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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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18.01.2014

CGUE: Tre importanti sentenze interpretative sul diritto alla libera circolazione e soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari

 
Interpretata la nozione di discendente ‘a carico’ del cittadino dell’Unione. I periodi di detenzione non possono essere presi in considerazione per l’acquisto del titolo di soggiorno permanente o della tutela rafforzata contro l’allontanamento.
 
La sentenza della Corte di Giustizia europea, Flora May Reyes contro Migrationsverket (causa C-423/12) (64.87 KB)
Il comunicato stampa della Corte di Giustizia europea sulla sentenza Flora May Reyes contro Migrationsverket (causa C-423/12) (210.69 KB)
La sentenza della Corte di Giustizia europea, Onuekwere /Secretary of State for the Home Department UK (causa C-378/12) (65.02 KB)
La sentenza della Corte di Giustizia europea, M.G. / Secretary of State for the Home Department UK (causa C-400/12) (69.8 KB)
Il comunicato stampa della Corte di Giustizia europea sulle sentenze nelle cause C-378/12 e C-400/12 (171.13 KB)
 

 

In data 16 gennaio 2014,  la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha emanato tre importanti sentenze in materia di libertà di circolazione e soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari.

Con la sentenza nella causa Reyes/Migrationsverket (C-423/12), la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha concluso che per poter essere considerato a carico di un cittadino dell’Unione europea e, dunque, titolare del diritto di soggiorno nello Stato membro, un discendente di età superiore ai 21 anni, cittadino di un Paese terzo,  non è tenuto a dimostrare di aver tentato di garantire il proprio sostentamento nello Stato di origine in maniera diversa dal legame di dipendenza e dall’aiuto ricevuto dal cittadino dell’Unione, provando ad esempio di aver cercato inutilmente un’attività lavorativa o di aver richiesto un aiuto per il sostentamento dalle autorità del paese di origine.

La causa fa riferimento ad una richiesta di pronuncia pregiudiziale proposta dal tribunale di appello svedese a seguito del rigetto notificato dalle autorità per l’immigrazione svedesi ad una cittadina filippina al rilascio della carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione europea.

La cittadina filippina aveva richiesto tale rilascio in quanto figlia ultraventunenne di una cittadina tedesca di origini filippine risiedente in Svezia con il marito, cittadino norvegese, ai sensi dell’art. 2  punto 2 lett. c) della direttiva 2004/38.

La Corte di Giustizia europea ha fatto riferimento alla precedente giurisprudenza per cui  affinchè il discendente diretto di un cittadino dell’Unione, di età pari o superiore a 21 anni, possa essere considerato “a carico” dello stesso, deve essere dimostrata l’esistenza di una reale situazione di dipendenza ‘oggettiva’ dal cittadino dell’Unione, con conseguente dimostrazione del sostegno materiale fornito da quest’ultimo nello Stato di origine o di provenienza del discendente nel momento in cui questi chieda il ricongiungimento (sentenza Jia, C-1/05). Questo, a prescindere dalle ragioni di tale dipendenza e senza dunque la necessità che il discendente debba dimostrare di avere inutilmente tentato di trovare un’occupazione nel Paese di origine o di provenienza o di far a meno del sostegno materiale del genitore mediante il ricorso a mezzi alternativi di sostentamento quali il ricorso all’assistenza sociale delle autorità del Paese di origine o di provenienza.

Ugualmente, rispondendo ai rilievi mossi dalle autorità dell’immigrazione della Svezia, i giudici di Lussemburgo rilevano come siano irrilevanti le eventuali  prospettive del discendente  ultraventunenne  di ottenere un lavoro  nello Stato membro ospitante, che potrebbero ragionevolmente dedursi dalle condizioni di età, stato di salute e qualifica professionale, in quanto la condizione di essere “a carico” prevista dalla norma di cui alla direttiva 2004/38 deve essere verificata nel paese di provenienza dell’interessato, nel momento in cui chiede di ricongiungersi con il cittadino dell’Unione, mentre un’interpretazione diversa risulterebbe irragionevole ed illogica rispetto ai contenuti dell’art. 23 della direttiva, che autorizza espressamente il discendente, qualora benefici del diritto di soggiorno, ad intraprendere un’attività economica a titolo di lavoratore subordinato o autonomo.

Con la sentenza Onuekwere /Secretary of State for the Home Department UK (causa C-378/12), la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha concluso che i periodi  di detenzione trascorsi nello Stato membro ospitante dal cittadino di Paesi terzo, familiare del cittadino dell’Unione, non possono essere presi in considerazione ai fini della maturazione del termine di soggiorno continuativo per cinque anni necessario per acquisire lo status di soggiorno permanente previsto dall’art. 16 della direttiva 2004/38.  Questo perchè il legislatore dell’Unione ha fatto dipendere l’ottenimento del diritto di soggiorno permanente dall’integrazione dell’interessato nello Stato membro ospitante per  cui il soggiorno continuativo di cinque anni necessario per dimostrare detta integrazione non deve basarsi su criteri esclusivamente temporali e spaziali, ma anche su elementi qualitativi che riflettano effettivamente tale integrazione. L’aver subito una condanna ad una pena detentiva senza sospensione dimostra il mancato rispetto da parte dell’interessato dei valori espressi dalla società dello Stato membro ospitante e pertanto detto periodo di detenzione non può essere conteggiato ai fini dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, così come interrompe la continuità del medesimo periodo di soggiorno, per cui anche i periodi precedenti e successivi a quello di detenzione non possono essere sommati tra loro per raggiungere  il termine necessario per ottenere il soggiorno permanente.

Con la sentenza  M.G. / Secretary of  State for the Home Department UK (causa C-400/12), la Corte di Giustizia europea ha concluso che il periodo di soggiorno continuativo di dieci anni richiesto per la concessione della protezione rafforzata contro l’allontanamento  del cittadino dell’Unione di cui all’art. 28 c. 3 lett. a) della direttiva 2004/38 deve essere calcolato a ritroso, a partire dalla data della decisione di allontanamento del cittadino dell’Unione. Ugualmente, per le medesime  ragioni, già citate nella sentenza C- 378/12,  i periodi di detenzione trascorsi dal cittadino dell’Unione non possono essere presi in considerazione ai fini del calcolo del soggiorno di dieci anni, in quanto non riflettono qualitativamente un rapporto di integrazione sociale del cittadino dell’Unione con la società dello Stato membro ospitante. Ugualmente, per le medesime ragioni, tali periodi di detenzione interrompono, in linea di massima, la continuità del soggiorno richiesta ai fini dell’acquisizione del termine per la protezione rafforzata dall’allontanamento, ma pur sempre  occorre procedere ad una valutazione complessiva della situazione personale, che tenga conto degli aspetti pertinenti della sua detenzione così come  della circostanza che l’interessato abbia soggiornato nello Stato membro ospitante durante i dieci anni precedenti la sua detenzione.

 
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