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21.06.2010
 
Corte di Giustizia europea: il costo del titolo di soggiorno dei cittadini turchi non può essere più elevato in maniera eccessiva e sproporzionata rispetto a quello richiesto per i titoli di soggiorno dei comunitari
 

Una nuova sentenza della Corte di Giustizia europea afferma che  i Paesi Bassi, mantenendo nella propria legislazione sugli stranieri  la previsione di  diritti sproporzionatamente più elevati per la valutazione dell'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno rispetto a quelli richiesti ai cittadini degli Stati membri dell'Unione europea, hanno violato la clausola di  "standstill" di cui all'art. 13 della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE-Turchia, che prevede che gli Stati membri e la Turchia non possono introdurre, successivamente al  1 dicembre 1980, data di sua entrata in vigore, nuove restrizioni sulle condizioni di occupazione e sulla libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare. Secondo la Corte di Giustizia europea, l'importo del contributo richiesto da un paese membro ai fini del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno di un cittadino turco, se è sproporzionato rispetto a quello richiesto, in circostanze analoghe, ad un cittadino comunitario, costituisce un'indebita  restrizione alle condizioni di accesso all'occupazione e alla libertà di prestazione dei servizi del lavoratore migrante  turco medesimo. Sotto questo profilo, la Corte di Giustizia europea ha ribadito quanto già enunciato nella precedente sentenza Sahin c. Paesi Bassi (causa C-242/06, 17 settembre 2009), rigettando gli argomenti proposti dal governo olandese. Secondo quest'ultimo,  il contributo richiesto, pari in media a 169 euro, ai fini del rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno ad un cittadino straniero extracomunitario, non poteva ritenersi sproporzionato  in quanto rappresenta il 70% dei costi relativi all'esame della pratica.

Ugualmente, la Corte di Giustizia ha precisato che la previsione di diritti sproporzionatamente più elevati  richiesti ai cittadini turchi per il rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno rispetto a quelli richiesti ai cittadini degli Stati membri dell'UE per il rilascio di documenti analoghi,  costituisce una violazione dell'art. 10 comma 1  della decisione n. 1/80 del Consiglio di associazione CEE-Turchia. Tale norma comunitaria vieta discriminazioni tra lavoratori turchi inseriti nel mercato del lavoro dei Paesi membri e lavoratori comunitari, con riferimento alla retribuzione e alle altre condizioni di lavoro. 
La Corte ha accolto gli argomenti della Commissione europea facenti riferimento ad una giurisprudenza consolidata secondo cui tale divieto di discriminazioni in materia di condizioni di lavoro  prescriverebbe un obbligo di risultato e, dunque, si applicherebbe anche alle condizioni richieste ai fini del rilascio o rinnovo dei titoli di soggiorno (CGE, sentenza 8 maggio 2003, causa C- 171/01). Pertanto,  la Corte di Giustizia ha concluso che tali diritti sproporzionatamente più elevati imposti dai Paesi Bassi per il rilascio o rinnovo dei titoli di soggiorno dei lavoratori turchi e dei loro familiari, introducono una condizione di lavoro discriminatoria, e dunque, contraria all'art. 10 della decisione n. 1/80 (paragrafo 75).

Sono ovvie le implicazioni di detta sentenza della Corte europea rispetto alla normativa di cui  all'art.1 c. 22  lett. b) della legge n. 94/2009 che, introducendo l'art. 5 comma 2 ter del d.lgs. n. 286/98, ha  stabilito l'obbligo a carico dello straniero extracomunitario che intenda richiedere il rilascio od il rinnovo del permesso di soggiorno del pagamento di un contributo, di  importo variabile da  un minimo di 80 ed un massimo di 200 euro, secondo quanto verrà stabilito da un apposito decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministero dell'Interno ( a tale contributo  non vengono assoggettati i permessi di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo, per protezione sussidiaria e per motivi umanitari). E' ovvio che il Ministero dell'Economia e delle Finanze dovrà, in sede di decreto attuativo,  tenere conto della sentenza della Corte di Giustizia europea, prevedendo perlomeno  condizioni più favorevoli per i cittadini di nazionalità turca e di altre nazionalità protetti dal principio di non discriminazione per quanto concerne le condizioni di lavoro.

Più in generale, è opportuno rimarcare come i giudici della corte europea sottolineino il carattere irragionevole dell'imposizione di contributi amministrativi sproporzionatamente maggiori per il rilascio od il rinnovo dei permessi di soggiorno dei cittadini turchi rispetto a quanto previsto per i cittadini comunitari, proprio in quanto i periodi di validità dei titoli di soggiorno dei primi sono di norma più brevi di quelli previsti per i secondi e dunque i cittadini di paesi terzi sono costretti a sollecitarne il rinnovo più spesso dei cittadini comunitari, senza che la valutazione dei requisiti per il rinnovo dei titoli di soggiorno dei primi sia così eccessivamente più onerosa della valutazione dei secondi. Considerazioni di ragionevolezza ed equità che ben potrebbero estendersi alla generalità dei lavoratori di paesi terzi non membri dell'Unione Europea.

Ulteriormente, le sentenze della Corte di Giustizia ricordano che in virtù della sua consolidata giurisprudenza, gli art. 10 e  13 della decisione n. 1/80 sono norme di immediata applicazione negli ordinamenti interni degli Stati membri e devono dunque comportare l'automatica disapplicazione di qualsiasi normativa interna successiva al 1 dicembre 1980 che imponga nuove restrizioni sulle condizioni di accesso all'occupazione dei lavoratori turchi  in situazione regolare ovvero condizioni deteriori e più sfavorevoli rispetto a quelle previste per i cittadini nazionali o comunitari. Pertanto, alla luce di questo, si dovrebbe concludere che le nuove restrizioni introdotte dalla legge "Bossi-Fini" all'accesso al lavoro  degli stranieri extracomunitari regolari, tra cui l'istituto del "contratto di soggiorno" e il conseguente  requisito dell'idoneità abitativa, siano illegittime se applicate nei confronti dei lavoratori di nazionalità turca, in quanto in contrasto con la normativa comunitaria  collegata agli Accordi di Associazione CEE-Turchia.

Le medesime considerazioni pertanto possono valere anche con riferimento alle clausole di parità di trattamento in materia di condizioni di lavoro contenute negli altri accordi di associazione sottoscritti dalla Comunità Europea (o Unione europea) con Paesi terzi, in particolar modo quelli candidati all'adesione all'Unione europea. Si pensi a solo titolo di esempio a tale clausola contenuta nell'art. 45 dell'Accordo di Associazione con la Repubblica di Croazia.

a cura di Walter Citti, Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose, progetto ASGI-Fondazione Charlemagne.