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27.03.2012
 
Tribunale di Milano: Commette una molestia razziale il dirigente di banca che si rivolge ad un proprio subordinato facendo riferimento in modo spregiativo e offensivo al colore della pelle di quest’ultimo
 

Con l’ordinanza nel procedimento n. 16945/2011, depositata il 22 marzo scorso, il giudice del Tribunale di Milano ha dichiarato il carattere discriminatorio della condotta tenuta da EXTRABANCA s.p.a., in relazione ai comportamenti assunti dal suo presidente ed altri dirigenti nei confronti di un loro dipendente subordinato e che sono stati riconosciuti dal giudice quale forme di molestia a sfondo etnico-razziali proibita dal d.lgs. n. 215/2003 attuativo della direttiva europea sul contrasto alle discriminazioni etnico-razziali (direttiva n. 2000/43).

Nel corso dell’istruttoria che ha portato all’ordinanza, il giudice ha infatti ritenuto sufficientemente provate, anche in relazione al principio del bilanciamento dell’onere probatorio nei procedimenti giudiziari anti-discriminazione di cui all’art. 8 della direttiva n. 2000/43, le evidenze apportate dal ricorrente secondo le quali il presidente della filiale bancaria e altri suoi dirigenti hanno usato espressioni offensive nei confronti del ricorrente e di un altro dipendente subordinato facenti riferimento al colore della pelle e all’origine africana di quest’ultimi, con la conseguenza oggettiva di aver creato un clima offensivo ed umiliante nell’ambiente di lavoro, con questo configurando una molestia a sfondo etnico-razziale proibita dalla direttiva europea n. 2000/43 (“comportamento indesiderato adottato per motivi di razza o di origine etnica e avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”). In particolare, il presidente della banca ha cercato di dissuadere il ricorrente dalla sua candidatura alle elezioni comunali, facendo riferimento al suo colore della pelle e accomunandolo  “agli zingari e ai musulmani che …vogliono rovinare Milano”. Inoltre si è  rivolto al ricorrente e ad un altro dipendente di colore utilizzando gli epiteti di “negri africani” che stanno “creando troppi problemi”, asserendo espressamente che “avere troppi negri non poteva giovare alla banca” e che pertanto era meglio assumere “una persona con un colore più chiaro”. Inoltre, in un’occasione si rivolgeva al ricorrente dicendogli che non poteva pretendere un posto manageriale, poiché “era in caserma, che nessuno aveva bisogno della sua intelligenza”, che gli “stranieri pretendono troppo, soprattutto quelli che hanno la cittadinanza…devono sapere che sono ospiti”.

Nell’accertare il carattere discriminatorio del comportamento di Extrabanca s.p.a., il giudice ha ordinato al legale rappresentante l’immediata cessazione dei comportamenti illeciti anche mediante l’affissione, presso la sede di Milano, di un comunicato contenente il dispositivo dell’ordinanza, nonché di un invito rivolto al personale della banca ad astenersi, nei rapporti tra i colleghi e nelle riunioni di lavoro , da espressioni volgari ed offensive a sfondo razziale, anche richiamandosi alla “carta valori” della banca medesima, la cui attività e i servizi sono rivolti in particolare ai cittadini immigrati.

Il giudice ha inoltre disposto il riconoscimento  in favore del ricorrente del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, quale risultante dall’oggettiva violazione del diritto fondamentale alla tutela della propria dignità e dunque quale danno da discriminazione in sé, e fissato in via equitativa nella somma di 5,000 euro.

L’ordinanza del Tribunale di Milano è dunque particolarmente rilevante, non solo perché costituisce una della prime pronunce giudiziarie che sanzionano la fattispecie della molestia a sfondo razziale, ma anche perché è una delle poche pronunce che ha riconosciuto il principio del risarcimento del danno non patrimoniale da fatto oggettivo della  discriminazione in sé quale violazione della dignità della persona e non come danno morale soggettivo, sottoposto all’onere probatorio da parte del ricorrente di una sofferenza psicologica subita.

L’ordinanza del Tribunale di Milano pare dunque consolidare un orientamento giurisprudenziale favorevole al risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione in ossequio al principio della funzione anche dissuasiva del rimedio alla discriminazione previsto dagli art. 15 della direttiva n. 2000/43 e dall’art. 17 della direttiva n. 2000/78.

Di recente tale orientamento ha trovato applicazione anche nel campo della tutela contro le discriminazioni fondate sulla disabilità.

Con la sentenza n. 4929 dd. 8 marzo 2012, il Tribunale di Roma, sec. Sez. civile, ha accolto il ricorso anti-discriminazione presentato da un disabile unitamente all’Associazione Luca Coscioni contro il  Comune di Roma per la mancata rimozione delle barriere architettoniche dai marciapiedi in corrispondenza delle fermate dell’autobus utilizzate dal disabile.

Il Tribunale di Roma ha riconosciuto che l’esistenza di barriere architettoniche, tali da impedire al disabile di salire sul mezzo di trasporto pubblico configura una discriminazione indiretta a danno dei disabili, mettendoli di fatto e nei risultati in una posizione di svantaggio rispetto alle altre persone. Il Tribunale di Roma ha ordinato dunque al  Comune di Roma  di realizzare entro 12 mesi un piano per la messa a norma dei marciapiedi corrispondenti alle fermate dei bus utilizzati dal ricorrente. Il Tribunale di Roma ha riconosciuto in favore del ricorrente il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, quale risultante dall’oggettiva violazione del diritto fondamentale alla libertà di circolazione, e fissato in via equitativa nella somma di 5,000 euro. Il Comune di Roma è stato pure condannato alla pubblicazione della sentenza a proprie spese  sulle pagine del quotidiano “Il Messaggero”.  [Maggiori informazioni ed il testo integrale della sentenza sul sito: http://www.associazionelucacoscioni.it/sites/default/files/sentenza%20coscioni%20fraticelli.pdf  ].

In precedenza, il risarcimento del danno non patrimoniale da discriminazione era stato riconosciuto dal Tribunale di Brescia. Con ordinanza depositata il 31 gennaio scorso, il giudice di Brescia ha ritenuto che l’esposizione pubblica sulla vetrina della sezione cittadina della Lega Nord di Adro (prov. di Brescia) di un manifesto dai contenuti e toni offensivi nei confronti della segretaria locale della CGIL, impegnata a contrastare le iniziative discriminatorie del movimento leghista locale a danno degli immigrati stranieri, ha costituito una molestia razziale, proibita dalla direttiva europea n. 2000/43/CE, recepita in Italia con il d.lgs. n. 215/2003. Con l’ordinanza, il giudice di Brescia ha disposto anche  la condanna al risarcimento del danno   non solo a favore dell’ attivista della  CGIL, ma anche a favore delle associazioni ricorrenti che sono state ritenute esse stesse danneggiate dall’utilizzo di espressioni lesive della dignità di tutti gli immigrati. [sull’ordinanza del Tribunale di Brescia si veda al link: http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=2039&l=it ].

Al riguardo, va ricordata, inoltre,  l’ordinanza del Tribunale di Padova (dd. 30.07.2010 – proc. n. 1667/2010), in composizione collegiale, con la quale ha   accolto il ricorso presentato dai genitori di un'alunna di Istituto  scolastico di Padova che lamentavano la discriminazione subita dalla figlia a causa della mancata attivazione di attività didattiche  formative  alternative all'insegnamento della religione cattolica. Ne era conseguito il fatto che per alcuni mesi la figlia era stata trattenuta nell'aula della propria classe durante lo svolgimento dell'ora di religione cattolica, pur avendo i suoi genitori dichiarato la facoltà di non avvalersene,  mentre  successivamente era stata destinata  in classi parallele ove si tenevano gli insegnamenti curriculari previsti per le stesse. La dirigenza scolastica aveva giustificato la mancata attivazione degli insegnamenti alternativi con la mancanza di mezzi economici. Secondo il Tribunale di Padova, nella categoria contemplata dall'art. 2059 c.c. relativamente al danno non patrimoniale, debbono essere ricompresi tutti i danni  derivanti da lesioni di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo,  inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto inteso come lesione dell'interesse costituzionalmente garantito all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico;  sia infine il danno derivante dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona ( quello che in dottrina viene spesso definito danno esistenziale). Rifacendosi alla più recente giurisprudenza costituzionale e di cassazione (n. 4712/08), in sostanza, "il danno non patrimoniale [richiamato all'art. 2059 c.c.],  si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica" per cui "la lesione del valore costituzionale della persona rende applicabile la presunzione di un danno che si riverbera sulla persona offesa". Nel caso in specie, due erano  i valori costituzionali della persona offesi dal comportamento discriminatorio dell'istituto scolastico che non aveva garantito l'attivazione dell'insegnamento alternativo a quello della religione cattolica: la libertà religiosa e la libertà d'istruzione [in proposito si veda al link: http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=1135&l=it ].

A cura di Walter Citti, consulente del  servizio anti-discriminazioni ASGI