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12.12.2011
 
Sentenza Achugbabian - C‑329/11, 6 dicembre 2011
 
Commento a cura della prof.ssa Chiara Favilli della sentenza del 6 dicembre 2011, C-329/11 della Corte di Giustizia UE, Grande Sezione.

  1. PREMESSA

Dopo la sentenza del 28 aprile 2011, causa C-61/11, El Dridi, la Corte torna a interpretare la direttiva rimpatri in relazione alle sanzioni penali connesse all’irregolarità del soggiorno e per la seconda volta ritiene tali sanzioni non compatibili con la direttiva.

Il rinvio pregiudiziale è stato sollevato in un procedimento nazionale nel quale il sig. Achugbabian era imputato del reato di soggiorno irregolare disciplinato dall’art. L. 621‑1 del Codice francese dell’ingresso e del soggiorno degli stranieri e del diritto d’asilo, “Ceseda”.

 

  1. SINTESI DEI PRINCIPI ESPRESSI NELLA SENTENZA

 

La Corte precisa che la direttiva si occupa solo dell’adozione delle decisioni di rimpatrio e della loro esecuzione. In quest’ottica la Corte chiarisce che il soggiorno irregolare può essere qualificato come un reato e si possono prevedere sanzioni penali per scoraggiare il soggiorno irregolare. Inoltre secondo la Corte la direttiva non osta ad una detenzione finalizzata a determinare se il soggiorno di un cittadino di paese terzo sia regolare o meno: l’arresto iniziale delle persone in soggiorno irregolare è, infatti, disciplinato dalla normativa nazionale e gli Stati devono poter fermare una persona in soggiorno irregolare, che altrimenti potrebbe facilmente eludere qualsiasi provvedimento di allontanamento. Secondo la Corte però l’arresto deve essere finalizzato a verificare la regolarità del soggiorno.

 

Secondo la Corte però se all’esito del fermo si conferma che la persona è in soggiorno irregolare occorre emanare una decisione di rimpatrio, ciò a sottolineare che gli Stati hanno come priorità quella dell’allontanamento. La Corte ribadisce che la direttiva non vieta di qualificare come reato il soggiorno irregolare e di irrogare sanzioni penali compresa la detenzione, nè vieta di trattenere la persona per verificare se sia o meno regolarmente soggiornante; tuttavia tali sanzioni devono essere conformi alla direttiva e non ostacolarne l’obiettivo, come già affermato nella sentenza El Dridi.

 

Ora secondo la Corte situazione del ricorrente rientra pienamente nell’ambito di applicazione della direttiva, in particolare perché lo straniero è stato già destinatario di una decisione di rimpatrio nel 2009 con l’ordine di allontanarsi entro un mese; nel 2011 è stato fermato di nuovo e sottoposto a fermo di polizia con nuovo provvedimento di allontanamento con accompagnamento coattivo alla frontiera.

 

La detenzione di una persona oggetto di una decisione di rimpatrio rientra dunque pienamente nell’ambito di applicazione della direttiva e può essere assimilata alle misure previste nell’art. 8 della direttiva, vale a dire alle misure coercitive che possono essere adottate dallo Stato per conseguire l’esecuzione della decisione di rimpatrio. Secondo la Corte la pena della reclusione nel corso della procedura di rimpatrio non è una misura coercitiva appropriata giacché è tale da ostacolare l’applicazione delle norme e delle procedure comuni stabilite dalla direttiva. Questo porta a concludere che la reclusione durante il procedimento di allontanamento ostacola l’esecuzione dell’allontanamento ed è in contrasto con la direttiva.

 

La Corte afferma anche che non rileva la questione dell’eventuale persecuzione dello straniero per altri reati diversi da quello di soggiorno irregolare perché lo straniero in questione non risulta averne commessi. Inoltre secondo la Corte la limitazione dell’ambito di applicazione della direttiva di cui all’art. 2 n. 2, lett. b), riguarda altri reati diversi da quello del soggiorno irregolare. Questo significa che in tutti i casi di procedimento per il reato di ingresso e di soggiorno irregolare si deve rispettare la direttiva. L’espulsione conseguente a tale reato deve essere eseguita in conformità alla direttiva.

La Corte ripete il principio già espresso in El Dridi, secondo cui gli Stati possono prevedere sanzioni penali nei confronti degli stranieri non regolarmente soggiornanti quando le misure coercitive non hanno consentito di realizzare l’allontanamento di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare e non vi siano motivi che ostacolano il rimpatrio.

Infine la Corte aggiunge in maniera laconica e ridondante che gli Stati possono prevedere norme anche penali nei casi nei quali non è stato realizzato l’allontanamento di un cittadino di paese terzo ma esse devono rispettare anche i diritti fondamentali derivanti dalla CEDU.

 

  1. EFFETTI SUL REATO EX ART. 10-BIS

Di fronte alla Corte è ancora pendente la causa C-430/11, SAGOR MD, con la quale il Tribunale di Rovigo ha sollevato una questione pregiudiziale di interpretazione della direttiva rimpatri in relazione all’art. 10-bis, 13, 14 e 16 del Testo unico 286/1998 in combinato disposto con gli articoli 55 e 62-bis del Decreto legislativo n. 274/2000.

 

I quesiti sollevati dal Tribunale di Rovigo sono i seguenti:

“– se, alla luce dei principi di leale cooperazione e di effetto utile delle direttive, gli articoli 2, 4, 6, 7, 8 della direttiva 2008/115/CE ostino alla possibilità che un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare per lo Stato membro venga sanzionato con una pena pecuniaria sostituita come sanzione penale dalla detenzione domiciliare in conseguenza del suo mero ingresso e permanenza irregolare, ancora prima della inosservanza di un ordine di allontanamento emanato dall’autorità amministrativa.

– se, alla luce dei principi di leale cooperazione e di effetto utile delle direttive, gli articoli 2, 15 e 16 della direttiva 2008/115/CE ostino alla possibilità che, successivamente all’emanazione della Direttiva, uno stato membro possa emettere una norma che prevede che un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare per lo Stato membro venga sanzionato con una pena pecuniaria sostituita dall’espulsione immediatamente eseguibile come sanzione penale senza il rispetto della procedura e dei diritti dello straniero previsti dalla Direttiva.

- se il principio di leale cooperazione di cui all’art. 4, par. 3, TUE, osti ad una norma nazionale adottata in pendenza del termine di attuazione di una direttiva per eludere o, comunque, limitare l’applicazione di applicazione della direttiva, e quali provvedimenti debba adottare il giudice nel caso rilevi siffatta finalità”.

 

·                    Quanto all’interpretazione dell’art. 2, punto 2, lett. b, la Corte ha già dato una chiara risposta in questa sentenza: la Corte ne afferma, infatti, chiaramente l’interpretazione restrittiva.

Ciò significa che l’espulsione conseguente al reato di ingresso e soggiorno irregolare deve sempre essere disposta ed eseguita secondo le regole previste nella direttiva rimpatri: non si potrà avere dunque quella sottrazione alle regole previste nella direttiva poiché l’art. 2, punto 2, lett. b), concerne reati diversi da quelli che sanzionano il soggiorno irregolare.

Poiché le sentenze rese in via pregiudiziale non si esauriscono nel procedimento nazionale che ha originato la sentenza ma producono effetti in tutti gli ordinamenti dell’Unione europea,  è già possibile fare tesoro di questo principio interpretativo e applicarlo in Italia in qualsiasi situazione venga in rilievo.

La Corte afferma chiaramente che chi è in soggiorno irregolare deve essere primariamente soggetto ad una decisione di rimpatrio: questo può essere in contraddizione con il sistema in vigore in Italia dove si prevede prima la sanzione dell’irregolarità del soggiorno e poi l’espulsione;

·                    la Corte ribadisce più volte che gli Stati sono liberi di sanzionare anche come reato il soggiorno irregolare e che la direttiva non lo vieta; il reato è quindi fatto salvo dalla Corte anche se nella causa Sagor si prospetta un’argomentazione secondo la quale il sistema delle direttiva esclude il ricorso alle sanzioni penali. Alla luce di questa sentenza è quasi certo che la Corte non l’accoglierà.

·                    la Corte accentua rispetto alla sentenza El Dridi l’argomentazione dell’incompatibilità delle sanzioni che risultano ostacolare l’esecuzione della decisione di rimpatrio. Il reato di ingresso e soggiorno irregolare ai sensi dell’art. 10-bis potrebbe essere in gran parte fatto salvo nella misura in cui vi è un favor per l’espulsione e, quindi, la sanzione, anche con le sue misure sostitutive, non va ad ostacolare l’esecuzione dell’espulsione.

·                    sorprendentemente la Corte afferma che la direttiva non vieta di qualificare come reato il soggiorno irregolare e anche di irrogare sanzioni penali compresa la detenzione (punto 32): questa parte sembrerebbe a prima vista in contraddizione con quanto affermato in El Dridi. Tuttavia il punto è collocato alla fine della parte nella quale la Corte ripercorre il contenuto della direttiva che, in effetti, non vieta espressamente agli Stati di prevedere tali sanzioni. Rimane quindi non modificato il principio El Dridi secondo cui la detenzione non è ammissibile perché interferisce con la decisione di rimpatrio come afferma chiaramente più avanti.

 

  1. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Per la seconda volta la Corte afferma che una normativa nazionale che dispone sanzioni penali nei confronti dello straniero non regolarmente soggiornante è incompatibile con la direttiva.

È plausibile che la Corte abbia ribadito, in modo sin troppo ripetitivo, la libertà degli Stati di adottare norme penali in questa materia proprio perché per la seconda volta afferma la limitazione di tale libertà rispetto a norme-manifesto sbandierate come norme chiave delle politiche migratorie nazionali.

In sintesi la Corte ribadisce che gli Stati possono adottare sanzioni penali ma poi limita molto la discrezionalità degli Stati: non è possibile la detenzione ma sono possibili altre sanzioni che, però, difficilmente possono essere inflitte.

Il principio secondo cui gli Stati devono prioritariamente procedere al rimpatrio andrebbe valorizzato poiché potrebbe indurre a ritenere che non solo sono escluse le sanzioni che ostacolano l’esecuzione della direttiva ma anche quelle che sono del tutto inutili rispetto a tale fine. Secondo il principio di proporzionalità, infatti, l’azione dell’Unione non va al di là di quanto necessario per conseguire lo scopo perseguito e tale principio generale deve essere rispettato anche dagli Stati quando agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.