Documento a cura dell' A.S.G.I.
Web: http://www.asgi.it

segreteria@asgi.it
info@asgi.it
 
 
15.07.2011
 
Sanatoria truffa: il Tribunale di Milano condanna come discriminatorio il comportamento del Ministero dell’Interno che impedisce agli stranieri esclusi illegittimamente dalla procedura di emersione per effetto dell’applicazione dell’art. 14 c. 5 ter d.lgs. n. 286/98 di poter chiedere la riapertura del procedimento
 

È quanto emerge dalla sentenza depositata il 13 luglio  dal giudice del lavoro Silvia Ravazzoni, del tribunale  di Milano, che ha accolto il ricorso/azione anti-discriminazione, presentato contro il Ministero dell'Interno  da Mahdi Hammami, immigrato egiziano, nonché da CGIL-CISL-UIL, Avvocati per Niente, ARCI Milano, Comunità Nuova ONLUS.

Nel settembre 2009, in occasione della sanatoria per colf e badanti, il datore di lavoro di Hammami aveva richiesto l'emersione dell'interessato ed il conseguente rilascio del permesso di soggiorno. Richiesta respinta in quanto l'immigrato egiziano risultava essere stato condannato, qualche anno prima, in base all'art. 14 c. 5 ter del d.lgs. n. 286/98 per non aver ottemperato all'ordine di espulsione del Questore.

Il caso Hammami nasce all'indomani della sanatoria per colf e badanti. Tra le circa 300mila domande presentate, ce ne sono migliaia di immigrati che, negli anni precedenti, hanno ricevuto l'ordine di espulsione. Tra questi, molti, fermati una seconda volta dalla forze dell'ordine, sono stati condannati per "mancata ottemperanza all'ordine di espulsione" (da 1 a 4 anni di carcere). Il problema nasce quando il Governo decide di concedere la regolarizzazione solo agli espulsi che non erano stati oggetto di sanzione penale, mentre la nega a quelli condannati.

Il 28 aprile 2011 la Corte di giustizia europea ha stabilito che il reato per cui era stato perseguito anche Hammami è contrario a quanto previsto dalla Direttiva europea "rimpatri" n. 115/2008. La pronuncia della Corte di Giustizia europea evidenzia l'illegittimità anche delle prassi messe in atto dal Ministero dell'Interno in materia di procedura di emersione ex legge n. 102/2009, come definitivamente chiarito dalle sentenze del Consiglio di Stato n. 7 e 8 /2011 dd. 10 maggio 2011.  Secondo tali pronunce del Consiglio di Stato, infatti,  con l'entrata in vigore della citata normativa comunitaria, il reato di immigrazione irregolare previsto dall'art. 14 c. 5 ter del T.U. immigrazione deve ritenersi abolito con effetti retroattivi, facendo così cessare anche ogni eventuale effetto impeditivo all'emersione dal lavoro irregolare prevista dalla legge n. 102/2009.

 Nonostante le pronunce del Consiglio di Stato, solo  il  24  maggio  il Ministero dell'Interno emana la circolare  n. 3958 che apre le porte alla revisione dei provvedimenti delle Prefetture che avevano precedentemente dichiarato inammissibili le domande di emersione del lavoro irregolare, specificando anche le modalità con cui gli Sportelli Unici dovevano rispondere nei casi in cui i procedimenti fossero stati già conclusi o fossero ancora in corso.

Due giorni dopo, tuttavia,  con la circolare n. 4027 del 26 maggio 2011, il Ministero dell'Interno rende noto di avere temporaneamente sospeso tutte le indicazioni contenute nella prima circolare per approfondire le valutazioni sull'argomento. Solo il 5 luglio, dopo il deposito di due ricorsi anti-discriminazione a Milano e Brescia,   il Viminale emana una nuova circolare in cui riconosce anche agli stranieri la cui istanza di emersione era stata definitivamente rigettata la possibilità di un riesame, ma solo in presenza di una richiesta in tal senso dal  datore di lavoro che aveva presentato l'originaria istanza di emersione.

Il giudice del lavoro del Tribunale di Milano ha ritenuto che la norma contenuta nella circolare n. 4027 del Ministero dell'Interno ha un contenuto discriminatorio in quanto, impedendo al cittadino straniero la regolarizzazione cui avrebbe diritto, non rende al medesimo fruibile la parità di trattamento con i lavoratori nazionali spettante ai lavoratori migranti regolarmente soggiornanti. Ne consegue dunque la sussistenza di una fattispecie discriminatoria fondata sulla nazionalità o origine nazionale  proibita ai sensi dell'art. 43 del T.U. immigrazione.

Il giudice del lavoro ha tuttavia respinto la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale  in quanto il ricorrente  non ha soddisfatto il requisito della prova di aver posseduto un rapporto di lavoro oltre al periodo strettamente necessario per accedere alla procedura di emersione. Ugualmente respinta la richiesta avanzata dai ricorrenti affinché il giudice ordini la pubblicazione dell'ordinanza a carico del Ministero dell'Interno su un quotidiano di alta diffusione nazionale e sul sito del Ministero. Al riguardo la motivazione del giudice appare discutibile, in quanto  specifica che tale forma di pubblicità risulterebbe superflua in quanto i lavoratori stranieri cui dovrebbe essere diretta "difficilmente attingono ai quotidiani nazionali", un giudizio questo che sembra rimandare ad uno stereotipo.   



A cura del Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.