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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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27.03.2014

Ogni azione di contrasto del traffico di persone via mare deve rispettare sempre l’obbligo internazionale di assicurare l'incolumità e il trattamento umano delle persone a bordo di un’imbarcazione sospettata di trasportare migranti in condizioni irregolari

 
 
Le navi dell’operazione Mare nostrum svolgono una doverosa opera di soccorso in mare di migranti in fuga che si trovano a navigare in modo pericoloso per la vita, come prescrivono le convenzioni internazionali in vigore. Tuttavia inaccettabili e illegittimi sono gli episodi in cui dalle navi militari italiane sono stati sparati colpi d’arma da fuoco nei confronti di natanti sospettati di trasportare migranti.

La salvaguardia della vita umana in mare è principio giuridico fondamentale e inderogabile ed è alla base del diritto internazionale del mare. 
Infatti anche il Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, firmato a Palermo il 15 dicembre 2000, ratificato e reso esecutivo con legge 16 marzo 2006, n. 146, prevede, tra l’altro, l’obbligo di assicurare l'incolumità e il trattamento umano delle persone a bordo di un’imbarcazione sospettata di trasportare migranti in condizioni irregolari (artt. 9 par. 1(a) e 18 par. 5) e l’obbligo di proteggere e assistere le vittime di traffico, in particolare donne e bambini (art. 16). 

Occorre verificare se, come e perché nel caso concreto ognuno di tali precisi obblighi internazionali non siano stati rispettati anche nei confronti della barca che a bordo aveva i sospetti scafisti.

Infatti l'identificazione delle navi e dei migranti nel mare internazionale da parte delle unità militari italiane è prevista sia dal diritto internazionale del mare, sia dall'art. 12, commi 9-bis, 9-ter, 9-quater e 9-quinquies del testo unico delle leggi sull’immigrazione (d. lgs. n. 286/1998), ma il decreto del Ministro dell’interno 14 luglio 2003 prevede norme di coordinamento e di comportamento per le navi militari che si propongono non soltanto la salvaguardia della vita in mare, ma anche il contrasto di eventuali natanti che trasportino di migranti  a fini di sfruttamento o favoreggiamento dell'immigrazione irregolare. 

Anche l’art. 7 di tale decreto ministeriale prevede che l'azione di contrasto è sempre improntata alla salvaguardia della vita umana ed al rispetto della dignità della persona e che è proprio su conformi direttive della Direzione centrale che le unità navali procedono, ove ne ricorrano i presupposti, all'effettuazione dell'inchiesta di bandiera, alla visita a bordo, qualora sussista un'adeguata cornice di sicurezza, ed al fermo delle navi sospettate di essere utilizzate nel trasporto di migranti clandestini e che in acque internazionali, qualora a seguito dell'inchiesta di bandiera se ne verifichino i presupposti, può essere esercitato il diritto di visita che è formalmente autorizzato dal Ministro dell'interno anche nell'ipotesi di interventi da effettuarsi su natanti privi di bandiera e dei quali non si conosce il porto di partenza. In ogni caso lo stesso art. 7 prevede che la visita a bordo di mercantili sospettati di essere coinvolti nel traffico di migranti deve avvenire in una cornice di massima sicurezza, onde salvaguardare l'incolumità del team ispettivo e dei migranti stessi e che qualora si renda necessario l'uso della forza, l'intensità, la durata e l'estensione della risposta devono essere proporzionate all'intensità dell'offesa, all'attualità e all'effettività della minaccia.

In proposito l’uso sproporzionato della forza non può certo essere legittimato nemmeno dalla circostanza che dell’operazione sia stata costantemente informata la Procura della Repubblica di Catania. Infatti la Direzione nazionale antimafia ha fornito all’inizio del 2014 precisi chiarimenti normativi circa le associazioni per delinquere dedite al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, i navigli usati per il trasporto di migranti con attraversamento di acque internazionali e ha formulato precise proposte operative per la soluzione dei problemi di giurisdizione penale nazionale e circa le possibilità di intervento, tra le quali si richiama espressamente (alla nota n. 3) l’art. 7 del citato decreto ministeriale.

Perciò al di là delle doverose indagini che la magistratura sta svolgendo sull’episodio, che si spera isolato, occorrono alcuni precisi e pubblici chiarimenti:
1) lo stato maggiore della Marina militare chiarisca le regole di ingaggio delle unità partecipanti all’operazione Mare nostrum;
2) la Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della  Pubblica Siscurezza del Ministero dell'Interno fornisca un pubblico chiarimento circa il contenuto delle direttive sull’uso della forza date in concreto al personale militare, sia in via generale, sia in concreto a quello imbarcato sull’unità navale da cui sono partiti gli spari, chiarendo quale fosse l’attualità, l’effettività e l’intensità della minaccia che richiedessero come necessaria e proporzionata la più forte delle reazioni armate. 
Occorre poi che il Ministro dell’interno sostituisca subito il suo decreto del 14 luglio 2003 per adeguarlo alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul divieto di respingimento in mare e a tutte le norme del citato Protocollo di Palermo del 2000, in modo che le direttive date rispettino inderogabilmente la vita in mare e in modo che ogni operazione di contrasto del traffico delle persone si uniformi in modo completo all’obbligo di assicurare l'incolumità e il trattamento umano delle persone a bordo di un’imbarcazione sospettata di trasportare migranti in condizioni irregolari e all’obbligo di proteggere e assistere le vittime di traffico, in particolare donne e bambini.