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01.06.2010
 
Inchiesta di "La Repubblica": Premi maggiorati per gli immigrati per la stipula delle polizze assicurative RC Auto
 

IL DIRITTO ANTI-DISCRIMINATORIO ITALIANO E EUROPEO VIETANO CHE IL DATO ETNICO-RAZZIALE O L'ORIGINE NAZIONALE  POSSANO ESSERE FATTORE DI CALCOLO DEL PREMIO ASSICURATIVO RCAUTO. 

L'analisi del Servizio di Supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose dell'ASGI a seguito dell'inchiesta del quotidiano "La Repubblica". 


L'inchiesta pubblicata sul quotidiano "La Repubblica", nell'edizione del 31 maggio 2010, e ripresa anche dalla stampa della diaspora rumena in Italia, mette in evidenza l'applicazione da parte di diverse compagnie assicurative di tariffe maggiorate per la stipula di polizze assicurative RCA auto con immigrati stranieri appartenenti a determinate nazionalità, come ad esempio quelle rumena e marocchina, rispetto alle tariffe applicate a cittadini italiani a parità di altre condizioni.

L'ASGI (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione) ritiene che tale prassi sia in contrasto con la legislazione nazionale,  europea  ed internazionale che vieta le discriminazioni su base etnico-razziale e di nazionalità.

Riguardo alla legislazione nazionale, si fa  riferimento  innanzitutto all'art. 43 1° comma del Testo Unico sull'immigrazione (d.lgs. n. 286/98), che  introduce una sorta di clausola generale di non discriminazione, riprendendo quanto contenuto nell'art. 1 della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, firmata a New York in 7 marzo 1966 e ratificata dall'Italia con la legge 1.5.1975, n. 654.

In base a tale norma costituisce una discriminazione:

"ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica".

Il legislatore ha poi formulato, nel secondo comma della disposizione, una tipizzazione delle condotte aventi sicuramente una valenza discriminatoria.  L'articolo prevede infatti che compia "in ogni caso" una discriminazione anche : (...)

b) "chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;"

Dall'esame della normativa citata, emerge chiaramente che :

  • a) per quanto concerne i soggetti attivi, il divieto di discriminazione trova applicazione non solo nei confronti dello Stato e dell'autorità pubblica, ma anche dei privati (l'appellativo "chiunque") che offrano beni e servizi al pubblico;
  • b) per quanto riguarda i soggetti passivi, una delle condizioni protette dalla normativa antidiscriminatoria è quella fondata sull'origine nazionale, intesa non soltanto come appartenenza etnico-razziale del soggetto, ma anche come cittadinanza straniera (discriminazione in ragione soltanto della condizione di straniero o di cittadino straniero di determinate nazionalità).

In sintesi, dunque, la normativa di cui al d.lgs. n. 286/98 vieta al soggetto privato che metta a disposizione del pubblico beni e servizi di rifiutarne l'accesso  o di proporre o predisporre condizioni più sfavorevoli o svantaggiose in ragione della razza, dell'etnia, del colore, dell'ascendenza, della religione, della nazionalità o della provenienza geografica, dettando cioè un limite testuale all'autonomia e alla libertà contrattuale del soggetto privato che si rivolga al pubblico.

Al D.lgs. n. 286/98 si è aggiunto successivamente il d.lgs. n. 215/2003, di recepimento della direttiva europea 2000/43/CE che disciplina il principio di non discriminazione in ragione della razza e dell'origine etnica.

Dal considerando n. 12 della direttiva n. 2000/43/CE emerge che i divieti di discriminazione debbono rivolgersi, oltre allo Stato  e all'autorità pubblica,  anche ai soggetti e contraenti privati: "Per assicurare lo sviluppo  di società democratiche  e tolleranti che consentono la partecipazione di tutte le persone  a prescindere  dalla razza o origine etnica, le azioni specifiche nel campo  della lotta contro le discriminazioni basata sulla razza o origine etnica dovrebbero andare al di là dell'accesso alle attività di lavoro (...) e coprire  ambiti quali (...) le prestazioni sociali, l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura". Il testo della direttiva è esplicito nell'estendere l'ambito di applicazione anche al settore privato: "(...)la presente direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico  che del settore privato, (...), per quanto attiene:; (...) h) all'accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, (..)." (art. 3, poi recepito quasi letteralmente dall'art. 3 d.lgs. n. 215/2003).

La Commissione europea nella  relazione periodica inoltrata nell'ottobre 2006 al Consiglio e al Parlamento Europeo sull'applicazione della direttiva 2000/43, ha chiarito l'ambito interpretativo dell'art. 3,  in un passaggio che, per  le importanti implicazioni interpretative della legislazione vigente anche nel nostro paese, vale la pena  citare integralmente: "Oltre a coprire tutti i cittadini, la direttiva ha esteso la protezione contro la discriminazione ben oltre il tradizionale settore dell'occupazione, coprendo ambiti come le prestazioni sociali, la sanità, l'istruzione e, soprattutto, l'accesso ai beni e servizi a disposizione del pubblico, tra cui gli alloggi. In alcuni Stati membri esistono problemi legati alla separazione tra la sfera pubblica e quella privata, nonché percezioni di interferenza nella libertà di decisione o di conclusione dei contratti. Quando beni, servizi, o impieghi sono oggetto di pubblicità, anche solo, ad esempio, mediante un avviso affisso su una finestra, essi sono a disposizione del pubblico e perciò rientrano nel campo di applicazione della direttiva" [sottolineatura nostra] (Commissione delle Comunità Europee, Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull'applicazione della direttiva 2000/43 del 29 giugno  2000 che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, Bruxelles, 30 ottobre 2006 Com (2006) 643 definitivo, pag. 3) .

Alla luce di tale excursus normativo, non sussistono dubbi che anche il settore assicurativo, in quanto offerente di servizi al pubblico, deve attenersi al divieto di discriminazioni su base etnico-razziale e di nazionalità, con ciò privando di  legittimità ogni prassi e comportamento che risulti nella proposta di premi assicurativi che tengano conto dell'appartenenza etnico-nazionale del potenziale contraente quale fattore di calcolo.

A comprova di quanto affermato, si cita ad es. la stessa legislazione tedesca in materia di recepimento delle direttive europee anti-discriminazioni, la quale,  pur prevedendo una specifica clausola di eccezione nell'ambito delle assicurazioni, sul rilievo che la proposta di premi diversi da parte di una compagnia di assicurazione potrebbe trovare legittima giustificazione alla sola condizione che le statistiche che mostrano il carattere determinante della qualità personale siano apprezzabili ed accurate,  ha  previsto tale possibilità solo con riferimento alle differenze di trattamento fondate sul genere, l'orientamento sessuale, il credo religioso o le convinzioni personali, la disabilità, e l'età, mentre è stata espressamente proibito il calcolo dei premi su basi di nazionalità o origini etniche (S. 81 (e) Insurance Supervision Law - Versicherungsausichtsgesetz, cfr. Migration Policy Group - Human European Consultancy, Comparative Analyses on National Measures to Combat Discrimination outside Employment and Occupation, Brussels, dec. 2006, pag. 44) .

L'argomento secondo il quale la direttiva europea n. 2000/43, recepita in Italia con il d.lgs. n. 215/2003 e successive modifiche, vieta ogni discriminazione su base etnico-razziale anche nell'ambito delle attività di soggetti privati operanti nella fornitura di beni e servizi al pubblico, incluso il settore delle assicurazioni, appare incontestabile anche alla luce della giurisprudenza e delle prese di posizione assunte dalle autorità nazionali  indipendenti anti-discriminazioni costituitesi nei diversi Paesi dell'UE per effetto della direttiva medesima. Così, in due occasioni, nel maggio 2004 e nel maggio 2005, l'Ombudsman della Repubblica cipriota ha accolto due ricorsi presentati da cittadini greci originari dei territori venuti in possesso della Turchia dopo il trattato di Losanna (greci ex-Ponto) e loro discendenti, i quali lamentavano il pagamento di premi assicurativi auto superiori a quelli praticati ai cittadini grechi ciprioti autoctoni, per la ragione che le compagnie assicurative cipriote consideravano  i c.d. "greci ex-Ponto" in toto come automobilisti inaffidabili e di pessima reputazione e, dunque, ad "alto rischio di incidenti". L'Ombudsman, nel suo rapporto del giugno 2005, ha dichiarato tale prassi illegale e discriminatoria , invitando le compagnie assicurative a rivederla, sottolineando che la direttiva europea n. 200/43/CE proibisce in maniera assoluta ogni calcolo del premio assicurativo fondato su criteri etnici o razziali (Ombudsman issues recommendation against insurance compagnie for refusing to insure persons of non-Cypriot origin, in European Anti-Discrimination Law Review, Brussels, n. 3/2006, page  55).

Univoca appare  pure la dottrina giuridica nel  considerare illecita la previsione di dichiarazioni discriminatorie di premi assicurativi rivolti al pubblico  in materia di responsabilità civile auto in ragione dell'appartenenza etnico-nazionale del potenziale contraente.  In tale direzione si esprime ad esempio Daniele Maffeis nel volume Offerta al Pubblico e Divieto di Discriminazione, ed. Giuffrè, 2007, pp. 336-340, così come Delia La Rocca, Le discriminazioni nei contratti di scambio di beni e servizi, in M. Barbera (a cura di ), Il nuovo diritto anti-discriminatorio, Giuffrè, 2007, ove si afferma come " [nella direttiva n. 2000/43/CE] possibili cause di «giustificazione» di trattamenti differenziati siano state previste con esclusivo riferimento al campo dell'attività lavorativa,(...), laddove, per la natura di un'attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, la caratteristica etnico-razziale costituisca  un requisito essenziale  e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purchè l'obiettivo sia legittimo e il requisito proporzionato. Sicché si potrebbe argomentare a contrario, che non dovrebbero sussistere cause di giustificazione per trattamenti differenziati (in ragione dell'appartenenza di razza o etnia) nei contratti preordinati all'acquisto di beni e servizi" (pag 315).

Poiché dall'inchiesta condotta dal quotidiano "La Repubblica", risulterebbe che tali prassi discriminatoria nel calcolo dei premi assicurativi RCA da parte di diverse compagnie assicurative verrebbe a colpire anche cittadini di altri Paesi membri dell'Unione europea residenti in Italia, quelli rumeni in particolare,   che hanno dunque esercitato il diritto alla libera circolazione, vale la pena sottolineare anche gli specifici profili di violazione del diritto dell'Unione europea inerenti al divieto di discriminazioni su basi di nazionalità tra cittadini dell'Unione europea.

 Con riferimento ai cittadini comunitari, cioè di Stati appartenenti all'Unione Europea, la Corte di Giustizia Europea fin dal 1974 ha mostrato di non considerare rilevante la distinzione tra rapporti di diritto pubblico e rapporti di diritto privato  nella garanzia del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, statuito allora dall'art. 12 del  Trattato CE  (ora art. 18 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) ed ha affermato, senza esitazione, che "se il divieto di discriminazione avesse valore unicamente per gli atti della pubblica amministrazione potrebbe scaturirne una difformità di applicazione " traendone il corollario secondo cui "il principio di non discriminazione, in ragione del suo carattere imperativo, costituisce un parametro inderogabile per qualsiasi rapporto giuridico" (Corte di Giustizia, 12.12.1974 causa 36/74 B.N.O. Walrave). In sostanza, l'ambito di operatività del principio generale di eguaglianza e di non discriminazione tra i cittadini dell'Unione europea è stato esteso dalla Corte di Giustizia anche ai rapporti contrattuali privati con lo stesso carattere di assolutezza ed inderogabilità espressamente riconosciuto dall'art. 81 Tratt. CE, ora  art. 101 TFUE. Questo tanto più dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1 dicembre 2009, con il quale è entrata parimenti in vigore la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, avente lo stesso valore giuridico dei trattati europei,  e che all'art. 21 prevede il diritto alla non-discriminazione e che ribadisce, al comma 2 "il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza nell'ambito di applicazione del trattato sull'Unione Europea e di quello sul funzionamento dell'Unione europea". Il principio di non discriminazione tra i cittadini dell'Unione europea  ha dunque  valore e rango di diritto fondamentale.


Alla luce delle argomentazioni di cui sopra, l'ASGI ritiene illecita la prassi riscontrata  di premi assicurativi maggiorati per la stipula di contratti assicurativi RCAuto da parte di diverse compagnie assicurative nei confronti di determinate nazionalità di cittadini stranieri residenti in Italia. A tutela del principio di parità di trattamento e del  divieto di discriminazione su base etnico-razziale o di origine nazionale, l'ASGI ricorda la possibilità per le vittime della discriminazione e per le associazioni legittimate ad agire di ricorrere in giudizio per richiedere al giudice di ordinare la cessazione e rimozione del comportamento discriminatorio, ai sensi di quanto previsto dall'art. 44 del d.lgs.n. 286/98 (azione giudiziaria anti-discriminazione).

La presente memoria viene inviata anche all'UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni Razziali), autorità nazionale contro le discriminazioni etnico-razziali ai sensi del d.lgs. n. 215/2003.

L'ASGI, infatti, nota con preoccupazione quanto riportato da "La Repubblica", nell'edizione del 1 giugno 2010, secondo cui l'UNAR dopo aver bocciato come discriminatorie le polizze assicurative che applicano una maggiorazione del premio legata unicamente al fattore cittadinanza, intenderebbe proporre ad ANIA e ISVAP la costituzione di un comitato tecnico per redigere un codice di condotta che preveda fattori di rischio più appropriati, tra cui il luogo dove si è conseguita la patente e gli anni di permanenza nello Stato di residenza.  L'ASGI ritiene infatti che la sostituzione della nazionalità con criteri quali il luogo di conseguimento della patente o l'anzianità di residenza in Italia come fattori di rischio per il computo del premio finirebbe semplicemente per dissimulare o camuffare  la discriminazione a danno degli immigrati. Ad un criterio discriminatorio diretto si sostituirebbero fattori altrettanto discriminatori che, sebbene solo indirettamente, finirebbero per condurre al medesimo risultato deteriore per i cittadini stranieri. A tale riguardo, l'ASGI ricorda che il diritto comunitario e quello internazionale vietano non solo  "le discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, ma anche quelle dissimulate che, fondandosi su altri criteri, pervengono comunque al medesimo risultato" (CGE; 23.02.1994, Scholz, C- 419/92) e che criteri come l'anzianità di residenza o il luogo   ove sono stati conseguiti gli studi o ottenuti diplomi o certificati sono stati riconosciuti dalla Corte di Giustizia europea come suscettibili a  fondare una discriminazione dissimulata vietata dal diritto comunitario, in quanto possono essere soddisfatti in misura proporzionalmente maggiore dai cittadini nazionali rispetto ai lavoratori migranti.  Si cita ad esempio  la sentenza della Corte di Giustizia Commissione c. Belgio (dd. 12.09.1996) che ha riconosciuto come discriminatoria nei confronti dei lavoratori comunitari migranti e contraria al diritto comunitario un'indennità di disoccupazione prevista dal legislatore belga a favore dei lavoratori in cerca di prima occupazione che avessero terminato gli studi in un istituto secondario riconosciuto o sovvenzionato dallo Stato belga, ovvero tutte le sentenze della Corte di Giustizia che hanno dichiarato illegittime e contrarie al divieto di discriminazione e al principio di libera circolazione quelle normative nazionali in materia di prestazioni sociali, ove  l' accesso alle medesime  veniva  vincolato  al soddisfacimento di un requisito di anzianità di residenza nel Paese ospite  (as es. Commissione c. Lussemburgo, 20.06.2002, Commissione contro Belgio, 10.11.1992, Commissione c. Lussemburgo, 10.03.1993).

L'ASGI, pertanto, invita l'UNAR a correggere la posizione che avrebbe espresso sull'argomento oggetto della presente, almeno stando a quanto riportato dalla stampa.




A cura di Walter Citti, Servizio di Supporto Giuridico contro le discriminazioni etnico- razziali e religiose, Progetto ASGI - Fondazione Charlemagne ONLUS.