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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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12.11.2012

CGUE: Un permesso di soggiorno vincolato all'esercizio di una specifica mansione lavorativa non preclude allo status di lungosoggiornante

 
Sentenza della Corte di Giustizia riferita al permesso di soggiorno per 'motivi religiosi' nei Paesi Bassi (causa C-502/10).
 
Corte di Giustizia dell'Unione europea, sentenza dd. 18.10.2012 (causa C-502/10) (84.38 KB)
 

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza  dd. 18.10.2012 (causa C-502/10, Singh c. Paesi Bassi), si sofferma sull’interpretazione dell’art. 3 par. 2 lett. e) della direttiva n. 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.

Detta previsione concerne una della clausole di esclusione dal campo di applicazione ratione personae della direttiva, ovvero l’impossibilità di accesso allo status di lungo soggiornanti dei cittadini di Paesi terzi non membri UE che “soggiornano unicamente per motivi di carattere temporaneo, ad esempio in qualità di persone  alla “pari”, lavoratori stagionali, lavoratori distaccati da una società di servizi per la prestazione di servizi oltre frontiera o prestatori di servizi oltre frontiera o nei casi in cui il titolo di soggiorno  è stato formalmente limitato”.

La Corte di Giustizia europea è stata interpellata da un giudice amministrativo dei Paesi Bassi nel corso di una controversia tra l’autorità amministrativa olandese preposta al rilascio dei permessi di soggiorno ed un cittadino indiano in seguito al rigetto della domanda di quest’ultimo diretta ad ottenere un permesso di soggiorno come soggiornante di lungo periodo – CE, dopo avere soggiornato legalmente per più di cinque anni con un permesso di soggiorno temporaneo per attività lavorativa in qualità di guida spirituale o di insegnante di religione (permesso di soggiorno per motivi religiosi). Secondo la legislazione olandese, tale permesso di soggiorno è accompagnato da una limitazione collegata all’esercizio esclusivo dell’attività lavorativa di capo spirituale o insegnante di religione, e pur essendo  a tempo determinato, conferisce la possibilità di molteplici ed illimitati rinnovi o proroghe.

Il giudice olandese  ha deciso dunque di sottoporre alla Corte di giustizia europea la  questione pregiudiziale se la nozione di “permesso di soggiorno formalmente limitato” di cui all’art. 3 par. 2 lett. e), ostativa all’accesso allo status di lungo soggiornante, debba essere interpretata  nel senso di comprendervi anche un permesso di soggiorno a tempo determinato,  rilasciato ad un gruppo specifico di persone, la cui validità, in linea di principio, può essere prorogata illimitatamente, senza offrire tuttavia alcuna prospettiva di ottenimento di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato.

La Corte di Giustizia parte dalla considerazione che la fattispecie  ostativa all’accesso allo status di lungo soggiornante dei cittadini di Paesi terzi il cui permesso di soggiorno è “formalmente limitato” (ad es. per settore di attività professionale consentita allo straniero) è aggiuntiva e non necessariamente sovrapposta rispetto a quella degli stranieri che soggiornano unicamente per motivi di carattere temporaneo (parr. 30-37).

Trattandosi di una disposizione contenuta in uno strumento di diritto dell’Unione europea ove non si rimanda al diritto degli Stati membri, la nozione di “permesso di soggiorno formalmente limitato” deve essere interpretata a livello ‘europeo’, in modo da assicurare un trattamento uniforme nel territorio di tutti gli Stati membri. Di conseguenza,   la Corte di Giustizia europea  chiarisce che detta interpretazione deve tenere conto del contesto in cui la norma è contenuta e degli scopi perseguiti dalla normativa di  cui viene a far parte. Pertanto, così come  espressamente sancito dai considerando n. 4, 6 e 12 della direttiva n. 109/2003 e ricordato dalla sentenza CGUE 26 aprile 2012, Commissione c. Paesi Bassi (causa C-508/10), la Corte di Giustizia richiama il fatto  che l’obiettivo principale della direttiva n. 109/2003 è l’integrazione dei cittadini di Paesi terzi stabilitisi a titolo duraturo negli  Stati membri, nonché l’avvicinamento dello status dei cittadini di Paesi terzi a quello dei cittadini UE e che condizione principale che attesta il radicamento dei migranti nei Paesi di accoglienza è la durata legale ed ininterrotta del soggiorno per cinque anni. Ne deriva che   la clausola  di cui all’art. 3 par. 2 lett. e) non può avere come effetto di escludere tout court dall’accesso allo status di lungo soggiornanti, tutti quegli stranieri che siano titolari di un permesso di soggiorno ‘formalmente limitato’ ai sensi di una disposizione di diritto interno ad uno Stato membro, bensì deve essere interpretata restrittivamente, nel senso di escludere dal campo di applicazione della direttiva solo  i cittadini di Paesi terzi  regolarmente soggiornanti, i cui titoli di soggiorno “non riflettono a priori l’intenzione di tali persone di insediarsi stabilmente nel territorio degli Stati membri”  (par. 47).    Se è dunque pacifico che  i motivi di soggiorno ‘intrinsecamente’ di carattere temporaneo quali quelli richiamati nella prima fattispecie richiamata dall’art. 3 par. 2 lett. e) (lavoratori stagionali, alla pari, distaccati,…) non consentono al cittadino straniero di insediarsi stabilmente nello Stato membro, la circostanza che un permesso di soggiorno comporti una limitazione formale (ad es. per settore o mansione lavorativa consentita) non può consentire, da sola, di determinare se detto cittadino di Stato terzo sia suscettibile di insediarsi stabilmente nello Stato membro, nonostante l’esistenza di tale limitazione (par. 50). Dunque, se un permesso di soggiorno caratterizzato da una   limitazione formale non impedisce al cittadino di Paese terzo di insediarsi stabilmente, non può essere qualificato come permesso di soggiorno formalmente  limitato ai sensi dell’art. 3 par. 2 lett. e) della direttiva n. 2003/109 e dunque l’ esclusione dello straniero dall’accesso allo status di lungo soggiornante  costituirebbe in questo caso una violazione della direttiva  n. 109/2003, venendo  in contrasto con gli obiettivi e scopi della  medesima (par. 51). La Corte di Giustizia sottolinea, inoltre, che la circostanza che un permesso di soggiorno, sebbene caratterizzato da una limitazione formale (ad es. per mansione lavorativa o settore di attività), sia prorogabile per periodi successivi, eventualmente anche oltre un periodo di cinque anni e, in particolare, in modo illimitato, può costituire un indizio importante atto a concludere che la limitazione formale collegata a tale permesso di soggiorno non impedisca al cittadino di Paese terzo di insediarsi stabilmente nello Stato membro per cui detto permesso di soggiorno non potrà essere considerato ostativo  all’accesso allo status di lungo soggiornante (par. 54).

La Corte di Giustizia europea così conclude: “L’articolo 3, paragrafo 2, lettera e), della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, deve essere interpretato nel senso che la nozione di «permesso di soggiorno [che] è stato formalmente limitato» non comprende un permesso di soggiorno a tempo determinato, rilasciato ad un gruppo specifico di persone, la cui validità può essere prorogata illimitatamente, senza tuttavia offrire alcuna prospettiva di ottenimento di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, nei limiti in cui tale limitazione formale non impedisca al cittadino di un paese terzo di insediarsi stabilmente nello Stato membro di cui trattasi, il che dovrà essere verificato dal giudice del rinvio”.

La sentenza della Corte di Giustizia europea non appare suscettibile di avere un impatto significativo nella realtà italiana. Infatti, con la circolare telex dd. 24 maggio 2005, il Ministero dell’Interno ha precisato che è possibile il rilascio della carta di soggiorno, ora permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti, in favore dello straniero titolare di un permesso di soggiorno per motivi religiosi, purchè il richiedente sia in possesso dei requisiti previsti dall’art. 9 d.lgs. n. 286/98.

Tuttavia, non sono mancate in questi anni prassi da parte di alcuni Uffici immigrazione delle questure italiane, volte a negare l’accesso allo status di lungo soggiornanti dei titolari del permesso di soggiorno ‘infermieristico’ di cui all’art. 27 c. 1 lett. r bis del d.lgs. n. 286/98, che appaiono infondate ed illegittime alla luce  della sentenza della Corte di Giustizia europea dd. 18.10.2012.

In tal senso si segnala ad es. l’intervento della sez. reg. ASGI del FVG nei confronti del comportamento dell’ufficio immigrazione della Questura di Trieste che nega il rilascio del permesso di soggiorno per lungo soggiornanti di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 286/98, attuativo della direttiva europea n. 109/2003/CE, ai cittadini di Paesi terzi non membri dell’Unione europea che sono titolari del permesso di soggiorno per lavoro infermieristico ex art. 27 del T.U. immigrazione.

Sebbene il permesso di soggiorno per lavoro infermieristico ex. art. 27 c. 1 lett. r bis  d.lgs.  n. 286/98, ai sensi di quanto previsto dall’art. 40 c. 23 d.P.R. n. 394/99,  presuppone la limitazione  riferita all’esclusiva mansione lavorativa consentita,  non può essere considerato come un permesso di soggiorno ‘formalmente limitato’ ai sensi dell’art. 3 par. 2 lett. e) della direttiva n. 109/2003, ostativo all’accesso allo status di lungo soggiornante, perché la limitazione formale non impedisce all’infermiere extracomunitario che ne è  titolare di insediarsi ed integrarsi stabilmente in Italia. Questo  per le seguenti ragioni:

a) l’  ammissione in Italia dell’infermiere extracomunitario non avviene necessariamente  a titolo meramente  temporaneo in relazione ad  un impiego di natura  temporanea, visto che la stessa normativa gli dà facoltà di sottoscrivere contratti di impiego anche a tempo indeterminato (art. 40 c. 21 d.P.R. n. 394/99) ed  egli è assimilato agli altri lavoratori di Paesi terzi per quanto concerne la possibilità di beneficiare di un numero indeterminato di rinnovi del permesso di soggiorno (in tal senso anche nota del M.I. Dip. Libertà Civili e Imm. dd. sett. 2010), così come di un periodo di tolleranza dello stato di disoccupazione pari ad almeno  12 mesi o per la durata della prestazione di sostegno al reddito, qualora superiore, ai fini della conservazione del diritto al rinnovo o proroga del permesso di soggiorno (art. 40 c. 23 d.P.R. n. 394/99 che richiama all’art. 22 c. 11 del d.lgs. n. 286/98, così come modificato dall’art. 4 c. 30 della legge n. 92/2012);

b) il permesso di soggiorno per ‘lavoro infermieristico’, è assimilato agli altri permessi di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo per quanto concerne l’accesso al diritto all’unità familiare (ricongiungimento dei familiari) (art. 28 d.lgs n. 286/98), l’accesso ai diritti sociali e all’alloggio, ivi compresi gli alloggi di edilizia residenziale pubblica ovvero gli interventi di credito agevolato per l’acquisto della prima casa, in condizioni di parità di trattamento con i cittadini italiani (art. 40 c. 6 e art. 41 d.lgs. n. 286/98).

Alla luce di quanto sopra, appare evidente che l’Ufficio immigrazione della Questura di Trieste, negando tout court l’accesso dei titolari di permesso di soggiorno per lavoro infermieristico allo status di lungo soggiornante compie un’interpretazione della normativa interna italiana non conforme, bensì in violazione della direttiva europea n. 109/2003, in aperta violazione del principio del primato e immediata applicabilità delle norme di diritto europeo.

La consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale ha  riconosciuto l’immediata applicabilità delle disposizioni comunitarie anche in relazione alle “statuizioni risultanti (…) dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia” (C.Cost. 23.04.1985, n. 113), per cui deriva l’obbligo delle autorità amministrativa ovvero del giudice nazionale, in caso di contenzioso, di applicare il principio dell’interpretazione delle norme interne conformemente alle disposizioni del diritto dell’Unione europea, , così come risultanti dalle statuizioni interpretative della Corte di Giustizia europea ovvero, qualora un’interpretazione conforme non sia possibile, una disapplicazione delle norme interne incompatibili.

La sez. regionale dell’ASGI confida dunque che, alla luce della sentenza della Corte di Giustizia europea, verrà modificata la prassi illegittima seguita dall’Ufficio immigrazione della Questura di Trieste.

a cura di Walter Citti

 

 
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