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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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19.10.2009

Corte di giustizia europea: "I lavoratori frontalieri devono essere assimilati a quelli residenti nella fruizione dei vantaggi sociali collegati alla loro qualifica di lavoratori"

 
E' discriminatorio nei confronti dei lavoratori comunitari frontalieri subordinare l'erogazione di prestazioni sociali collegate alla qualifica di lavoratori al requisito della residenza sul territorio dello Stato.
 
CGE sentenza dd. 10 settembre 2009 C-269/07 (125.72 KB)
 
Costituisce una forma di discriminazione indiretta vietata dal diritto comunitario la mancata assimilazione dei lavoratori comunitari frontalieri ai lavoratori residenti nella fruizione di prestazioni sociali collegate alla loro qualifica di lavoratori per la sola ragione della mancanza di  residenza dei primi sul territorio nazionale.

L'art. 7 n. 2 del regolamento comunitario  n. 1612 prevede che il lavoratore cittadino di uno Stato membro gode, sul territorio degli altri Stati membri, degli stessi vantaggi sociali dei lavoratori nazionali. Tale principio di parità di trattamento discende anche dagli art. 39 e 12 del TCE. Secondo costante giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, i lavoratori frontalieri devono essere assimilati ai lavoratori residenti nel territorio dello Stato membro ove esercitano la loro attività lavorativa (Sent. Schumacker causa C. 279/93) e, dunque possono avvalersi delle disposizioni citate in materia di parità di trattamento allo stesso titolo dei lavoratori nazionali o comunitari residenti (sentenza Geven, causa C 213/05). Lo svolgimento di attività lavorativa nel paese membro da parte del lavoratore frontaliero comunitario con la conseguente affiliazione obbligatoria al sistema previdenziale mediante il versamento dei contributi,  costituisce un criterio di collegamento stretto con la società del paese membro. La previsione di un requisito di residenza nel paese membro al fine dell'erogazione di prestazioni sociali collegate alla qualifica di lavoratori, costituisce una forma di discriminazione indiretta o dissimulata, in quanto, per la sua stessa natura, nelle zone di frontiera  tende ad incidere maggiormente  sui lavoratori frontalieri del paese membro confinante rispetto a  quelli nazionali.


Nel caso specifico che ha portato alla recente sentenza della Corte di Giustizia europea dd. 10 settembre 2009 (causa C- 269/07),  la Repubblica federale di Germania ha violato il diritto alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità introducendo nel proprio ordinamento disposizioni in materia di pensioni integrative di vecchiaia, che  non riconoscono ai lavoratori frontalieri il diritto ad un premio, qualora essi non siano interamente assoggettati ad imposta in Germania, non consentono che il capitale sovvenzionato sia utilizzato per l'acquisto di un alloggio a fini abitativi del proprietario, se il detto alloggio non è ivi situato, e prevedono la restituzione della sovvenzione quando cessa la situazione di assoggettamento integrale ad imposta nel detto Stato membro. Poiché, infatti, i lavoratori frontalieri non sono assoggettati integralmente ad imposta sul reddito in Germania, bensì nel loro  paese confinante di residenza, tale requisito dell'assoggettamento integrale ad imposta equivale a quello della residenza e quest'ultimo costituisce una forma di discriminazione indiretta o dissimulata vietata dal diritto comunitario.


La giurisprudenza della Corte di Giustizia europea è di notevole rilievo anche per il nostro Paese nel momento in cui appare consolidata la prassi dell'INPS di escludere dall'indennità di mobilità  i lavoratori frontalieri comunitari (ad. quelli sloveni che lavorano nel FVG ) qualora non abbiano una residenza anagrafica in Italia. Prassi che appare chiaramente illegittima alla luce della  giurisprudenza comunitaria.



 
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