ASGI

Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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18.03.2010

Cap Anamur: Non commette reato chi effettua il salvataggio in mare di migranti naufraghi e li conduce in "luogo sicuro"

 
Depositate le motivazioni della sentenza del Tribunale di Agrigento che ha assolto il comandante e l'equipaggio della "Cap Anamur".
 
Sentenza del Tribunale di Agrigento, sez. penale, dd. 15.02.2010 (cap Anamur), 1a. parte (1600.59 KB)
Sentenza del Tribunale di Agrigento, sez. penale, dd. 15.02.2010 (cap Anamur), 2a. parte (1857.28 KB)
 

Il  15 febbraio scorso, il Tribunale di Agrigento ha depositato  le motivazioni della sentenza emessa il 7 ottobre dello scorso anno con la quale, dopo cinque anni di procedimento, sono stati assolti tutti gli imputati del caso "Cap Anamur".

Il Tribunale di Agrigento aveva pronunciato una sentenza di assoluzione con formula piena "perché il fatto non costituisce reato" nei confronti di Elias Bierdel, del comandante Schmidt e del suo secondo, imputati di agevolazione dell'ingresso di clandestini dopo avere soccorso, nel giugno 2004, 37 migranti, naufraghi alla deriva a cento miglia a sud di Lampedusa. E' stato anche disposto il dissequestro del deposito cauzionale che era stato versato dopo il sequestro della nave, restituita al comitato Cap Anamur e poi venduta.

Il messaggio che emerge dalle motivazioni della sentenza del Tribunale di Agrigento è che chi effettua il salvataggio a mare non commette alcun reato ed il comandante è l'unica persona che può individuare il "luogo sicuro", anche da un punto di vista giuridico, per lo sbarco. Gli Stati devono, dunque,  rispettare il diritto internazionale del mare, che vieta anche i respingimenti collettivi, ed il divieto di refoulement affermato dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati.

Le stesse motivazioni enunciano principi di diritto internazionale, come l'obbligo di condurre i naufraghi in un "place of safety", e non nel porto più vicino. L'ASGI rammenta che tale principi sono stati costantemente violati dalle autorità italiane con la prassi dei respingimenti congiunti verso la Libia attuati lo scorso anno.

Dopo anni di indagini, e dopo l' audizione di numerosi testimoni, tutte le accuse formulate dalla Procura di Agrigento nei confronti dei responsabili della "Cap Anamur" sono risultate destituite di ogni fondamento. E' stata respinta l' iniziale ipotesi accusatoria della forzatura del blocco navale che era stato imposto alla Cap Anamur, tenuta per due settimane al largo delle coste siciliane per decisione del governo italiano, ed è stata accolta la tesi della difesa dell'esistenza di una   situazione d' urgenza e di stato di necessità, determinata a bordo della nave da una così lunga permanenza dei naufraghi, ai quali venivano impediti lo sbarco e la possibilità di fare valere la loro richiesta di asilo o di protezione umanitaria.

Il collegio giudicante ha respinto la ricostruzione dei fatti proposta dall'accusa, la quale - per contestare le aggravanti derivanti dalla ipotesi associativa- ha  coinvolto nel procedimento anche il "secondo di bordo", soggetto del tutto privo di autonoma capacità decisionale sulla condotta della nave, rimessa esclusivamente ai poteri del comandante.

Le motivazioni adesso rese note forniscono finalmente il chiarimento definitivo di circostanze che nei primi rapporti di polizia, talora contraddittori, anche alla luce delle successive deposizioni rese in aula dai massimi vertici del ministero dell'interno, tendevano ad addossare ai responsabili della Cap Anamur sia i ritardi nelle comunicazioni che lo stato di emergenza che si viveva a bordo della nave dopo che i ministri dell'interno di Germania e Italia non erano riusciti a trovare una intesa sulla richiesta di ingresso e di asilo presentata dai naufraghi.

La vicenda processuale, con il concorso di tutte le parti, ha permesso di accertare come i dinieghi frapposti per settimane all'ingresso della Cap Anamur nelle acque territoriali fossero destituiti di qualsiasi fondamento giuridico, derivando da "scelte politiche" dell'allora ministro dell'interno Pisanu, concordate in un vertice europeo con la Germania e la Gran Bretagna a Sheffield; "scelte politiche" che sul piano interno si sono poi tradotte nel ritiro "in autotutela" dei permessi di protezione umanitaria concessi a 21 dei rifugiati dopo lo sbarco in Sicilia, ed ancora nella espulsione sommaria di tutti i naufraghi, meno due, malgrado le decisioni di sospensiva provenienti da giudici diversi ed un ricorso pendente dinanzi alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo.

La sentenza di Agrigento costituisce una importante affermazione dello stato di diritto di fronte al tentativo delle autorità amministrative italiane di configurare "a posteriori" una fattispecie di responsabilità penale, in violazione del principio di legalità e di responsabilità personale sui quali si basa nel nostro sistema il diritto penale. Un tentativo che si è dispiegato ancora nel corso del 2009 con la prassi dei respingimenti collettivi, che violano il diritto interno e le Convenzioni internazionali, e con la introduzione del reato di immigrazione clandestina, una fattispecie che nella sua concreta attuazione viola il principio di parità di trattamento ed è rimessa sostanzialmente alla discrezionalità delle autorità di polizia.

Le motivazioni della sentenza sul caso Cap Anamur sembrano riflettere una diversità di approccio rispetto alla successiva sentenza dello stesso Tribunale di Agrigento nel processo a carico dei sette pescatori tunisini che nel 2007 soccorsero altri naufraghi alla deriva nel Canale di Sicilia. Una sentenza che, se ha affermato l'assoluzione degli equipaggi, ha condannato i due comandanti dei  pescherecci che operarono l'intervento di salvataggio.

La Corte di Appello di Palermo, presso la quale è pendente il ricorso contro la sentenza del tribunale di Agrigento che ha  condannato i due comandanti  tunisini autori dell' intervento di salvataggio, potrà così  tenere conto delle motivazioni della sentenza sul caso Cap Anamur. 

La sentenza di assoluzione del Tribunale di Agrigento costituisce pertanto una vittoria per tutte le associazioni e i movimenti  che si sono opposti in questi anni alla politica dei respingimenti collettivi nel Canale di Sicilia operati dal governo italiano e alle modalità di  coinvolgimento in detta politica di contenimento anche della missione FRONTEX. Si confida  che presto la Corte Europea dei diritti dell'Uomo e la Commissione Europea si pronuncino sui ricorsi e le denunce che sono state presentate contro l'Italia lo scorso anno .


  



 
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