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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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11.01.2014

Esposto del Servizio antidiscriminazioni dell’ASGI alla Commissione europea sull’accesso degli stranieri alle libere professioni

 
L’ASGI lamenta diversi casi di stranieri cui viene impedita l’iscrizione agli albi professionali per mancanza dei requisiti di cittadinanza o di reciprocità.
 
Il testo dell'esposto del Servizio antidiscriminazioni dell'ASGI alla Commissione europea (502.54 KB)
 

Il servizio antidiscriminazioni dell’ASGI ha inviato un esposto alla Commissione europea in merito alle difficoltà incontrate da diversi cittadini stranieri di Paesi terzi regolarmente soggiornanti in Italia nell’accesso agli albi, registri ed elenchi professionali, al fine di svolgere le libere professioni.

Diverse disposizioni legislative che regolano l’ordinamento  di numerose libere professioni in Italia, perlopiù datate nel tempo, ma anche recenti, prevedono la clausola di cittadinanza italiana o di Paese membro dell’Unione europea ovvero, per i cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione europea, la clausola di reciprocità per l’accesso e l’esercizio delle  relative libere professioni.

La normativa generale sull’immigrazione (T.U. immigrazione, d.lgs. n. 286/98 ed il relativo regolamento applicativo, d.P.R. n. 394/99), ha  previsto una deroga solo temporanea dal requisito di cittadinanza per  l’iscrizione di cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti ad albi, collegi ed elenchi professionali, da esercitarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge (ovvero entro il 27 marzo 1999). Scaduti i termini di tale deroga, l’iscrizione ad albi, collegi ed elenchi professionali verrebbe subordinata al soddisfacimento del requisito delle quote annuali dei flussi di ingresso con priorità assegnata agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia da almeno cinque anni, ma la norma non avrebbe mai trovato effettiva applicazione nella prassi in quanto alcun decreto annuale dei flussi di ingresso ha mai previsto una tale quota.

Il decreto di recepimento nell’ordinamento interno della direttiva europea 109/2003 in Italia ha previsto il principio di parità di trattamento per l’esercizio di attività lavorativa autonoma da parte dei lungosoggiornanti (art. 11 c. 1), prevedendo tuttavia una clausola di deroga che, nelle intenzioni dell’autorità di Governo, vorrebbe  far salve le riserve di cittadinanza  previste dalla legislazione di settore previgente, tra cui le normative ordinamentali delle libere professioni.

La recente legge di riforma degli ordinamenti professionali e relativo regolamento applicativo (art. 3 comma 5 del D.-L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito  con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148; art. 2 c. 4  d.P.R. 7 agosto 2012, n. 137) ha espressamente previsto il divieto di limitazioni discriminatorie, anche  indirette, fondate sulla nazionalità, all’accesso e all’esercizio delle libere professioni . Essa dovrebbe, pertanto, consentire l’accesso agli albi, registri ed elenchi professionali, in condizione di parità di trattamento con i cittadini italiani, dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti in Italia ed in possesso di un permesso di soggiorno valido per l’esercizio dell’attività lavorativa (anche se non lungosoggiornanti), quindi senza necessità di alcuna verifica di requisiti di cittadinanza o di reciprocità o di sussistenza del meccanismo  delle quote numeriche dei flussi di ingresso annuale per motivi di lavoro autonomo. Ciononostante, le prassi messe in atto dagli ordini professionali in Italia nonchè dagli organi ministeriali evidenziano come continuino a trovare diffusa applicazione le disposizioni normative ordinamentali delle libere professioni che contengono la clausola di esclusione dei cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione europea, con la sola eccezione nei casi in cui questi siano in grado di dimostrare la sussistenza della condizione di reciprocità e senza che vengano previste esenzioni dalla condizione di cittadinanza o di reciprocità nemmeno per i lungosoggiornanti o i familiari di cittadini UE titolari della carta di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. Questi pur dovrebbero godere della parità di trattamento nell’esercizio di attività di lavoro autonome prevista da norme di diritto dell’Unione europea,  salvo nei casi in cui queste attività  implichino, anche in via occasionale, la partecipazione all’esercizio di pubblici poteri.

L’ASGI ricorda anche  il recente pronunciamento del Tribunale di Milano  (ordinanza dd. 29 agosto 2013, est. Dossi, causa Lejda Hasani c. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, reperibile al link: http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=2870&l=it),  a seguito di un ricorso  avviato da un lungosoggiornante di nazionalità albanese che si era visto notificare il diniego a  concorrere all’esame di Stato  per l’abilitazione all’esercizio della professione di consulente del lavoro per mancanza del requisito di cittadinanza italiana o di Paese membro UE o della condizione di reciprocità.  Nell’accogliere il ricorso, il giudice del lavoro di Milano ha giustamente richiamato la  consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, secondo la quale il principio di uguaglianza e di non discriminazione costituisce ‘principio generale del diritto dell’Unione’, per cui ogni restrizione e facoltà di deroga contenuta nelle direttive europee, tra cui anche la n. 109/2003,  deve essere innanzitutto espressamente ed univocamente esercitata dagli Stati membri in sede di recepimento delle medesime e comunque deve essere interpretata restrittivamente  tenendo conto della finalità delle direttive, la quale nel caso della direttiva 109/2003 è  l’integrazione dei cittadini di Stati terzi che abbiano soggiornato legalmente a titolo duraturo negli Stati membri (si veda in proposito, CGUE, sentenza 24 aprile 2012, causa Kamberaj c. Provincia autonoma di Bolzano, causa C- 571/10). Pertanto, una corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea secondo il principio della leale cooperazione degli Stati membri e dell’interpretazione della norma interna in maniera conforme a quella del diritto dell’Unione, ovvero in caso di impossibilità di detta interpretazione, la disapplicazione della prima a vantaggio della seconda, porta a respingere la tesi del Governo italiano, secondo cui  la formulazione ambigua e generica dell’art. 9 c. 12 del d.lgs. n. 286/98  potrebbe ritenersi legittima espressione del potere di deroga consentito dalla direttiva.

Nell’esposto, il   servizio antidiscriminazioni dell’ASGI  chiede alla Commissione europea  di  iniziare un’indagine presso le autorità italiane al fine di verificare l’eventuale violazione di norme del diritto dell’Unione europea e l’apertura di un procedimento d’infrazione. Il servizio antidiscriminazioni dell’ASGI  ritiene, infatti,  che le prassi di esclusione dei cittadini stranieri di Paesi terzi regolarmente soggiornanti in Italia dall’esercizio delle libere professioni, frutto anche di una normativa ambigua e poco coerente, sia in contrasto con le disposizioni in materia di parità di trattamento per l’esercizio di un’attività di lavoro autonomo di cui alle direttive 109/2003 e 38/2004 a favore  dei cittadini di Stati terzi rispettivamente lungosoggiornanti e familiari di cittadini UE.

a cura del servizio antidiscriminazioni dell'ASGI. Progetto con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

 
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