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22.03.2011
 
CEDU: L’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane non viola la Convenzione europea dei diritti dell’uomo
 

Nella sentenza definitiva della  Grande Camera, pronunciata il 18 marzo 2011 nel caso Lautsi e altri c. Italia (ricorso n. 30814/06), la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha concluso a maggioranza (quindici voti contro due) che l'esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche italiane non viola l'articolo 2 del Protocollo n. 1 alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo relativo al diritto all'istruzione.
Secondo i ricorrenti,  la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia era  incompatibile con l'obbligo dello Stato di rispettare, nell'esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un'educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche.

L'istanza di primo grado della Corte di Strasburgo, con la sentenza del 3 novembre 2009, aveva accolto il ricorso, ma il Governo italiano aveva chiesto il rinvio del caso dinanzi alla Grande Camera.

Con la sua decisione, la  Corte di Strasburgo ha riconosciuto la sussistenza di un obbligo in capo agli Stati membri del Consiglio d'Europa di rispettare le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori non riguardante solo il contenuto dell'istruzione, ma anche  le modalità in cui viene essa dispensata, e che finisce per comprendere anche l'allestimento degli ambienti scolastici pubblici.

Poiché la decisione riguardante la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche attiene alle funzioni assunte dallo Stato italiano, essa rientra pertanto nell'ambito di applicazione dell'articolo 2 del Protocollo no 1.

Secondo la Corte, se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l'eventuale influenza che l'esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni per cui non appare che tale esposizione possa integrare un'opera d'indottrinamento da parte dello Stato italiano atta così a  determinare una violazione degli obblighi previsti dall'articolo 2 del Protocollo n. 1.

Infatti, la Corte ha ritenuto  che la visibilità preponderante che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche pubbliche garantisce alla religione cattolica in quanto religione maggioritaria in Italia non sostanzia un‘opera di indottrinamento in quanto non si accompagna  ad un insegnamento obbligatorio del cristianesimo, lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni come dimostra il fatto che venga consentito agli alunni di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa, e  le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione. La Corte sottolinea  inoltre come non siano state rilevate nel corso del procedimento pratiche di insegnamento nelle scuole pubbliche italiane volte al proselitismo. Ugualmente ha rilevato come  sia  pienamente salvaguardato il diritto della ricorrente , in quanto genitrice, di spiegare e consigliare i suoi figli e di orientarli verso una direzione conforme alle proprie convinzioni filosofiche.

La Corte ha fatto riferimento ad una sua precedente giurisprudenza ove aveva affermato il principio per cui il ruolo preponderante di una religione nella storia di un Paese può legittimare  lo spazio maggiore che nel programma scolastico venga assegnato a tale religione rispetto alle altre, senza che questo possa   costituire un'opera di indottrinamento vietata dalla Convenzione europea (sentenza Folgerø c. Norvegia,  29 giugno 2007 e Zengin c. Turchia, 8 ottobre 2007).

La Corte ha dunque escluso che l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche pubbliche  sostanzia una discriminazione vietata dall'art. 14 della CEDU.