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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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10.09.2013

Riprende il dibattito alla Camera dei deputati sulla proposta di legge in materia di contrasto all'omofobia

 
Preoccupazione per possibili emendamenti che possano abbassare gli standard di protezione penale contro le forme di istigazione alla discriminazione razziale.
 
 

Riprenderà l’11  settembre in aula alla Camera dei Deputati il dibattito  sulla proposta di legge in materia di contrasto all’omofobia e alla transfobia sulla base del testo unificato licenziato dalla Commissione Giustizia alla fine di luglio e presentato in aula il 5 agosto scorso. Quest’ultimo prevede la modifica all’art. 3 della  legge 13 ottobre 1975, n. 654 (la c.d. “Legge Reale” di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966), inserendo tra le condotte di istigazione, violenza e associazione finalizzata alla discriminazione anche quelle fondate sull'omofobia o sulla transfobia. Conseguentemente, il provvedimento prevede la punizione  con la reclusione fino a un anno e 6 mesi o la multa fino a 6.000 euro chi «istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi» fondati sull'omofobia o transfobia; con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chi in qualsiasi modo «istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi» fondati sull'omofobia o transfobia; con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque partecipa - o presta assistenza - ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi fondati sull'omofobia o transfobia. La pena per coloro che le promuovono o dirigono è la reclusione da 1 a 6 anni. Ugualmente, la proposta di legge intende modificare il titolo e la rubrica dell'art. 1 della c.d. legge Mancino (Legge 205/1993), chiarendo che sono applicate anche ai condannati per una delle fattispecie precedenti - ovvero a seguito di condotta fondata sull'omofobia o transfobia - le pene accessorie previste dalla stessa legge Mancino (obbligo di prestare un'attività non retribuita a favore della collettività; obbligo di permanenza in casa entro orari determinati; sospensione della patente di guida o del passaporto, nonché del divieto di detenzione di armi e del divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale).

Suscita preoccupazione  la possibilità - ventilata e pubblicamente sostenuta  da diversi parlamentari e alcuni settori dell’opinione  pubblica - che venga presentato in aula un ulteriore emendamento alla proposta di legge, che intenderebbe apportare  la precisazione per cui  non costituiscono  discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purchè non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente”. Tale precisazione troverebbe attuazione nei confronti di tutti  ‘fattori’ protetti dalla normativa (quello etnico-razziale, nazionale, religioso, o fondato sull’omofobia o la transfobia).

Si potrebbe ritenere  pleonastico tale emendamento in quanto nel sistema internazionale ed europeo dei diritti umani  è consolidato il principio per cui la proibizione della disseminazione di ogni idea fondata sulla superiorità o l’odio razziale è  compatibile con il diritto alla libera di espressione ed opinione. Tale è la conclusione del Comitato ONU per l’eliminazione della Discriminazione Razziale nella Raccomandazione XV sull’art. 4 della Convenzione  sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione Razziale, adottata nella sessione n. 40 (1993). Ugualmente, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo ha più volte sostenuto  come  forme di ‘hate speech’ consistenti nell’  istigazione o incitamento  pubblici all’odio o alla discriminazione razziale, suscettibili di suscitare un sentimento di rigetto e di ostilità verso un gruppo sociale o religioso, non possono trovare la protezione garantita dall’art. 10 della CEDU in materia di libertà di espressione e di opinione (ad es. CEDU,  decisione 20 aprile 2010,  Le Pen c. Francia, causa n. 18788/09;  sentenza  16 luglio 2009, Féret c. Belgio; sentenza 22 ottobre 2007, Lindon Otcvhakovsky-Laurens July c. Francia, ).

L’emendamento così formulato, se venisse approvato, potrebbe tuttavia introdurre elementi di forte ambiguità nella effettiva possibilità di perseguire penalmente  forme di istigazione alla discriminazione che, pur non facendo  ricorso ad un linguaggio esplicitamente inneggiante all’odio o alla violenza, pur sempre esprimano sentimenti di rigetto,  pregiudizio  e di ostilità nei confronti di determinati gruppi sociali identificati secondo le categorie ‘protette’ dalla norma . Si pensi a titolo di esempio all’uomo politico che sostenga pubblicamente che nella gestione di una crisi aziendale e della conseguente eccedenza di personale, si dovrebbero innanzitutto licenziare i lavoratori stranieri;  o che le professioni sanitarie dovrebbero essere precluse alle persone omosessuali; o che ad un aderante alla fede islamica non dovrebbero essere consentito di fare il poliziotto o l’insegnante.

Se così fosse, l’Italia verrebbe meno ai suoi obblighi derivanti dall’adesione e ratifica alla Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale che richiede agli Stati membri  di reprimere penalmente tra l’altro l’incitamento alla discriminazione razziale, non solo dotandosi di  norme penali appropriate,  ma anche applicandole effettivamente (“To satisfy these obligations, State parties have not only to enact appropriate legislation but also to ensure that it is effectively enforced” Committee on the Elimination of Racial Discrimination, General Recommendation XV on art. 4 adopted by the Committee at its forty-second session (1993)).

L’introduzione di un tale emendamento non parrebbe nemmeno molto appropriato ed opportuno  politicamente nel momento in cui  il  Consiglio europeo si appresta  entro la fine del novembre 2013 a valutare il comportamento degli Stati membri UE nella lotta al razzismo e alla xenofobia, nell’ambito innanzitutto delle misure adottate o in vigore per conformarsi alle disposizioni della Decisione quadro  2008/913/EC  del 28 novembre 2009 sulla lotta contro talune forme di espressione di razzismo e xenofobia mediante il diritto penale.

E’ certamente  preoccupante  il fatto che il  Parlamento italiano incontri così tante difficoltà ad adottare  misure che combattano, anche sotto il profilo penale,  forme di ‘hate crimes’ e ‘hate speech’ che siano espressione di omofobia e transfobia, L'adeguamento  della  normativa penale contro i reati ispirati a omofobia e transfobia è stato  auspicato  dalla Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (2010)5.  Ormai più della metà dei Paesi membri dell’Unione europea hanno inserito nella propria legislazione penale la proibizione dell’incitamento all’odio  fondato sull’orientamento sessuale e l’identità di genere e  hanno incluso  l’intento omofobico o transfobico come una circostanza aggravante di un reato commesso (mente nel testo unificato licenziato dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati l’aggravante per omofobia o transfobia è stata cancellata dal provvedimento); segno che  il contrasto di ogni  forma di violenza,  odio e discriminazione fondati sull’omofobia o transfobia costituiscono un valore  ormai largamente condiviso in Europa. 

Si auspica, dunque,  che nella revisione della normativa sui crimini di odio al fine di introdurre forme di protezione e contrasto dei reati motivati da omofobia e transfobia, non vengano introdotte norme che possano abbassare o compromettere gli standard e gli obblighi internazionali relativi alla lotta contro la discriminazione razziale.

A cura di Walter Citti, servizio antidiscriminazioni dell’ASGI – progetto con il sostegno della fondazione italiana a finalità umanitarie  Charlemagne ONLUS.

 
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