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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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17.07.2012

In vigore dal 18 luglio la riforma del mercato del lavoro

 
Nuove disposizioni in materia di permesso di soggiorno per attesa occupazione.
 
 

Dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (Suppl. ordinario n. 136 alla G.U. n. 153 dd. 03.07.2012), entrano in vigore il 18 luglio le norme in materia di riforma del mercato del lavoro approvate dal Parlamento italiano con la legge 28 giugno 2012 n. 92.

La disposizione più rilevante, in materia di immigrazione, è quella che modifica l'art. 22, comma 11 del D. Lgs. 286/1998 riferita al permesso di soggiorno per motivi di “attesa di occupazione” nel modo seguente:

“La perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno al lavoratore extracomunitario ed i suoi familiari legalmente soggiornanti. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore. Decorso il termine di cui al secondo periodo, trovano applicazione i requisiti reddituali di cui all'articolo 29, comma 3, lettera b). Il regolamento di attuazione stabilisce le modalità di comunicazione ai centri per l'impiego, anche ai fini dell'iscrizione del lavoratore straniero nelle liste di collocamento con priorità rispetto a nuovi lavoratori extracomunitari”.

L’innovazione è apprezzabile in quanto riforma un aspetto della normativa sull’immigrazione che appariva in contrasto anche con gli standard  internazionali. Infatti, il periodo minimo di tolleranza del soggiorno dello straniero rimasto disoccupato, previsto dalla precedente formulazione dell’art. 22 c. 11 del d.lgs. n. 286/98 nella misura di residua validità del permesso di soggiorno ovvero della durata non inferiore ai   sei mesi, appariva in contrasto con il principio di parità di trattamento del lavoratore migrante con il lavoratore nazionale in materia di occupazione e politiche per l’impiego  e sicurezza sociale di cui alla Convenzione OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro n. 143/1975, art. 10). Questo, almeno nei casi in cui  il lavoratore straniero divenuto disoccupato avesse avuto accesso, per effetto delle disposizioni di legge,  ad un ammortizzatore sociale quale l’indennità  di mobilità, per una durata superiore ai sei mesi di tolleranza di soggiorno legale. In altri termini, il mancato rinnovo del permesso di soggiorno oltre i sei mesi avrebbe pregiudicato il diritto di usufruire in condizioni di parità di trattamento con i lavoratori nazionali dei benefici di sicurezza sociale e di reinserimento all’impiego previsti dalla legislazione nazionale (ad es. l’indennità di mobilità).

Per la verità, la normativa sull’immigrazione indicava un periodo minimo e non massimo di soggiorno, lasciando la possibilità agli uffici immigrazione delle questure di adottare  prassi più elastiche in casi particolari, in special modo qualora l’immigrato pur rimanendo  disoccupato per  un periodo superiore ai sei mesi , poteva vantare redditi  da fonte lecita derivanti da ammortizzatori sociali ovvero da familiari o persone con le quali l’interessato aveva una stabile relazione di vita.  Questo in linea anche con le valutazioni di una parte della giurisprudenza amministrativa (ad es. T.A.R. Milano Lombardia sez. IV sentenza 31 gennaio 2012 n. 342), rimasta peraltro minoritaria rispetto ad un filone giurisprudenziale prevalente e fatto proprio dal Consiglio di Stato per cui il termine di tolleranza di soggiorno di residua validità del permesso di soggiorno o comunque della durata di sei mesi doveva essere interpretato in maniera rigida ed automatica (Consiglio di Stato Sezione Sesta sentenza 20 marzo 2007).

La norma contenuta nella “Riforma Fornero” del mercato del lavoro contribuisce a porre chiarezza, rendendo la normativa pienamente compatibile con gli standard lavoristici internazionali della Convenzione O.I.L. n. 143/1975 e al conseguente principio di parità di trattamento tra lavoratori migranti e lavoratori nazionali in materia, tra l’altro,  di misure relative all’occupazione, alla sicurezza sociale e  al reinserimento lavorativo, non solo e non tanto in relazione all’estensione del periodo di tolleranza del soggiorno legale dello straniero disoccupato alla durata di almeno un anno anziché i sei mesi previsti in precedenza, quanto perché viene espressamente prevista la possibilità di  estensioni anche maggiori nei casi in cui il lavoratore migrante disoccupato acceda a  prestazioni sociali a sostegno del reddito o ammortizzatori sociali per una durata superiore.

Permane un margine di incertezza se la norma possa essere interpretata in maniera restrittiva, intendendosi per  "prestazioni di sostegno al reddito" solo quelle previste dalla legislazione in materia di sicurezza sociale  e costituenti dunque diritti soggettivi (si veda, in proposito, un elenco sul sito dell'INPS, alla pagina http://www.inps.it/portale/default.aspx?sID=%3B0%3B5673%3B&lastMenu=5673&iMenu=1&p4=2 ), ovvero,  possano  ricomprendervi, adottando un’interpretazione ampia caratterizzata da favor nei confronti dello straniero, anche quelle eventualmente erogate discrezionalmente dagli enti locali (per esempio, borse lavoro o altri sussidi erogati discrezionalmente dal Comune) o da enti bilaterali.

Fonte di maggiore preoccupazione ed incertezza interpretativa è, invece, quella parte della norma introdotta dalla “riforma Fornero” che subordinerebbe il rinnovo del permesso di soggiorno allo scadere del periodo di tolleranza di un anno ovvero della durata della prestazione di sostegno al reddito, al possesso di mezzi di sostentamento minimi secondo gli importi previsti ai fini del ricongiungimento familiare. Il reperimento di una nuova occupazione, dunque,   potrebbe non essere sufficiente per il rinnovo del permesso di soggiorno, qualora i mezzi di sostentamento da essa derivanti siano inferiori ai requisiti reddituali previsti ai fini del ricongiungimento familiare e commisurati all'importo dell'assegno sociale, aumentato di metà di tale importo per ciascuno dei familiari che (eventualmente) compongono il nucleo familiare (salve le attenuazioni previste per i figli di eta' inferiore a 14 anni).

Vale la pena ricordare, tuttavia, che la norma sembra avallare  la possibilità di considerare ai fini dell’integrazione del requisito reddittuale anche i redditi dei familiari di cui all’art. 29 del d.lgs. n. 286/98, recependo il menzionato orientamento giurisprudenziale  e che comunque, in presenza di un lavoratore migrante unito a familiari, ogni rigido automatismo fondato su una determinata soglia reddittuale  deve ritenersi escluso in quanto in contrasto con i dettami della direttiva europea n. 86/2003/CE che impone una valutazione individuale caso per caso che tenga conto della natura e effettività dei vincoli familiari e sociali dell’interessato, tanto nel Paese di origine quanto nel Paese ospite, della durata del suo permesso di soggiorno nel Paese ospite, in un’ottica di bilanciamento (a tale proposito si veda la sentenza della Corte di Giustizia europea dd. 4 marzo 2010 nel caso  Chakroun c. Paesi Bassi (C-578/08) (in: http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=855&l=it ).

Per ulteriori approfondimenti si rimanda a: "Interventi volti al contrasto del lavoro irregolare degli immigrati. Dal disegno di legge Fornero allo schema di decreto per il recepimento della direttiva UE 2009/52”. Luci e ombre nel provvedimento governativo in merito alla condizione del lavoratore straniero”, a cura dell’Avv. Giovanni Guarini, in http://www.meltingpot.org/articolo17855.html

 

 
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