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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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06.03.2012

Presunzione di discriminazione ed onere probatorio nelle controversie relative al reclutamento del personale

 
Conclusioni dell’Avv.gen. in una causa dinanzi alla CGE sul principio di bilanciamento dell’onere probatorio di cui alle dir. n. 2000/43 e 2000/78.
 
Conclusioni dell'Avvocato generale della Corte di Giustizia europea (caso Meister, dd. 12.01.2012, causa C-415/10) (68.18 KB)
 

E’ pervenuta dinanzi alla Corte di Giustizia europea una prima controversia relativa all’interpretazione del principio del bilanciamento dell’onere della prova  nei procedimenti giudiziari anti-discriminazione per motivi fra l’altro, di razza o origine etnica (2000/43), età (2000/78)  e sesso (2006/54). Come e noto tali direttive prevedono l’obbligo per gli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari affinchè nei procedimenti giudiziari e amministrativi che trattano di asserite violazioni del principio di parità di trattamento, sia la parte convenuta a dover provare l’insussistenza della discriminazione qualora il ricorrente abbia prodotto elementi di fatto in base ai quali si possa presumere che vi sia stata discriminazione diretta o indiretta.

La controversia dinanzi alla Corte di Giustizia europea nasce da un rinvio pregiudiziale operato da un giudice tedesco nel caso di una signora di origine russa, la quale  aveva risposto ad un annuncio per una posizione lavorativa disponendo delle qualifiche richieste, ma non era stata convocata dal datore di lavoro per un colloquio, nemmeno dopo che il medesimo datore di lavoro aveva reiterato l’annuncio dopo aver proceduto apparentemente ad una prima selezione di candidati rimasta infruttuosa.

La ricorrente di origine russa aveva dunque fatto ricorso all’autorità giudiziaria sostenendo che i fatti dedotti lasciavano concludere con un sufficiente grado di probabilità che la decisione del datore di lavoro di non prendere in considerazione la sua candidatura era determinata da un motivo discriminatorio legato o alle sue origine etnico-razziali, o alla sua età o al suo sesso. Conseguentemente, secondo la ricorrente, il principio del bilanciamento dell’onere probatorio previsto dalle direttive europee avrebbe dovuto comportare l’onere per il datore di lavoro di rivelare l’identità della persona assunta e le ragioni e i criteri che  hanno determinato tale scelta.

Il giudice del lavoro tedesco ha rinviato alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale se il principio del bilanciamento dell’onere della prova debba essere interpretato nel senso di riconoscere ad un lavoratore in possesso in astratto dei requisiti di qualificazione richiesti per l’accesso ad un posto di lavoro offerto da un datore di lavoro, un diritto ad essere informato dal datore di lavoro dell’assunzione di un altro candidato e delle ragioni e dei criteri sulla base dei quali sia avvenuta l’assunzione. Conseguentemente, il giudice del lavoro tedesco chiede alla CGUE di chiarire se la circostanza che un datore di lavoro non comunichi tali informazioni richieste possa far presumere la sussistenza di una discriminazione per uno dei motivi vietati dalle direttive europee, facendo dunque scattare il meccanismo di parziale inversione dell’onere probatorio nei procedimenti giudiziari anti-discriminazione.

Nel procedimento avviatosi, dunque, dinanzi alla Corte di Giustizia europea (C- 415/10),  l’Avvocato generale della Corte di Giustizia europea ha reso lo scorso 12 gennaio le sue conclusioni, che costituiscono come noto soltanto un parere non vincolante, ovvero che i giudici della Corte di Lussemburgo potranno  accogliere o meno nella  loro  valutazione conclusiva del caso.

Rifacendosi ad un precedente di giurisprudenza recentemente maturato con riferimento alle discriminazioni di genere (la sentenza della Corte di Giustizia europea nel caso Kelly, dd. 21 luglio 2011, causa C-104/10), l’avvocato generale Mengozzi ha affermato che il principio del bilanciamento dell’onere della prova non può fondare un obbligo per il datore di lavoro di rivelare  l’identità e  i criteri in base ai quali sia stato assunto un candidato ad un posto di lavoro rispetto agli altri,  anche quando quest’ultimi possano dimostrare in maniera plausibile di poter soddisfare i requisiti richiesti. Questo anche in ragione dei diritti alla riservatezza dei terzi eventualmente menzionati nei documenti e nelle informazioni richieste.

Tuttavia, secondo l’Avvocato generale della Corte di Giustizia, l’assenza di un dovere di risposta da parte del datore di lavoro non può significare l’assoluta carenza di impatto  del principio di bilanciamento dell’onere probatorio quale strumento volto a garantire l’effettività della tutela anti-discriminatoria anche con riferimento alle procedure di selezione e reclutamento del personale, perché se così fosse, verrebbe compromessa la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalle direttive europee. In altri termini, dunque,  l’assenza di una  risposta del datore di lavoro, cui egli di  per sé non potrebbe ritenersi obbligato,  deve essere collocata nel più ampio contesto fattuale in cui si inserisce. Dunque non  potrebbe essere escluso che l’assenza di risposta, unitamente ad altre circostanze fattuali quali il fatto che il datore di lavoro non abbia voluto  convocare per un colloquio la candidata di origine etniche “alloctone” pur riconoscendo che il suo CV corrispondeva al livello di qualifica richiesto e nonostante una prima selezione di candidati non avesse portato ad alcuna assunzione, con ciò determinando una seconda selezione alla quale la candidata non veniva ugualmente convocata per un colloquio, possa costituire una presunzione di discriminazione tale da far scattare il principio dell’inversione dell’onere probatorio. Tali circostanze ed il loro peso nella valutazione complessiva dovrebbero dunque essere valutate dal giudice del rinvio.

Vedremo dunque nei prossimi mesi quali saranno le valutazioni della Corte di Giustizia europea al riguardo.

A cura di Walter Citti, consulente del servizio anti-discriminazioni dell’ASGI.

 
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