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01.03.2012
 
“Un sindacalista negro č una barzelletta”. Imprenditore edile condannato per diffamazione ed ingiuria a sfondo razziale contro un sindacalista di colore della CGIL
 

Il Tribunale di Padova, sez. penale, con la sentenza n. 206/2012 depositata il 17 febbraio scorso, ha condannato due imprenditori edili per il reato di ingiuria di cui all’art. 594 c.p.   con l’aggravante della finalità di discriminazione o di odio razziale ai sensi dell’art. 3 d.l. n. 122/1993 convertito   nella legge n. 205/93. Uno dei due imprenditori è stato pure condannato per i reati di minacce continuate ai sensi degli artt. 612 e 81 c.p. e diffamazione ex art. 595 c. 3 c.p. e 13 L. 08.02.1948, n. 47, sempre con l’aggravante della finalità di odio razziale.

La condanna si riferisce ai fatti avvenuti il 4 agosto 2010 a Padova, quando  due sindacalisti della FILLEA CGIL si sono recati in visita ad un cantiere edile per fornire informazioni in materia sindacale e di sicurezza sul lavoro agli operai e sono stati accolti da uno dei due imprenditori con frasi offensivi riferite al colore della pelle di uno dei due sindacalisti, tra le quali: “stai zitto negro di merda, sporco negro tornatene a casa tua, qua sei abusivo e hai trovato l’America, successivamente accompagnate da minacce, proferite impugnando un cubetto di porfido. Ugualmente, frasi offensive a sfondo razziale venivano proferite dai due  imprenditori  in una fase successiva, quando i due sindacalisti si ripresentarono al cantiere accompagnati da due Agenti di Polizia municipale.

L’imputazione per il reato di diffamazione con l’aggravante dell’odio razziale nasce dal fatto che successivamente ai fatti sopramenzionati, l’imprenditore edile rilasciava una breve intervista al quotidiano di Padova “Il Mattino” rendendo dichiarazioni offensive nei confronti del sindacalista di colore, dichiarando in particolare che “un sindacalista negro è una barzelletta. A che livelli siamo arrivati?”

Nel condannare i due imprenditori edili applicando l’aggravante della finalità di odio razziale di cui alla “legge Mancino”, il tribunale di Padova ha seguito il filone consolidato della giurisprudenza di cassazione, secondo cui è sufficiente ai fini dell’applicazione della circostanza aggravante che “l’azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile nel contesto in cui è maturata, avuto anche riguardo al comune sentire, di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l’origine etnica o il colore” (Cassazione penale, sez. V, sent. 28/01/20912, n. 11590), per cui “la discriminazione consiste nel disconoscimento d’eguaglianza, ovvero nell’affermazione d’inferiorità sociale o giuridica altrui” (Cass., sent. n. 9381/2006), senza dunque necessità della dimostrazione di un rischio di reiterazione di detti comportamenti ovvero che l’azione lesiva si svolga in presenza di terze persone (Cass. n. 49694/2009, n. 38597/2009, n. 37609/2006, n. 38591/2008).

Ugualmente, la sentenza del  Tribunale di Padova ricorda il filone interpretativo della Cassazione,  per cui lo stesso utilizzo del termine “negro”  in presenza della persona vittima del comportamento, di per sé ha portata dispregiativa, non connotando semplicemente il colore della pelle, ma designando – sotto il profilo storico dell’epoca coloniale e della segregazione razziale-  una condizione della persona quale appartenente ad una razza asseritamente inferiore, e dunque di per sé appare suscettibile di configurare la sussistenza dell’aggravante, soprattutto se abbinato ad un attributo ugualmente offensivo (“Sporco negro”) (In proposito Cass. penale, sentenza 23.09.2008, n. 38591;  e n. 9381/2006).

Entrambi gli imputati sono stati condannati anche al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili.