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07.10.2010
 
Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005
 
Finalmente anche lo Stato italiano, il 3 giugno scorso, ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione n. 197 del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta degli esseri umani.
Sulla Gazzetta Ufficiale n. 163 del 15 luglio 2010 è stata pubblica la Legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione, nonché norme di adeguamento interno.
La Convenzione, sottoscritta a Varsavia il 16 maggio 2005, era già entrata in vigore poiché ratificata da un numero sufficiente di Stati in base a ciò che era stato previsto dall’art. 42, ma l’Italia sino ad oggi si era limitata a sottoscriverla.
La valenza della Convenzione, che rappresenta uno degli strumenti più importanti nel panorama sopranazionale in materia di tratta di esseri umani, risiede innanzitutto nell’adozione di una prospettiva fondata sulla centralità dei diritti umani e nell’enunciazione del principio fondamentale in base al quale la protezione e promozione dei diritti delle vittime di tratta devono essere assicurate senza discriminazione alcuna.
Nel testo della Convenzione convivono gli aspetti relativi alla repressione del crimine e quelli connessi alla protezione delle vittime e tutela dei diritti di queste ultime, sebbene emerga una tendenza a dare priorità a quest’ultimo versante, proprio nell’ottica dell’approccio fondato sulla tutela dei diritti umani.
Gli obiettivi che si pone la Convenzione, come dichiarato nell’art. 1, sono la prevenzione e repressione della tratta, la protezione dei diritti delle vittime e la promozione della cooperazione internazionale nel campo della lotta alla tratta.
Assume particolare rilievo, ai fini dell’effettivo ingresso nel nostro ordinamento, la definizione di “tratta di esseri umani” contenuta nell’art. 4, definizione che prevalentemente coincide con quella contenuta nell’art. 601 del nostro codice penale – così come modificato dalla legge 228/03 – ma che ricalca con maggior precisione la definizione contenuta nel protocollo addizionale sulla tratta della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale del 2000.
La norma, oltre a fornire un elenco delle tipologie di sfruttamento cui può essere destinata la vittima di tratta – tra cui anche lo sfruttamento nell’ambito del lavoro - prevede, così come il protocollo delle Nazioni Unite, che l’elemento del consenso della vittima allo sfruttamento sia irrilevante in presenza di uno dei metodi coercitivi previsti dalla norma stessa; prevede inoltre – anche in questo caso in linea con il protocollo ONU - che, in caso di minore, si configuri la tratta di esseri umani anche a prescindere dai mezzi coercitivi di cui sopra.
Tali specificazioni potranno essere d’ausilio negli interventi di assistenza alle vittime di tratta a fronte della realtà mutevole del fenomeno: le trasformazioni avvenute nel corso degli ultimi anni nell’ambito dello sfruttamento sessuale, con particolare riferimento ad alcune nazionalità delle vittime, rendono necessario che le norme riconoscano la qualifica di vittima alla persona che è oggetto di sfruttamento anche a prescindere dal consenso prestato dalla stessa.
La Convenzione contiene inoltre disposizioni volte alla prevenzione e repressione del crimine della tratta e misure di protezione e promozione dei diritti delle vittime, tra cui quelle volte a garantire loro assistenza sotto il profilo alloggiativo, di accesso all’istruzione, di assistenza medica e legale.
Una previsione che è auspicabile conduca ad interventi maggiormente qualificati nell’assistenza alle vittime di tratta è contenuta nell’art. 10, relativa alla “identificazione delle vittime”, concetto che sino ad oggi si limitava a costituire una “buona prassi” adottata nell’ambito delle azioni a sostegno e tutela delle persone straniere vittime di vicende di tal genere.
L’art. 10 della Convenzione prevede che le autorità competenti debbano disporre di personale “formato e qualificato” per la prevenzione e lotta alla tratta nell’identificazione delle vittime, in particolare minori, e che collaborano con le organizzazioni che svolgono un ruolo di sostegno al fine di permettere di identificare le vittime con una procedura che tenga conto della speciale situazione delle donne e dei minori anche al fine di rilasciare loro il permesso di soggiorno. Si prevede che ciascuno Stato adotti misure legislative o altre misure necessarie ad identificare le vittime in collaborazione con le altre parti e con le organizzazioni che svolgono un ruolo di sostegno.
Tale previsione potrà comportare un’implementazione di azioni integrate e coordinate di tutti i soggetti che operano nel campo (forze dell’ordine, Autorità Giudiziaria, enti locali, ONG) e, in questa direzione, della specifica formazione multidisciplinare di tutti i soggetti interessati che vengono a contatto con persone straniere che siano state vittime di vicende di grave sfruttamento e tratta.
L’art. 10 contiene inoltre una specifica norma a tutela dei minori, che stabilisce che, quando l’età della vittima risulti incerta e vi siano motivi per credere che sia minore, si presume la minore età e si adottano speciali misure di protezione.
Un’altra disposizione rilevante è contenuta nell’art. 13, che disciplina il c.d. “periodo di riflessione” sino a oggi assente nel nostro ordinamento nonostante anche la direttiva 2004/81 UE preveda analogo istituto. Si prevede in definitiva che la vittima possa usufruire di un periodo di tempo di almeno 30 giorni al fine di ristabilirsi, sfuggire dall’influenza dei trafficanti e/o prendere “consapevolmente” delle decisioni relativamente alla sua eventuale collaborazione con le autorità competenti. La rilevanza di tale istituto, in particolare nel nostro sistema normativo attuale, risiede nel fatto che, durante tale periodo, non è consentito adottare provvedimenti di espulsione nei confronti della persona.
Ancora, merita di essere sottolineata la previsione contenuta nell’art. 14, relativa al permesso di soggiorno da rilasciare nei confronti delle persone straniere vittime di vicende di tratta di esseri umani. Il fatto che la Convenzione individui due circostanze distinte ed alternative perchè si possa ritenere il soggetto meritevole del titolo di soggiorno - nello specifico che la permanenza di questa sia necessaria in ragione della sua condizione personale ovvero che sia necessaria in forza della sua collaborazione con l’autorità competente ai fini del procedimento penale - rafforza quello che già costituisce uno dei pilastri del nostro sistema di protezione delle vittime contenuto nell’art. 18 D.Lgs. 286/98, ossia il c.d. “doppio binario”. Si riconosce il diritto ad ottenere un titolo di soggiorno a prescindere dalla necessaria collaborazione con l’Autorità Giudiziaria, rimarcando il carattere non premiale della speciale tipologia di permesso di soggiorno.
Di rilievo la disposizione, contenuta nell'art. 15, che assicura il diritto al risarcimento della vittima, stabilendo l'obbligo per lo Stato di garantirlo "ad esempio stabilendo un fondo per l'indennizzo delle vittime (…)", sulla scorta degli istituti esistenti per le vittime dei reati mafiosi e del terrorismo.
Interessa particolarmente inoltre, a fronte della recente norma introdotta dalla L. 94/09 (c.d. pacchetto sicurezza) che ha previsto il rimpatrio assistito dei minori comunitari dediti alla prostituzione, l’art. 16 della Convenzione che, occupandosi del rimpatrio delle vittime, contiene una norma che raccomanda particolare cautela nella valutazione dei rischi e della sicurezza dei minori vittime di tratta nell’ottica del perseguimento del superiore interesse di questi ultimi.
Tra le norme maggiormente rilevanti vi è quella contenuta nell’art. 26, che prevede la possibilità di non comminare sanzioni penali alle vittime che sono state coinvolte nelle attività illecite quando ne siano state costrette. Una simile previsione, oltre ad assumere rilievo per quelle fattispecie suscettibili di rientrare nell’ambito della tratta a scopo di sfruttamento in attività illecite, potrà essere invocata ogniqualvolta si verifichi la necessità di assistere persone che siano state vittime di vicende di grave sfruttamento anche sessuale e che si vedano contestare, anche successivamente all’adesione ai programmi di protezione, i reati connessi alla presenza irregolare sul territorio, quali quelli di cui agli artt. 13 e 14 e oggi anche e soprattutto ex art. 10bis del D.Lgs. 286/98.
Infine, relativamente alla possibilità di implementare le misure di protezione in favore delle vittime della tratta, assume rilievo quanto previsto dall’art. 28 della Convenzione nella parte in cui stabilisce che debbano essere adottate misure legislative o altre misure necessarie per offrire una protezione effettiva non soltanto alla vittima stessa ma anche, ove necessario, ai membri della sua famiglia: in particolare coloro che lavorano a contatto con le donne nigeriane vittime di tratta a scopo di sfruttamento della prostituzione ben conoscono i limiti di un intervento finalizzato a fornire assistenza e protezione alle donne che sono state ridotte in schiavitù e che nella quasi totalità dei casi temono ritorsioni non tanto verso loro stesse quanto nei confronti della famiglia rimasta nel paese di origine.