloquio, nemmeno dopo che il medesimo datore di lavoro aveva reiterato l’annuncio dopo aver proceduto apparentemente ad una prima selezione di candidati rimasta infruttuosa.

La ricorrente di origine russa aveva dunque fatto ricorso all’autorità giudiziaria sostenendo che i fatti dedotti lasciavano concludere con un sufficiente grado di probabilità che la decisione del datore di lavoro di non prendere in considerazione la sua candidatura era determinata da un motivo discriminatorio legato o alle sue origine etnico-razziali, o alla sua età o al suo sesso. Conseguentemente, secondo la ricorrente, il principio del bilanciamento dell’onere probatorio previsto dalle direttive europee avrebbe dovuto comportare l’onere per il datore di lavoro di rivelare l’identità della persona assunta e le ragioni e i criteri che  hanno determinato tale scelta.

Il giudice del lavoro tedesco ha rinviato alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale se il principio del bilanciamento dell’onere della prova debba essere interpretato nel senso di riconoscere ad un lavoratore in possesso in astratto dei requisiti di qualificazione richiesti per l’accesso ad un posto di lavoro offerto da un datore di lavoro, un diritto ad essere informato dal datore di lavoro dell’assunzione di un altro candidato e delle ragioni e dei criteri sulla base dei quali sia avvenuta l’assunzione. Conseguentemente, il giudice del lavoro tedesco aveva chiesto alla CGUE di chiarire se la circostanza che un datore di lavoro non comunichi tali informazioni richieste possa far presumere la sussistenza di una discriminazione per uno dei motivi vietati dalle direttive europee, facendo dunque scattare il meccanismo di parziale inversione dell’onere probatorio nei procedimenti giudiziari anti-discriminazione.

Richiamandosi ad un precedente di giurisprudenza maturato con riferimento alle discriminazioni di genere (la sentenza nel caso Kelly, dd. 21 luglio 2011, causa C-104/10), la Corte di Giustizia ricorda che  incombe a colui che si ritenga leso dall'inosservanza del principio di parità di trattamento di mostrare, in un primo momento, i fatti che consentono di presumere l’esistenza di una discriminazione. Solamente nel caso in cui questi abbia provato tali fatti, spetterà poi al convenuto, in un secondo momento, dimostrare che non vi sia stata violazione del principio di non discriminazione. Come la Corte ha già dichiarato, spetta segnatamente all’autorità giudiziaria nazionale valutare, in base al diritto e/o alle prassi nazionali, i fatti che consentono di presumere la sussistenza di una discriminazione.

La Corte conferma poi la propria giurisprudenza secondo cui il diritto dell’Unione non prevede un diritto specifico, a favore di colui che si ritenga vittima di una discriminazione, di accedere ad informazioni che gli consentano di dimostrare i fatti in base ai quali si può presumere che vi sia stata discriminazione. Tuttavia, resta il fatto che non può essere escluso che il diniego di fornire informazioni da parte del convenuto, nell’ambito dell’accertamento dei fatti stessi, rischi di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito e, in particolare, di privare il diritto dell’Unione del proprio effetto utile. In altri termini,   il principio del bilanciamento dell’onere della prova non può fondare un obbligo per il datore di lavoro di rivelare  l’identità e  i criteri in base ai quali sia stato assunto un candidato ad un posto di lavoro rispetto agli altri,  anche quando questi ultimi possano dimostrare in maniera plausibile di poter soddisfare i requisiti richiesti. Questo anche in ragione dei diritti alla riservatezza dei terzi eventualmente menzionati nei documenti e nelle informazioni richieste. Tuttavia,  l’assenza di un dovere di risposta da parte del datore di lavoro non può significare l’assoluta carenza di impatto  del principio di bilanciamento dell’onere probatorio quale strumento volto a garantire l’effettività della tutela anti-discriminatoria anche con riferimento alle procedure di selezione e reclutamento del personale, perché se così fosse, verrebbe compromessa la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalle direttive europee.   L’assenza di una  risposta del datore di lavoro, cui egli di  per sé non potrebbe ritenersi obbligato,  deve essere collocata nel più ampio contesto fattuale in cui si inserisce. Dunque il giudice nazionale è chiamato a  considerare se l’assenza di risposta del datore di lavoro,  unitamente ad altre circostanze fattuali quali il fatto che il datore di lavoro non abbia voluto  convocare per un colloquio la candidata di origine etniche “alloctone” pur riconoscendo che ella corrispondeva al livello di qualifica richiesto e nonostante una prima selezione di candidati non avesse portato ad alcuna assunzione, con ciò determinando una seconda selezione alla quale la candidata non veniva ugualmente convocata per un colloquio, possano  costituire elementi sufficienti a costituire  una presunzione di discriminazione tale da far scattare il principio dell’inversione dell’onere probatorio. In tal senso, la Corte di Giustizia europea ha sostanzialmente aderito alle considerazioni espresse dall’Avvocato generale, nel suo parere emanato il 12 gennaio scorso.

Il comunicato stampa della Corte di Giustizia europea n. 46/12 dd. 19 aprile 2012 sulla sentenza nella causa C-415/2010, Galina Meister/Speech Design Carrier System GmbH.