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09.09.2011
 
Corte di Giustizia europea: la clausola di standstill dell’Accordo di associazione CEE-Turchia puo’ essere invocata anche dal cittadino turco che intende esercitare un’attività’ di lavoro autonomo, pur essendo stato autorizzato al soggiorno con l’espresso divieto del suo esercizio
 

Con la sentenza del 21 luglio 2011, nella causa Oguz contro Regno Unito (causa C-186/10), la  Corte di Giustizia dell’Unione europea ha concluso che l’art. 41 , n. 1 del Protocollo addizionale all’Accordo di Associazione CEE-Turchia, che prevede una clausola di standstill, per cui le parti non possono introdurre nuove restrizioni alla liberta’ di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi nei confronti dei cittadini dell’altra Parte, puo’ essere invocata anche dal cittadino turco che abbia intrapreso nello Stato membro dell’Unione europea un’attività’ di lavoro autonomo, nonostante il suo soggiorno in detto Paese sia stato autorizzato con l’espressa condizione che egli non avvii attività di natura commerciale o professionale. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, non ha rilievo quale sia la condizione di soggiorno del cittadino turco nel Paese membro, alla data in cui presenta la domanda di stabilimento,  in quanto la condizione di standstill non gli conferisce un diritto sostanziale al soggiorno per motivi di lavoro non subordinato nel Paese membro, ma solo un diritto procedimentale, cioè la garanzia che nell’esaminare la sua istanza lo Stato membro dovrà fare riferimento alla normativa sull’immigrazione in vigore all’entrata in vigore del Regolamento CEE 19.12.1972, n. 2760 (GU CE L 293), con il quale il Protocollo addizionale e’ stato approvato e ratificato a nome della Comunità europea, senza tenere conto delle eventuali restrizioni  operate successivamente dalla legislazione sull’immigrazione dello Stato membro.