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08.09.2011
 
Corte di Cassazione: I cittadini marocchini regolarmente soggiornanti in Italia hanno diritto alle prestazioni d’invalidità’ anche se non in possesso del permesso di soggiorno di lungo periodo
 

La Suprema Corte di Cassazione, sez. lavoro, con sentenza n. 17966 depositata il 1 settembre scorso, ha respinto il ricorso proposto dall’INPS contro la sentenza della Corte di Appello di Torino n. 1261/07 che aveva riconosciuto ad un cittadino marocchino regolarmente soggiornante in Italia, ma non in possesso della carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, il diritto all’accesso alla pensione di inabilita’ di cui all’art. 12 della legge n. 118 del 1971, negatagli dall’INPS.

Secondo la Corte di Appello di Torino, il cittadino marocchino aveva diritto ad accedere alla pensione di inabilità al pari dei  cittadini italiani, in virtù della clausola di parita’ di trattamento e di divieto di discriminazioni in materia di sicurezza sociale prevista dall’ Accordo di Associazione euromediterraneo firmato tra la Comunità europea ed il Regno del Marocco ( Art. 65 dell’Accordo pubblicato sulla GU CE L 70 del 18 marzo 2000). Tale disposizione - in base alla quale  ogni Stato membro deve accordare ai lavoratori marocchini regolarmente residenti  e ai loro familiari un regime caratterizzato dall’assenza di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità rispetto ai cittadini nazionali, per quanto riguarda le prestazioni di  sicurezza sociale - in quanto norma di diritto comunitario di diretta ed immediata applicazione negli ordinamenti interni degli Stati membri, impone all’Amministrazione di disapplicare ogni normativa di diritto interno ad essa configgente e, nello specifico, l’art. 80 c. 19 della legge n. 388/2000, che aveva introdotto il requisito della carta di soggiorno per l’accesso dei cittadini extracomunitari all’assegno sociale e alle prestazioni di assistenza sociale che costituiscono diritti soggettivi ai sensi della legislazione vigente, tra cui quelle d’invalidità’.

L’INPS aveva presentato ricorso sostenendo che la previsione dell’Accordo di Associazione non poteva trovare applicazione alla materia dell’assegno di inabilità, in quanto la nozione di “sicurezza sociale” contenuta nell’Accordo di Associazione CE-Marocco doveva riferirsi alle sole prestazioni previdenziali sorrette da meccanismi contributivi, escludendosi l’estensione della sua portata applicativa anche alle prestazioni di assistenza sociale, cui l’assegno di inabilità viene fatto ricadere.

In questo senso, l’INPS aveva fatto riferimento nel ricorso ad un precedente di Cassazione ( Corte di Cassazione, sez. lavoro, sentenza 29 settembre 2008, n. 24278 ) che aveva affermato che  l'istituto dell'assegno familiare  per i nuclei familiari numerosi ed in condizioni di disagio economico ex art. 65 della legge n. 448/1998 non poteva essere riconosciuto ai lavoratori di nazionalità tunisina, in quanto l'art. 65 della L. n. 35/1997, che ha ratificato l'accordo di Associazione euro-mediterraneo  del 17 luglio 1995 tra la Comunità europea e la Tunisia, garantirebbe la parità di trattamento solo in materia di previdenza sociale.

Tale equiparazione invece non si estenderebbe alla fruizione delle prestazioni di natura assistenziale riconosciute dal legislatore italiano ai cittadini indigenti a prescindere dalla loro appartenenza alla categoria dei lavoratori e quindi dalla loro effettiva capacità contributiva. Secondo la ricostruzione fatta propria allora dalla Cassazione nella sentenza risalente al 2008, le prestazioni assistenziali a natura non contributiva, come ad esempio l'assegno per i nuclei familiari numerosi con almeno tre figli minori a carico e in disagiate condizioni economiche di cui  all'art. 65 della legge n. 448/1998, non rientrerebbero nel campo di applicazione ratione materiae del principio di non discriminazione in materia di sicurezza sociale così come sancito dall'Accordo di associazione. La Corte di Cassazione aveva cosi’ confermato l'orientamento espresso nei precedenti gradi di giudizio dal Tribunale di Marsala (sent. 17.04.2002) e dalla Corte d'Appello di Palermo (sent. 17.01.2005), in base al quale il principio della parità di trattamento, previsto dall'Accordo Euromediterraneo tra CE e Tunisia (e analogo principio è contenuto negli analoghi accordi sottoscritti tra CE e rispettivamente Marocco, Algeria, nonché nella Decisione del Consiglio di applicazione dell'Accordo di Associazione CE-Turchia), non sarebbe applicabile alle prestazioni di assistenza sociale, ma solo a quelle di natura previdenziale, sorrette cioè da meccanismi contributivi.

La decisione presa allora dalla  Cassazione non era condivisibile, perchè, nel ritenere che l'assegno al nucleo familiare, costituendo una prestazione di natura assistenziale, non poteva rientrare  nel campo di applicazione dell'accordo di Associazione Euromediterraneo, il giudice di legittimità aveva interpretato le norme di tale accordo fondandosi esclusivamente su una distinzione caratteristica del diritto italiano, senza peraltro considerare  che la giurisprudenza comunitaria aveva gia’ da tempo elaborato  dei criteri che consentono di stabilire se una prestazione, anche se di tipo non contributivo, rientri o meno nel campo di applicazione materiale del principio di non discriminazione in materia di “sicurezza sociale” contenuto in taluni di questi   Accordi euromediterranei.

Secondo, infatti,  l'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea,  la  nozione di   "sicurezza sociale" contenuta nei citati Accordi euromediterranei  - ed ancor prima negli accordi di cooperazione che li hanno preceduti- deve essere intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento CEE n. 1408/71 (ora sostituito dal Regolamento CE n. 883/2004)  . In altri termini, l'interpretazione del diritto comunitario, cui appartengono a pieno titolo le norme dei suddetti accordi di associazione euro-mediterranei, deve avvenire non sulla base delle nozioni caratteristiche del diritto interno dei singoli paesi membri, bensì deve fondarsi sulle  nozioni di diritto comunitario sviluppate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea. Il Regolamento comunitario n. 1408/71 (ora Regolamento (CE) n. 883/04), a partire dalle modifiche apportate dal Regolamento del Consiglio 30/4/1992 n. 1247, include  nella nozione di "sicurezza sociale" oltre alle “prestazioni familiari”, designate come le “prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari “  (art. 1 lett. z) Reg. CE n. 883/2004),  anche quelle "prestazioni speciali a carattere non contributivo", che hanno caratteristiche miste, tanto della legislazione in materia prettamente previdenziale, quanto di quella relativa all’assistenza sociale,  [incluse quelle] destinate alla tutela specifica delle persone con disabilità,   [...] ed elencate nell'allegato II bis (ora allegato X del  Regolamento CE n. 883/2004, art. 70), che per quanto concerne l‘Italia, menziona espressamente quelle prestazioni che costituiscono diritti soggettivi in base alla legislazione vigente in materia di assistenza sociale cioè la pensione sociale, le pensioni e le indennità ai mutilati ed invalidi civili, ai sordomuti, ai ciechi civili, gli assegni per assistenza ai pensionati per inabilità. Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea ed  in virtù della dinamica espansiva della nozione di sicurezza sociale da essa sviluppata, debbono essere intese quali prestazioni “miste” ai sensi dell’art. 70 del Regolamento n. 883/2004 e dunque comprese nella  sfera di applicazione ratione materiae del Regolamento comunitario, quelle  prestazioni   a   carattere non  contributivo, per le quali la legislazione interna fissa  i criteri e i requisiti soggettivi e oggettivi per l'erogazione delle medesime,  e che non derivano invece da una valutazione individualizzata delle condizioni di bisogno delle persone lasciata alla discrezionalità degli enti locali .
Al fine di essere chiari ed esaustivi, vale la pena citare interamente le conclusioni tratte dalla Corte di Giustizia Europea dopo essere stata interpellata dal giudice nazionale belga in merito all'applicabilità della clausola di non-discriminazione in materia di "sicurezza sociale" prevista  dal precedente accordo di cooperazione tra Comunità Europee e Algeria, firmato nel 1976 e poi sostituito dall'Accordo euromediterraneo di Associazione,  in riferimento ad una prestazione sociale non contributiva   per disabilità: "Per quanto riguarda,.., la nozione di previdenza sociale che figura in questa disposizione, dalla citata sentenza Krid (punto 32) e, per analogia, dalle citate sentenze Kziber (punto 25), Yousfi (punto 24) e Hallouzi-Choco (punto 25) risulta che essa va intesa allo stesso modo dell'identica nozione contenuta nel regolamento n. 1408/71. Ora dopo la modifica operata dal regolamento (Cee) del Consiglio 30/04/1992 n. 1247, il regolamento n. 1408/71 menziona esplicitamente all'art. 4, n. 2 bis, lett. b ) (vedi anche l'art. 10 bis, n. 1, e l'allegato II bis di questo regolamento), le prestazioni destinate a garantire la tutela specifica dei minorati. Del resto, anche prima di questa modifica del regolamento n. 1408/71, costituiva giurisprudenza costante, sin dalla sentenza 28/5/1974, causa 187/73, Callemeyn (Racc. p. 553), che gli assegni per minorati rientravano nell'ambito di applicazione ratione materiae di questo regolamento... Di conseguenza, il principio,..., dell'accordo, che vieta qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza nel campo della previdenza sociale dei lavoratori migranti algerini e dei loro familiari con essi residenti rispetto ai cittadini degli Stati membri in cui essi sono occupati comporta che le persone cui si riferisce questa disposizione possono aver diritto agli assegni per minorati alle stesse condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini degli Stati membri interessati" (Corte di Giustizia europea 15/01/1998 C-113/97 caso Henia Babahenini c. Stato Belga).
Con riferimento alla normativa belga sul reddito minimo garantito per le persone anziane, l'equivalente dell'assegno sociale italiano,  e che escludeva da tale provvidenza i cittadini  stranieri a meno che non beneficino già di una pensione di invalidità o di reversibilità, la Corte di Giustizia Europea, ord. 17 aprile 2007 (caso Mamate El Youssfi c. Office National des Pensions) ha concluso che "l'art. 65, n. 1, primo comma, dell'Accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall'altra, firmato a Bruxelles il 26 febbraio 1996 e approvato a nome delle dette Comunità con la decisione del Consiglio e della Commissione 24 gennaio 2000, 2000/204/CE, CECA, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che lo Stato membro ospitante rifiuti di accordare il reddito minimo garantito per le persone anziane ad una cittadina marocchina che abbia raggiunto i 65 anni di età e risieda legalmente nel territorio del detto Stato, qualora costei rientri nell'ambito di applicazione della succitata disposizione per avere essa stessa esercitato un'attività di lavoro dipendente nello Stato membro di cui trattasi oppure a motivo della sua qualità di familiare di un lavoratore di cittadinanza marocchina che è od  è stato occupato in questo medesimo Stato".

La Corte di Cassazione italiana, con la sentenza ora depositata, compie dunque un revirement rispetto al suo precedente giurisprudenziale, e prende finalmente atto della corretta portata applicativa della clausola di parita’ di trattamento in materia di sicurezza sociale contenuta negli Accordi euromediterranei, sottolineando che la pensione richiesta dal lavoratore marocchino, costituisce  prestazione assistenziale e non previdenziale, “ma non vi e’ sovrapposizione tra il concetto comunitario di sicurezza sociale e quello nazionale di previdenza sociale”. Infatti, prosegue la Corte di Cassazione “il concetto comunitario di sicurezza sociale deve essere valutato alla luce della normativa e della giurisprudenza comunitaria per cui deve essere considerata previdenziale una prestazione  attribuita ai beneficiari prescindendo da ogni valutazione individuale o discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad una situazione legalmente definita e riferita ad uno dei rischi elencati nell’art. 4 c. 1 del Regolamento n. 1408/71, dove sono incluse le prestazioni di invalidità”. La Corte di Cassazione, dunque, conclude che “la Corte di Appello di Torino aveva fatto una corretta applicazione del principio di diritto secondo il quale il giudice nazionale deve disapplicare la norma dell’ordinamento interno, per incompatibilità con il diritto comunitario, sia nel caso in cui il conflitto insorga con una disciplina prodotta dagli organi comunitari mediante Regolamento, sia nel caso in cui il contrasto sia determinato da regole generali dell’ordinamento comunitario, ricavate in sede di interpretazione dell’ordinamento stesso da parte della  Corte di Giustizia europea” (Cass. sentenza n. 26897/2009).

Prima della sentenza di Cassazione dd. 1 settembre 2011, diversi tribunali di merito si erano espressi a favore dell’applicabilità’ diretta nell’ordinamento italiano della clausola di parita’ di trattamento e non discriminazione in materia di sicurezza sociale contenuta negli accordi di associazione euro-mediterranei. Si possono citare al riguardo tre decisioni giurisdizionali:

Tribunale di Genova, ordinanza 3 giugno 2009, Ahmed CHAWQUI c. INPS (relativo all’assegno di invalidità); Tribunale di Verona, ordinanza 14 gennaio 2010, n. 745/09 (relativo all’indennità speciale per i ciechi); Corte di Appello di Torino, sentenza n. 1273/2007 dd. 14.11.2007  (indennità di accompagnamento).

 Si ricorda  che  clausole di parita’ di trattamento e non discriminazione in materia di sicurezza sociale, del tutto analoghe a quella prevista dall’art. 65 dell’Accordi euromediterraneo CEE-Marocco, sono contenute  negli analoghi accordi firmati tra CE e Algeria (es. l'art. 68 dell'Accordo euromediterraneo con l'Algeria firmato il 22 aprile 2002 ed entrato in vigore il 10 ottobre 2005), tra CE e    Tunisia (accordo firmato il 17.07.1995 ed entrato in vigore il 01.03.1998),  ma non invece in quelli sottoscritti con  Egitto, Israele, Regno di Giordania, Palestina.

Una portata applicativa analoga va attribuita alla clausola di parita’ di trattamento e non discriminazione contenuta a favore dei lavoratori turchi e loro familiari regolarmente soggiornanti in un Paese membro nella decisione n. 3/80 del Consiglio d’Associazione CEE-Turchia relativo al coordinamento  dei regimi di sicurezza sociale.

 In conclusione, anche alla luce dell’orientamento ora espresso dalla Cassazione, si possono dunque   elencare le seguenti situazioni di incompatibilità tra il principio  di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale a favore dei destinatari  delle norme di cui agli accordi euromediterranei  da un lato, e la legislazione interna italiana dall’altro e che richiederebbero quindi, da parte delle Amministrazioni interessate, ovvero da parte dei giudici in caso di contenzioso, la disapplicazione della norma interna incompatibile con gli obblighi derivanti dal diritto UE:

         Art. 80 c. 19 L. n. 388/2000 (carta di soggiorno o permesso di soggiorno CE lungo soggiornanti come requisito di accesso all’assegno sociale e alle  prestazioni di assistenza sociale che costituiscono diritti soggettivi ai sensi della legislazione vigente), gia’ peraltro dichiarato incostituzionale da diverse pronunce della Corte Costituzionale (n. 306/2008, 11/2009, 285/2009, 187/2010, 60/2011);

         Art. 41 d.lgs. n. 286/98 (accesso alle prestazioni di assistenza sociale vincolato al possesso di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno) qualora tali prestazioni non abbiano una caratteristica generale, ma possano ricollegarsi ad una delle categorie della “sicurezza sociale” elencate nell’art. 4.1 del Regolamento n. 1408/71 (ora Regolamento CE n. 883/2004) (ad es. prestazioni familiari)

         Art. 74 d.lgs. 151/2001 (assegno di maternità di base per ogni figlio nato in nuclei familiari in condizioni di   disagio economico) (accesso per le donne extracomunitarie riservato alle titolari di permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti)

         Art. 65 L. 448/98 (assegno INPS ai nuclei familiari numerosi con almeno tre figli minori) (clausola di cittadinanza, italiana o di un paese membro dell’UE);

         Art. 81 d.l. n. 112/2008, convertito nella legge n. 133/2008 (c. 32) (“carta acquisti” riservata agli anziani over 65  e bambini under 3 – clausola di cittadinanza italiana

         Art. 19 comma 18 legge n. 2/2009 (“carta bambini”: rimborso delle spese per pannolini e latte artificiale)- clausola di cittadinanza italiana

         Art. 20 c. 10 d.l. n. 112/2008, convertito con legge n. 133/2008 (requisito di anzianità di residenza decennale in Italia ai fini dell’accesso all’assegno sociale a partire dal 1 gennaio 2009) – discriminazione indiretta o dissimulata  fondata sull’anzianità’ di  residenza .

 

Commento a cura di Walter Citti, consulente ASGI, servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose, Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.