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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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25.07.2011

Corte Costituzionale: La norma del “pacchetto sicurezza” che condiziona la capacità matrimoniale dello straniero alla regolarità del suo soggiorno in Italia è incostituzionale perché viola un diritto fondamentale della persona

 
Sentenza della Corte Costituzionale n. 245 dd. 25 luglio 2011
 
Corte Costituzionale, sentenza n. 245 dd. 25.07.2011 (73.75 KB)
 

Giudicando su un rinvio promosso dal Tribunale di Catania, con la sentenza n. 245 dd. 25 luglio 2011, la Corte Costituzionale ha dichiarato  l'illegittimità costituzionale dell'articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall'art. 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), che ha posto quale condizione per l'effettuazione delle pubblicazioni di matrimonio da parte dell'ufficiale di stato civile nei casi in cui uno o entrambi i nubendi siano cittadini stranieri, l'esibizione da parte di questi della documentazione attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano.

Secondo la Corte Costituzionale, infatti, il diritto a contrarre matrimonio costituisce un diritto umano fondamentale discendente dagli articoli 2 e 29 della Costituzione, ed espressamente enunciato nell'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 e nell'articolo 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Come tale, tale diritto spetta «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»,  con la conseguente che la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi».

  La Corte Costituzionale ha considerato come legittima la finalità del legislatore di ostacolare i "matrimoni di comodo" quale parte di una politica volta ad accentuare i controlli sui flussi migratori, ma ha ritenuto che la misura approvata dal Parlamento, è sproporzionata  per l'entità del sacrificio imposto  alla libertà di contrarre matrimonio non solo degli stranieri ma, in definitiva, anche dei cittadini italiani che intendano coniugarsi con i primi, imponendo una contrazione alla libertà matrimoniale anche nei confronti di coloro che intendano contrarre matrimonio in assoluta "buona fede".

Il giudice delle leggi pertanto conclude che  la previsione di una generale preclusione alla celebrazione delle nozze, allorché uno dei nubendi risulti uno straniero non regolarmente presente nel territorio dello Stato, "rappresenta uno strumento non idoneo ad assicurare un ragionevole e proporzionato bilanciamento dei diversi interessi coinvolti nella presente ipotesi, specie ove si consideri che il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) già disciplina alcuni istituti volti a contrastare i cosiddetti "matrimoni di comodo", quale la revoca del permesso di soggiorno nei casi in cui al matrimonio non  segua l'effettiva convivenza (l'art. 30, comma 1-bis, del citato d.lgs. n. 286 del 1998), salvo che dal matrimonio non sia nata prole.

Ugualmente, secondo la Corte costituzionale,  la normativa introdotta dal "pacchetto sicurezza" ha determinato una  violazione dell'art. 117, primo comma, Cost., in quanto ha violato i vincoli derivanti dalla nostra adesione e ratifica della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali.

Il giudice delle leggi non ha potuto non prendere atto  che di recente  la Corte europea dei diritti dell'uomo è  intervenuta sulla normativa del Regno Unito in tema di capacità matrimoniale degli stranieri (sentenza 14 dicembre 2010, O'Donoghue and Others v. The United Kingdom) (testo della sentenza CEDU e commento alla pagina web: http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=1375&l=it ) . In particolare, la Corte europea ha affermato che il margine di apprezzamento riservato agli Stati non può estendersi fino al punto di introdurre una limitazione generale, automatica e indiscriminata, ad un diritto fondamentale garantito dalla Convenzione (par. 89 della sentenza). Secondo i giudici di Strasburgo, pertanto, la previsione di un divieto generale, senza che sia prevista alcuna indagine riguardo alla genuinità del matrimonio, è lesiva del diritto di cui all'art. 12 della Convenzione. E' del  tutto evidente, pertanto, che la disposizione introdotta dalla legge n. 94/2009 si collocava pure in aperta violazione della Convenzione europea sui diritti dell'Uomo, secondo gli standard interpretativi dell'art. 12 definiti dalla Corte di Strasburgo con la sentenza O' Donoghue.

L'ASGI esprime soddisfazione per la sentenza della Corte Costituzionale italiana, che sopprime un' odiosa ed illiberale discriminazione a danno di valori fondamentali di civiltà e di convivenza.


A cura del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

 
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