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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 17 gennaio 2013 n. 269
 
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di un cittadino straniero contro il diniego del rinnovo/conversione del permesso di soggiorno da “minore età” a “lavoro subordinato – attesa occupazione”.Per i minori stranieri affidati o sottoposti a tutela, è sufficiente che sia stato avviato un percorso di integrazione sociale e civile apprezzabile dal Comitato o più precisamente dall’organo che ne va ad acquisire le funzioni dopo la sua soppressione ad opera dell’art. 12, comma 20, del D.L. n. 95/2012 convertito dalla legge n. 135/2012.
 
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2208 del 2012, proposto da:
----, rappresentato e difeso dagli avv. Michele Cipriani, Marco Ruzzini, con domicilio eletto presso Aldo Pinto in Roma, via G. Ferrari, n. 11;

contro

Ministero dell’Interno, Questura di Firenze;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE: SEZIONE II n. 01469/2011, resa tra le parti, concernente diniego rinnovo/conversione permesso di soggiorno -MCP-.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2012 il Cons. Alessandro Palanza e udito per la parte appellante l’avvocato Vaiano su delega di Cipriani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Il signor ---- ha impugnato la sentenza del T.A.R. Toscana – Firenze – sezione II – n. 01469/2011, con la quale è stato respinto il suo ricorso presentato per l’annullamento del decreto del Questore di Firenze prot. n. 1228 del 3 giugno 2010, notificato il 22 luglio 2010, di rigetto dell’istanza presentata dal medesimo sig. ----, cittadino kosovaro, per ottenere il rinnovo/conversione del permesso di soggiorno da “minore età” a “lavoro subordinato – attesa occupazione”.

Il signor ----, entrato da minorenne in Italia nei primi giorni del settembre 2009, quindi affidato ad un centro di prima accoglienza ed in seguito sottoposto a tutela con decreto del 4 dicembre 2009, ha usufruito di un permesso di soggiorno per minore età rilasciatogli ai sensi degli artt. 19, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 286/98 e 28, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 394/99, scaduto il 24 marzo 2010, al compimento da parte sua della maggiore età.

Il provvedimento impugnato di diniego di rinnovo/conversione di quell’originario permesso in permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato/attesa occupazione, è motivato dalla ritenuta assenza dei presupposti richiesti dall’art. 32 D.Lgs. n. 286/98, nel testo novellato dalla legge n. 94/09, vale a dire dal mancato svolgimento, da parte dell’interessato, di un percorso biennale di integrazione sociale e civile gestito e certificato dagli enti a ciò preposti dalla legge unitamente ad un periodo di permanenza in Italia di almeno tre anni.

2. – La sentenza del TAR che rigetta il ricorso in primo grado è basata sulla distinzione tra i minori già presenti sul territorio dello Stato al momento dell’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009 e, perciò, titolari di una situazione di legittima aspettativa, in relazione alla posizione maturata ai sensi della legislazione previgente al momento dell’entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, e quelli che – come il ricorrente in primo grado e attuale appellante – hanno fatto ingresso in Italia nel vigore della novella del 2009, i quali, ancorché abbiano acquistato lo status di minori affidati, non possono infatti vedersi riconosciuta alcuna aspettativa meritevole di tutela, in quanto la loro condizione era fin dall’inizio regolata dalla nuova normativa già vigente al loro ingresso.

La sentenza giudica inconferente il richiamo fatto dal ricorrente agli artt. 8 e 14 della CEDU e alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva con legge n. 176/1991, (norme interposte che integrano il parametro di legittimità costituzionale sancito dall’art. 117 Cost.), non configurandosi alcuna impropria ingerenza del legislatore prima, e dell’Amministrazione poi, nella vita privata degli stranieri, ma esclusivamente l’esercizio delle prerogative statuali connesse al governo dei fenomeni migratori. Né vi è indebita discriminazione, posto che ad essere esclusi dalla conversione del permesso di soggiorno sono i minori che non possano dimostrare il possesso del requisito – corrispondente alla dimostrazione di un sufficiente grado di inserimento sociale e civile – ritenuto necessario per legittimare il rilascio del permesso di soggiorno con modalità differenziate e più favorevoli di quelle ordinariamente richieste. La circostanza che, in relazione al momento dell’ingresso in Italia, quel requisito non possa venire utilmente conseguito da alcuni, costituisce una mera conseguenza di fatto dell’applicazione della norma, irrilevante ai fini del giudizio di costituzionalità. Non può essere condivisa l’equiparazione tra i figli ed i minori adottati, affidati o sottoposti a tutela che è prevista dall’art. 29 del medesimo decreto legislativo n. 286 solo ai fini del ricongiungimento familiare. Altro è il caso dei minori non accompagnati, affidati o sottoposti a tutela entrati in Italia irregolarmente, per i quali l’art. 32 ha previsto nel tempo diverse discipline, che vanno applicate appunto ratione temporis, in relazione alla data di ingresso in Italia, come sopra precisato. La ratio della legge n. 94/09 può ben essere rinvenuta proprio nella volontà del legislatore di porre un argine al dilagante fenomeno degli ingressi in Italia di giovani stranieri nell’imminenza del compimento della maggiore età, allo scopo di beneficiare della più favorevole disciplina dettata dal previgente art. 32 per la conversione “automatica” del permesso di soggiorno in favore dei minori “comunque affidati”, senza alcuna garanzia dell’effettivo inserimento del minore nel tessuto sociale. In ogni caso il ricorrente in primo grado non appartiene alla categoria dei minori affidati, ma di quelli sottoposti a tutela, cui l’applicazione dell’art. 32, comma 1-bis, è necessitata dalla inequivoca lettera della norma, così come, a contrario, dalla circostanza che l’invocato art. 31 fa menzione dei primi, e non anche dei secondi.

3. – L’appellante, con riferimento alla ritenuta assenza dei presupposti richiesti dall’art. 32 del D.Lgs. n. 286/1998, nel testo novellato dalla legge n. 94/2009, vale a dire al mancato svolgimento, da parte dell’interessato, di un percorso biennale di integrazione sociale e civile gestito dagli enti a ciò preposti dalla legge, sostiene che la modifica apportata dalla legge n. 94/2009 all’art. 32 del D.Lgs. n. 286/1998 è inapplicabile nei confronti dei minori affidati o sottoposti a tutela, i quali raggiungano, o abbiano raggiunto, la maggiore età prima dei due anni dall’entrata in vigore della novella normativa, perché costoro si troverebbero nella materiale impossibilità di conseguire il requisito richiesto dalla legge novellata, della frequentazione almeno biennale di un progetto di integrazione sociale e civile. Altrimenti risulterebbe violato il principio di irretroattività della legge, come può dedursi dalla stessa giurisprudenza amministrativa relativa all’attuazione delle modifiche introdotte – alla previgente versione dell’art. 32 del D.Lgs. n. 286/1998 – dalla legge n. 189/2002 (che, a seguito delle modifiche introdotte, introduceva il requisito della frequentazione biennale del progetto di integrazione per i soli minori non accompagnati). Tale norma non fu considerata applicabile ai minori non accompagnati che, per l’età al momento della entrata in vigore delle modifiche, non fossero in grado di rispettare i termini di frequenza temporale del progetto previsti dalle modifiche stesse.

L’appellante sostiene che il provvedimento impugnato e la sentenza del TAR non prendono in considerazione neppure l’evidente violazione degli artt. 8 e 14 della CEDU, per la ingiustificata e impropria ingerenza della P.A. nel diritto del minore al rispetto della propria vita privata e familiare, prevedendo un requisito impossibile da adempiere e quindi un trattamento gravemente discriminatorio tra minori nella stessa condizione, salvo che per l’ età anagrafica al momento dell’ingresso in Italia. Viene, altresì, violato il chiaro disposto dell’art. 29, comma 2, del medesimo decreto legislativo n. 286/1998, che prevede l’equiparazione ai figli dei minori adottati, affidati o sottoposti a tutela ai fini del ricongiungimento familiare. E’ errata l’interpretazione del TAR che ritiene non assimilabile la condizione dei minori affidati e titolari di permesso di soggiorno ex art. 31 con quelli non accompagnati, entrati irregolarmente in Italia e successivamente affidati o sottoposti la tutela. Si deve invece affermare che ad essi, una volta inseriti stabilmente in un nucleo familiare, spetta lo stesso grado di tutela e dunque l’esclusione prevista per i minori ex art. 31 deve valere anche per loro.

4. – Con decreto presidenziale di questa Sezione n. 1266/2012 veniva accolta l’istanza dell’appellante volta alla pronuncia di provvedimenti cautelari interinali inaudita altera parte.

Con successiva ordinanza n. 3586/2012 la stessa Sezione accoglieva l’istanza cautelare, rilevando la necessità di approfondire, anche con il contributo delle parti, l’interpretazione e l’applicazione dell’art. 32 del t.u. n. 286/1998, con particolare riferimento alle più recenti modifiche legislative introdotte allo stesso art. 32 dal decreto legge n. 89/2011 (nel testo determinato con la legge di conversione), che potrebbero risultare rilevanti ai fini della decisione della controversia in esame. La stessa ordinanza invitava l’Amministrazione a riesaminare la pratica alla luce della modifica legislativa del 2011, emettendo, se del caso, un nuovo provvedimento motivato.

4.1. – La parte appellante ha presentato ulteriore memoria in data 24 settembre 2012, con la quale ribadisce che le modifiche legislative introdotte dalla legge n. 94/2009 non possono applicarsi ai minori che avevano più di sedici anni al momento della loro entrata in vigore e che è invece del tutto irrilevante il momento della entrata in Italia, prima o dopo l’entrata in vigore, dal momento che essi sono comunque nella impossibilità materiale di conformarsi ai requisiti previsti dalla normativa novellata.

Vengono richiamate le ordinanze di questa Sezione 5192/2011 e n. 1566/2012 in questo senso. Vengono richiamate altresì le sentenze CdS VI n. 3690/2007 e n. 2951/2009, che fanno riferimento alla precedente modifica dell’art. 32 introdotta con l’art. 25 della legge n. 189/2002. Con riferimento alle nuove modifiche introdotte dalla legge n. 94/2009 lo stesso principio è affermato dalle sentenze del TAR Toscana n. 1003/2012, TAR Lazio n. 2681/2011, n. 3491/2011, n. 3494/2011, n. 3735/2011, n. 9630/2011, TAR Marche n. 954/2011. Le ordinanze della Corte costituzionale n. 222/2011 e n. 326/2011 rinviano al giudice a quo le questioni di costituzionalità sollevate con riferimento alle modifiche introdotte dalla legge n. 94/2009 facendo riferimento agli orientamenti del giudice amministrativo in ordine alla applicabilità nel tempo delle nuove disposizioni. Ogni diversa interpretazione condurrebbe quindi ad una irragionevole differenziazione di trattamento di minori in pari condizioni in violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo e della Convenzione di New York sui del fanciullo ratificata con legge n. 176/1991.

4. 2. – L’Amministrazione appellata non ha dato alcun seguito all’ordinanza cautelare di questa Sezione n. 3586/2012 e non si è costituita in appello.

5. – La causa è andata in decisione nella udienza pubblica del 26 ottobre.

6. – Il Collegio giudica fondato l’appello.

6.1. – Va in primo luogo osservato che la recente giurisprudenza di merito della Sezione (cfr. C.d.S., III, n. 3987/2011, n. 2074/2012, n. 4277/2012 e n. 5029/2012) si è già ripetutamente espressa nel senso di negare l’applicabilità delle modifiche all’art. 32, ex legge n. 94/2009 a minori affidati o sottoposti a tutela entrati in Italia prima della sua entrata in vigore, che compissero la maggiore età prima che siano trascorsi i termini di due o tre anni previsti dai requisiti e che quindi si trovassero nella impossibilità materiale di adempiere i requisiti in tempo utile.

Tale giurisprudenza afferma che per tali soggetti, ai fini della conversione del permesso di soggiorno, è sufficiente, dimostrare che, alla data di entrata in vigore della legge n. 94/2009, il minore si trovasse nelle condizioni per essere ammesso allo svolgimento del programma e che esso sia stato successivamente attuato (cfr. in particolare C.d.S. n. 2074/2012 e giurisprudenza ivi citata).

6.2. – In precedenza questo stesso indirizzo interpretativo era già stato già affermato con nettezza in sede cautelare.

La ordinanza CdS VI n. 4232/2010 si richiama ad un principio di diritto per chiarire che la nuova normativa si applica “ai minori “affidati” dopo la sua entrata in vigore, o anche affidati prima, ma che compiano la maggiore età almeno due anni dopo l’entrata in vigore della citata legge, in modo da consentire a tali soggetti di partecipare al progetto biennale”.

6.3. – Nel caso in esame nel presente giudizio, occorre esaminare la ulteriore e diversa situazione del minore entrato in Italia (e poi affidato o sottoposto a tutela) successivamente all’entrata in vigore della legge n. 94/2009, il quale però si trova del pari nella impossibilità di adempiere ai requisiti estesi dalle modifiche ai minori affidati o sottoposti a tutela, in quanto compie la maggiore età entro i due anni successivi.

6.4. – L’appellante, nato il 24 marzo 1992, è entrato in Italia, in età minore, il 10 settembre 2009, successivamente alla entrata in vigore – in data 8 agosto 2009 – della legge n. 94/2009. Il 4 dicembre 2009 è stato sottoposto a tutela dal Tribunale di Firenze, che ha nominato tutore lo zio.

6.5. – Va rilevato preliminarmente che, già nel corso della fase di primo grado del giudizio dello stesso caso qui in esame, il Consiglio di Stato – Sezione VI – con ordinanza n. 398/2011 – accoglieva l’appello cautelare: “a condizione che l’appellante si iscriva entro un mese ……a un progetto di integrazione sociale e civile ….”.

Di conseguenza tale ordinanza ritiene implicitamente solo in parte applicabile la nuova normativa ai minori entrati dopo la entrata in vigore, prevedendo sì l’obbligo di frequenza, ma escludendo i suoi termini temporali nei limiti in cui non potevano essere rispettati in ragione dell’età del ricorrente in primo grado al momento dell’entrata in vigore della legge, e cioè parificando la sua situazione a quella dei minori entrati in Italia prima della entrata in vigore delle modifiche ex legge n. 94/2009, ancorché non fosse entrato in Italia né fosse stato affidato a quella data.

6.6. – Il Collegio parte dalla complessa linea interpretativa sottostante questa prima pronuncia del Consiglio di Stato sul caso in esame, aggiornandola alla luce del fatto che lo stesso articolo 32, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 286/1998, è stato di nuovo modificato – proprio sul punto della disciplina dei minori sottoposti a tutela – dalle disposizioni dell’art. 3, comma 1, lettera g-bis, del decreto legge n. 89/2011, convertito dalla legge n. 129/2011, che ha ripristinato la distinzione tra minori stranieri non accompagnati e minori stranieri, non accompagnati, ma affidati ex art. 2 e art. 4 della legge n. 184/1983 o sottoposti a tutela ex art. 343 c.c. (“comunque affidati” nel testo precedente il 2009), prevedendo solo per i minori non accompagnati la necessità della frequenza per almeno due anni del progetto di integrazione sociale e civile e la correlata permanenza in Italia per almeno tre anni, di cui al comma 1-ter, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, mentre per i minori affidati o sottoposti a tutela si richiede il solo parere favorevole del Comitato per i minori stranieri.

6.7. – Dopo queste ulteriori modifiche dell’art. 32, la giurisprudenza cautelare della Sezione, nel caso in esame e in casi analoghi (ordd. n. 5192/2011, n. 1566/2012, n. 3276/2012, n. 3275/2012, n. 3586/2012) si è progressivamente orientata nel senso di accogliere l’istanza cautelare assumendo come rilevante (e dunque applicabile) la ulteriore modifica all’art. 32, introdotta dall’art. 3 del decreto legge n. 89/2011 convertito dalla legge n. 129/2011, anche per le situazioni determinatisi in precedenza, ma ancora pendenti al momento dell’entrata in vigore di tale ulteriore modifica.

Tali ordinanze fanno pertanto riferimento alla disposizione dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998, che prevede l’obbligo dell’Amministrazione di valutare elementi sopraggiunti che consentono il rilascio del permesso di soggiorno, per richiamare le autorità competenti alla opportunità di riesaminare i provvedimenti adottati nel regime della precedente normativa.

6.8. – In effetti la normativa vigente tra l’entrata in vigore della legge n. 94/2009 e quella della legge n. 129/2011 con riferimento alla disciplina dei minori stranieri affidati o sottoposti a tutela al compimento della maggiore età, è oggetto di diversi e opposti orientamenti giurisprudenziali, come risulta dal confronto tra la giurisprudenza citata dalla sentenza del TAR Toscana impugnata e la giurisprudenza citata dall’appellante nell’appello e soprattutto nella sua ultima memoria (TAR. Lazio nn. 9630/2011, 4801/2011, 3494/1494, 1362/2011, TAR Marche n. 954/2011).

Quest’ultima giurisprudenza, sulla scia della ordinanza del Consiglio di Stato n. 398/2011 riportata al precedente punto 6.5., sostiene infatti l’inapplicabilità delle modifiche indistintamente ai minori stranieri che compiono i 18 anni entro due anni dalla loro entrata in vigore, a prescindere dalla data di ingresso in Italia, e si trovano comunque nella impossibilità di acquisire i requisiti prescritti.

6.9. – In effetti, la mancanza di disposizioni transitorie – volte a regolare la situazione dei minori stranieri affidati o sottoposti a tutela dopo l‘entrata in vigore della legge n. 94/2009, che raggiungano la maggiore età prima di aver potuto acquisire i requisiti richiesti nei successivi due anni all’entrata in vigore – lascia senza alcuna tutela la situazione di minori entrati a far stabilmente parte di un nucleo familiare, situazione che è giuridicamente rilevante ed equiparata a quella dei figli da altre norme, che non vengono esplicitamente derogate o modificate, come in particolare l’art. 29 dello stesso decreto legislativo n. 286 e le norme da esso richiamate, nonché i principi costituzionali e di diritto internazionale sottostanti.

E’ vero che in senso opposto giocano, come dice la sentenza impugnata, i testi dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 32, nel testo temporaneamente modificato dalla legge 94/2009, e lo scopo che tali modifiche volevano perseguire. Ma è anche vero che, per conseguire stabilmente lo scopo, non basta che le norme lo rendano evidente, occorre anche che le norme stesse siano effettivamente e compiutamente attrezzate a conseguirlo, regolando in modo coordinato gli effetti di altre norme e regolando le posizioni soggettive tutelate da fonti di pari rango legislativo o addirittura superiore, che possono interferire con lo scopo medesimo.

6.10. – Nel caso della normativa introdotta dalla legge n. 94/2009, si delineano fin dalla prima applicazione una serie di aspetti oggettivamente e sintomaticamente contraddittori con altre disposizioni previgenti e non modificate:

- l’evidente contrasto tra la disciplina dei minori sottoposti a tutela prevista dall’art. 32, commi 1-bis e 1-ter, nel testo modificato dalla legge n. 94, e la norma di cui all’art. 29, comma 2, secondo periodo, che, regolando il connesso procedimento del ricongiungimento familiare, prevede che: “I minori adottati o affidati o sottoposti a tutela sono equiparati ai figli”. Non convince la tesi accolta nella sentenza per la quale la equiparazione è prevista ai soli fini del ricongiungimento familiare. E’ invece paradossale proprio il fatto che tali minori potrebbero essere portati in Italia con il ben più complesso procedimento di ricongiungimento familiare, ma non possono avvalersi dell’assai più semplice trattenimento in Italia presso l’affidatario o tutore. Se invece dietro queste norme e la interpretazione che ne dà la sentenza impugnata, c’è un pensiero inespresso che ritiene affidamenti o tutele per gli stranieri “entrati” irregolarmente in Italia sostanzialmente diversi perché suscettibili di essere fittizi al contrario dei ricongiungimenti familiari, la questione è del tutto diversa. A tale aspetto risponde puntualmente la modifica integrativa del comma 1-bis dell’art. 32, di cui al decreto legge n. 89/2011, che non concede l’automatico rinnovo del permesso di soggiorno, ma lo sottopone a quello che può essere considerato un controllo di effettività costituito dal parere del Comitato per i minori stranieri. Ciò dimostra che la nuova norma svolge quella funzione di raccordo e di coordinamento del precedente testo con la restante normativa in materia di minori affidati, che giustifica la sua applicazione ai casi in corso (v. punto 6.13.);

- la difficoltà di capire cosa distingue la categoria degli affidati a cui secondo l’art. 32, comma 1, sono stati applicate le disposizioni di cui all’articolo 31, comma 1 e 2, dagli altri affidati o sottoposti a tutela che, in quanto rinviati al comma 1-bis, sono definiti affidati o sottoposti a tutela “non accompagnati”, a rischio di una diretta contraddizione in termini e quando sembrerebbe che, alla luce delle disposizioni dell’articolo 29 e dell’art. 31, a tutti gli affidati dovrebbero applicarsi le medesime disposizioni, mentre nel filo che lega art. 29, art. 31 e art. 32, comma 1, non si comprende perché non sono considerati anche i sottoposti a tutela, anche essi equiparati a figli dall’art. 29, comma 2;

- il contrasto con gli articoli 2, 4, e 9 della legge n. 84/1983, come interpretata dalla Corte costituzionale nel senso della sopradetta equiparazione e con le ulteriori indicazioni deducibili dalla consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale in materia;

- la mancanza di qualsiasi rilevanza del rapporto di affidamento o di tutela – quando esso corrisponde all’effettivo stabile inserimento all’interno di un nucleo familiare – al fine di consentirne la prosecuzione dopo il compimento della maggiore età in contrasto con gli articoli 8 e 14 della CEDU.

6.11. – Tali elementi di evidente contraddizione normativa corrispondono agli argomenti portati dall’appellante a sostegno dell’appello.

L’appellante ne deduce la necessità di una diversa interpretazione della legge n. 94/2009, che conduce in pratica a sostenere l’implicita esistenza di norme transitorie nel senso dell’ultrattività della normativa preesistente all’8 agosto per tutti i minori stabilmente inseriti in nuclei familiari, che compiano la maggiore età entro i due anni successivi all’entrata in vigore della legge n. 94/2009, a prescindere dal fatto che siano entrati in Italia prima o dopo dell’entrata in vigore della legge medesima, in quanto per tutti vale la materiale impossibilità di adempiere ai requisiti richiesti dalle modifiche sopravvenute.

6.12. – Tali argomentazioni, fino a quando la normativa resta vigente nel testo determinato dalla legge n. 94/2009, possono essere suggestive, ma non convincono, perché sono in contrasto con il chiaro orientamento del Consiglio di Stato nella interpretazione di quel testo, nonché con le regole della ermeneutica giuridica quanto alla successione delle leggi nel tempo e perché, nella sostanza, per tentare di risolvere un problema in via transitoria, ne determinerebbero altri di carattere permanente.

Una volta superato il termine di entrata in vigore della legge come punto di discrimine tra diverse situazioni soggettive, non è individuabile un altro punto di arresto ragionevole e conforme ai principi di efficacia nel tempo delle leggi. Ad esempio sarebbero esclusi da un più favorevole trattamento anche i minori che entrano successivamente in Italia già con una età che rende comunque impossibile l’adempimento dei requisiti (ad esempio quelli che compiono diciotto anni dopo i due anni dall’entrata in vigore della legge n. 94, ma sono entrati con una età che già rendeva impossibile l’adempimento dei requisiti). Le argomentazioni sostenute dall’appellante, e dalla giurisprudenza da lui richiamata, tornano comunque utili per porre in evidenza una situazione normativa assai confusa e contraddittoria, densa di gravi e irresolubili contraddizioni e sperequazioni tra i minori affidati o sottoposti a tutela in relazione all’età del loro ingresso in Italia, che richiederebbe anche un organico intervento di riordino nei rapporti tra artt. 29, 31 e 32 del D.Lgs. n. 286 e che per il momento motiva il circoscritto intervento normativo per ora operato. Pertanto, dal momento in cui la normativa viene ulteriormente modificata allo evidente scopo di rimediare almeno alle principali contraddizioni determinatesi, occorre mettere a frutto la modifica legislativa intervenuta e valorizzarne la ratio interpretando correttamente la sua natura e portata in conformità a tale ratio.

6.13. – A giudizio del Collegio, la nuova modifica normativa dell’articolo 32 in questione conseguente all’entrata in vigore del decreto legge n. 89/2011 come convertito dalla legge n. 129/2011, interpretata secondo le finalità riparatrici e correttive che l’hanno evidentemente motivata, diviene dirimente e consente di mettere almeno un primo e parziale rimedio (e perciò probabilmente anche esso temporaneo) ad una confusa e contraddittoria situazione normativa (risolvendo solo in parte problemi sostanziali e forse accentuando quelli di chiara e ordinata formulazione dei testi legislativi).

In base alle finalità che l’hanno ispirata, gli effetti della ulteriore modifica normativa devono necessariamente estendersi anche alla regolazione delle situazioni preesistenti e non ancora definite. Solo in tal modo si può raggiungere lo scopo di interrompere situazioni di contraddizione e disparità di trattamento, non giustificate dalla complessiva normativa e in vario modo segnalate dalla controversa giurisprudenza in materia, e lo scopo di ricomprendere tutte le situazioni tra loro omologabili sorte nel breve periodo, che intercorre tra le due opposte novelle dell’art. 32, comma 1-bis, armonizzandole con quelle che emergono nel periodo successivo all’ultima modifica.

A tal fine il Collegio afferma che:

- in una situazione normativa contraddittoria e oggettivamente incerta quale risulta dal quadro normativo e dai diversi orientamenti giurisprudenziali che ha generato, le nuove disposizioni devono ritenersi come un primo intervento volto a risolvere almeno i più gravi effetti dei contrasti tra norme diverse che disciplinano gli stessi istituti;

– tali disposizioni sono quindi da considerarsi quali norme interpretative – che operano per coordinare disposizioni contrastanti – da applicarsi, ove ne sussistano le condizioni, anche alle situazioni in corso al momento della loro entrata in vigore in ambito amministrativo o giurisdizionale come quella in esame;

- l’entrata in vigore della modifica all’art. 32 del D.Lgs. n. 286/1998 introdotta dal decreto legge n. 89/2011 come convertito dalla legge n. 129/2011 costituisce un elemento sopravvenuto da prendere obbligatoriamente in considerazione ai fini del riesame dei provvedimenti pur validamente adottati sulla base della precedente normativa, ai sensi dell’articolo 5, comma 5, primo periodo, del D.Lgs. n. 286/1998.

6.14. – In conclusione le ultime modifiche all’art. 32 reintroducono al comma 1-bis la distinzione tra i minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell’art. 2 della legge n. 184/1983 ovvero sottoposti a tutela, per i quali la conversione del permesso di soggiorno è condizionata al parere positivo del Comitato per i minori stranieri, e i minori stranieri non accompagnati, per i quali è previsto l’avvenuto compimento dei progetti di integrazione sociale e civile nei tempi e nei modi, indicati dallo stesso comma 1-bis.

Si deve pertanto intendere alla luce della complessiva normativa vigente, come interpretata dalla giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato, che, per i minori stranieri affidati o sottoposti a tutela, è sufficiente che sia stato avviato un percorso di integrazione sociale e civile apprezzabile dal Comitato o più precisamente dall’organo che ne va ad acquisire le funzioni dopo la sua soppressione ad opera dell’art. 12, comma 20, del D.L. n. 95/2012 convertito dalla legge n. 135/2012.

La modifica normativa all’art. 32, in ragione del suo carattere essenzialmente interpretativo, deve applicarsi alle situazioni ancora in corso proprio per raggiungere le sue finalità e non accentuare in caso contrario i fattori di contraddizione e irragionevole disparità di trattamento.

7. – L’appello va pertanto accolto sulla base dell’attuale testo dell’art. 32 del D.Lgs. n. 286 più volte citato e la sentenza del TAR va riformata nei termini di cui in motivazione.

Il provvedimento impugnato in primo grado, formalmente legittimo al momento della sua adozione, è annullato e deve essere rinnovato sulla base della norma integrativa e interpretativa sopravvenuta, in applicazione dell’articolo 5, comma 5, primo periodo, dello stesso D.Lgs n. 286/1998, nella parte che prescrive di prendere in considerazione gli elementi sopraggiunti che possano consentire il rilascio del permesso di soggiorno.

8. – L’andamento della vicenda processuale, dovuto anche al sopravvenire di nuove norme, giustifica la compensazione delle spese per la presente fase del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso in primo grado nei termini di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Roberto Capuzzi, Consigliere

Hadrian Simonetti, Consigliere

Dante D’Alessio, Consigliere

Alessandro Palanza, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)