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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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21.06.2012

I familiari ‘inattivi’ di lavoratori UE che esercitano il diritto alla libera circolazione hanno diritto alle prestazioni assistenziali anche nei primi tre mesi di soggiorno

 
Questione dinanzi al Tribunale di Treviso in merito all’assegno sociale.
 
Tribunale di Treviso, giudice del lavoro, sentenza dd. 13 dicembre 2011 (111.49 KB)
 

Il giudice del lavoro del Tribunale di Treviso, con sentenza del 13 dicembre 2011, ha riconosciuto il diritto a due cittadini bulgari ultrasessantacinquenni di percepire l’assegno sociale che era stato richiesto nel novembre del 2008, ma la cui erogazione era stata negata dall’INPS in quanto la domanda sarebbe stata presentata nei primi tre mesi di soggiorno in Italia.

Secondo l’INPS, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 24 c. 2 della direttiva n. 2004/38, secondo il quale lo Stato membro ospitante non è tenuto ad attribuire  il diritto a prestazioni di assistenza sociale durante i primi tre mesi di soggiorno ovvero durante il periodo più lungo previsto all’art. 14 par. 4 lett. b) della direttiva medesima prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente.

Il giudice del lavoro di Treviso ha respinto l’argomentazione dell’INPS sostenendo che la norma  intende riferirsi al periodo di tempo in cui i cittadini UE e loro familiari hanno il diritto di soggiornare nel territorio dello Stato ospitante senza alcuna condizione o formalità. Tuttavia, nei casi in cui, come il presente, il cittadino UE o il suo familiare possa,  anche nei primi tre mesi di soggiorno, entrare in possesso della qualifica di lavoratore o di suo familiare, venendo così autorizzato a soggiornare per più di tre mesi in base alle norme europee sulla libera circolazione e soggiorno, che nel caso italiano viene a tradursi con l’acquisizione della residenza anagrafica, allora il suo diritto alla parità di trattamento anche nell’ambito dell’assistenza sociale non può essere messo in discussione.

Nel caso in questione, infatti, la coppia di cittadini bulgari  era giunti in Italia e vi aveva conseguito la  residenza il 15.09.2008 in quanto ascendenti diretti a carico della figlia, cittadina bulgara in origine e successivamente naturalizzata italiana. Il riconoscimento dunque della coppia di anziani cittadini bulgari  a risiedere in Italia è derivato dunque dalla riunificazione familiare prevista dall'art. 2 comma 2 lett. d) della direttiva n. 2004/38 così come recepito dall'art. 2 comma 2 lettera d. del d.lgs n. 30/2007 ed integrato dalla clausola di estensione delle norme a favore dei familiari di cittadini italiani di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 30/2007.   

Si ritiene, pertanto, che  la deroga di cui all'art. 24 c. 2 della direttiva n. 2004/38, secondo la quale il diritto alla parità di trattamento in materia di assistenza sociale può non essere attribuito nei primi tre mesi di soggiorno, potrebbe essere fatto valere solo qualora venisse dimostrato che nel periodo considerato il titolare del diritto originario alla libera circolazione e soggiorno ovvero la figlia della coppia di anziani non aveva la qualifica di lavoratore UE, ma era economicamente inattiva.
Inoltre va ricordato il principio affermato nella sentenza della Corte di Giustizia europea nel caso Trojani, per cui il cittadino dell'Unione europea economicamente non attivo "non può non fruire, durante il suo soggiorno lecito nello Stato membro ospitante, del principio fondamentale relativo alla parità di trattamento quale sancito dall'art. 12 del TCE (ora art. 18 TFUE) (Corte di Giustizia europea, causa C-456/02, sentenza 7 settembre 2004). Visto che il soggiorno della coppia di anziani cittadini bulgari era  stato già ufficialmente riconosciuto dalle autorità italiane ai sensi dell'art. 7 comma 1 lett d) e dell'art. 9 del d.lgs. n. 30/2007 a partire dal 15 settembre 2008, data in cui sono stati iscritti nei registri della popolazione residente in Italia,  alla data di presentazione dell'istanza di assegno sociale, ovvero al 5 novembre 2008, essi potevano dirsi pienamente titolari del diritto alla parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani per l'accesso alla prestazione assistenziale.

L’INPS ha proposto ricorso alla Corte di Appello di Venezia contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Treviso.

Poiché l’istanza di assegno sociale era stata presentata prima del 01 gennaio 2009, non hanno trovato applicazione le norme introdotte con il D.L. n. 112/2008 (Decreto “Tremonti”), che hanno previsto un requisito aggiuntivo di anzianità di residenza decennale in Italia ai fini dell’accesso all’assegno sociale. Secondo l’ASGI tale requisito costituisce una forma di discriminazione indiretta o dissimulata a danno degli anziani indigenti stranieri, incompatibile con le norme UE, almeno con riferimento a quelle categorie di cittadini stranieri protetti dal diritto UE (comunitari e loro familiari, lungo soggiornanti, rifugiati e titolari della protezione sussidiaria). Si veda ad esempio al link: http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=1828&l=it

a cura del servizio di supporto giuridico anti-discriminazioni etnico-razziali e religiose dell'ASGI. Progetto con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

 

 
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