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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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19.06.2012

Incompatibile con il diritto UE la normativa olandese che assoggetta il finanziamento degli studi all’estero al requisito dell'anzianità di residenza

 
Corte di Giustizia UE, sentenza del 14 giugno 2012 n. C-542/09
 
Corte di Giustizia dell'Unione europea, sentenza dd. 14 giugno 2012 (causa C-542/09) (97.12 KB)
 
La Commissione europea ha chiesto alla Corte di Giustizia di constatare che il Regno dei Paesi Bassi, imponendo una condizione di anzianità di residenza in materia di accesso ai finanziamenti per gli studi superiori all'estero, non ha adempiuto gli obblighi incombenti in forza dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 7, paragrafo 2, del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità e al principio di parità di trattamento in materia di benefici sociali (G.U. L 257, pag. 2), come modificato dal regolamento (CEE) n. 2434/92 del Consiglio, del 27 luglio 1992 (GU L 245, pag. 1).
La legge olandese prevede che per gli studi di istruzione superiore compiuti nei Paesi Bassi, il finanziamento può essere concesso a qualsiasi studente tra i 18 e i 29 anni, che abbia la nazionalità olandese o di qualsiasi altro Stato membro dell’Unione europea. Per gli studi di istruzione superiore all'estero, lo studente deve disporre dei requisiti per ottenere il finanziamento per gli studi di istruzione superiore nei Paesi Bassi e deve anche avere legalmente soggiornato nei Paesi Bassi per almeno tre anni nel corso dei sei anni precedenti la sua iscrizione in un istituto di istruzione straniero. Tale requisito detto dei “3 anni su 6” si applica qualunque sia la nazionalità dello studente.

La Commissione ha proposto un ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia europea contro i Paesi Bassi, affermando che il requisito dei “3 anni su 6” costituisce una discriminazione indiretta a danno dei lavoratori migranti e dei loro familiari, vietata dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e in contrasto con la normativa europea relativa alla libera circolazione dei lavoratori.

La Corte ha constatato  che la normativa UE in materia di libera circolazione dei lavoratori implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, basata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, con riferimento all’impiego, alla retribuzione e alle condizioni di lavoro, inclusi i benefici e le prestazioni sociali. Ne deriva che il lavoratore cittadino di uno Stato membro deve beneficiare nel territorio degli altri Stati membri degli stessi vantaggi sociali e fiscali dei lavoratori nazionali,  e lo stesso trattamento deve valere  per  i lavoratori frontalieri, i quali, pur esercitando la loro attività di lavoro subordinato in quest'ultimo Stato, risiedono in un altro Stato membro.

Il finanziamento degli studi concesso da uno Stato membro ai figli dei lavoratori costituisce per il lavoratore migrante un vantaggio sociale ai sensi del regolamento, qualora egli continui a provvedere al mantenimento del figlio.

Al riguardo, la Corte ha sottolineato che il principio della parità di trattamento vieta non soltanto le discriminazioni palesi, basate sulla nazionalità, ma anche qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, facendo applicazione di altri criteri di distinzione, pervenga di fatto allo stesso risultato. Ciò accade, segnatamente, nel caso di una misura che richieda una durata di residenza ben precisa, in quanto essa rischia di operare principalmente a danno dei lavoratori migranti e dei lavoratori frontalieri cittadini di altri Stati membri, in quanto i non residenti, nella maggior parte dei casi, sono stranieri.

La Corte ha considerato, pertanto, che il requisito di residenza dei “3 anni su 6” crea una disparità di trattamento tra i lavoratori olandesi e i lavoratori migranti residenti nei Paesi Bassi oppure che ivi effettuano un'attività di lavoro subordinato in quanto lavoratori frontalieri. Siffatta disparità di trattamento costituisce una discriminazione indiretta vietata a meno che non sia obiettivamente giustificata.
Secondo la Corte di Giustizia europea, considerazioni di bilancio e di contenimento della spesa pubblica non possono essere considerate quali ragioni imperative di interesse generale idonee a giustificare la disparità di trattamento in quanto se così fosse,  il principio di non-discriminazione verrebbe a perdere la sua caratteristica di diritto fondamentale e verrebbe rimesso alla discrezionalità delle politiche pubbliche degli Stati membri a seconda delle loro finanze pubbliche.
Inoltre, la Corte di Giustizia europea ha concluso che i Paesi Bassi avevano l'onere di dimostrare che la deroga "indiretta" al principio di parità di trattamento era idonea a garantire l'obiettivo dichiarato di favorire la mobilità europea degli studenti, evitando che a beneficiare delle prestazioni siano studenti di altri Stati membri che intendessero soggiornare nei Paesi Bassi al solo e prevalente scopo di avvalersi delle disposizioni europee per acquisire i finanziamenti per studiare nei rispettivi Paesi di origine. La Corte di Giustizia, pur riconoscendo la legittimità dell'obiettivo dichiarato di favorire la mobilità degli studenti, ha ritenuto  sproporzionata e non strettamente necessaria la misura adottata dalle autorità olandesi, che presenta pertanto un carattere eccessivamente esclusivo.

Il testo completo nel Comunicato stampa Corte di Giustizia UE

Le conclusioni dell'Avvocato generale


 
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