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14.09.2011
 
Amnesty International - Rapporto sulla situazione in Libia
 
Amnesty International ha diffuso il rapporto "La battaglia per la Libia: uccisioni, sparizioni e torture" sulle violazioni dei diritti umani durante il conflitto libico.

Nelle 107 pagine l'organizzazione denuncia che durante il conflitto le forze pro-Gheddafi hanno commesso crimini di diritto internazionale su vasta scala, ma accusa anche le forze leali al Cnt di violazioni dei diritti umani che in alcuni casi si configurano come crimini di guerra.
Il rapporto si basa prevalentemente sulle ricerche effettuate da Amnesty International in Libia tra il 26 febbraio e il 28 maggio 2011 e che hanno riguardato, tra le altre, le città di al-Bayda, Ajdabiya, Brega, Bengasi, Misurata e Ras Lanouf. Una delegazione di Amnesty International è tornata in Libia nella seconda parte di agosto, giorni prima che l'opposizione conquistasse Tripoli.

Amnesty International ha riscontrato prove di crimini di guerra e di violazioni che possono costituire crimini contro l'umanità commessi da parte delle forze pro-Gheddafi durante il conflitto, tra cui attacchi indiscriminati, uccisioni di massa di prigionieri, torture, sparizioni forzate e arresti arbitrari. Nella maggior parte dei casi, le vittime di queste violazioni erano civili.

A essere particolarmente in pericolo continuano a essere i cittadini stranieri di paesi africani. Tra un terzo e la metà di tutte le persone detenute a Tripoli e ad al-Zawiya è di origine straniera; Amnesty International ritiene che la maggior parte di esse sia costituita da lavoratori migranti e non combattenti.

Per quanto riguarda l'Italia e l'Unione europea, il rapporto di Amnesty International sottolinea che da quando è iniziata la rivolta in Libia, molte persone hanno dovuto affrontare viaggi pericolosi, a volte fatali, attraversando il mar Mediterraneo verso le coste europee. Pur avendo ricevuto in questi mesi soltanto il 2 per cento dei richiedenti asilo, rifugiati e migranti fuggiti dalla Libia, gli stati dell'Unione europea non hanno esitato a parlare di un "afflusso di massa", causato dall'instabilità nell'Africa del Nord e hanno continuato a perseguire politiche di controllo delle frontiere a spese dei diritti umani. Gli stati dell'Unione europea e la Nato non hanno adottato tutte le misure necessarie per garantire ai civili in fuga dalla Libia di mettersi in salvo, pur essendo la protezione dei civili la ragion d'essere dichiarata dell'intervento della Nato in Libia. Dal marzo 2011, si ritiene che almeno 1500 persone siano morte in mare.

Questo segue a un periodo di intensa collaborazione con il governo del colonnello Gheddafi, cooperazione che ha di fatto dato sostegno a prassi abusive nei confronti di rifugiati e migranti e rispetto alla quale l'Italia ha giocato un ruolo fondamentale. Più di recente l'Italia, con una scelta che solleva le preoccupazioni di Amnesty International, si è impegnata in un memorandum firmato con il Cnt a un'assistenza reciproca e alla cooperazione nella "lotta alla migrazione illegale", incluso il "rimpatrio di migranti illegali". La firma di questo memorandum mentre in Libia infuriava il conflitto, in totale assenza di adeguate garanzie per i diritti umani e per il diritto dei rifugiati, solleva profondi timori che i diritti umani di migranti e rifugiati vengano ancora una volta sacrificati dalle politiche europee verso la Libia.

Il rapporto di Amnesty International sottolinea che è il momento che gli stati dell'Unione europea riflettano sull'impatto che politiche migratorie praticate nei confronti dei paesi della sponda sud del Mediterraneo hanno avuto sui diritti umani e pongano finalmente la protezione dei diritti umani e dei rifugiati al centro delle proprie decisioni.

Il rapporto in inglese  e arabo.

Fonte: Amnesty International