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30.03.2011

Corte di Giustizia europea: A partire dal 21 dicembre 2012, le compagnie assicurative non potranno più tenere conto del fattore di “genere” nella valutazione dei rischi collegati al calcolo dei premi assicurativi

 
Incompatibile la deroga con i principi di uguaglianza e non discriminazione affermati nella Carta europea dei diritti fondamentali. La sentenza CGE rende ancor più manifesta l’illegittimità di tariffe differenziate su base di nazionalità praticate da alcune compagnie assicurative nelle polizze RCA.
 
Corte di Giustizia UE, sentenza causa C-236/09 dd. 01.03.2011 (80.92 KB)
 

Con la sentenza del 1 marzo 2011 (Associazione belga dei consumatori ASBL c. Belgio, causa  C- 236/09), la Corte di Giustizia dell'Unione europea  ha stabilito che a partire dal 21 dicembre 2012, l'art. 5 c. 2 della direttiva europea n. 2004/113/CE del 13 dicembre 2004 sull'uguaglianza di trattamento tra uomini e donne in materia di accesso ai beni e servizi non potrà più trovare applicazione. L'art. 5 c. 2 della direttiva 2004/113 ha riconosciuto la possibilità che nel calcolo di premi e prestazioni assicurative si tenga conto del sesso, ove tale fattore sia determinate nella valutazione dei rischi, in base a pertinenti e accurati dati attuariali e statistici. La disposizione, volta a prevedere una deroga dal principio  generale di parità di trattamento tra uomo e donna nell'accesso ai beni e servizi offerti al pubblico, era motivata dal fatto che  quando la direttiva venne adottata, l'uso da parte delle compagnie assicurative  di fattori attuariali correlati al sesso era ancora largamente diffuso in molti Stati membri.  Consapevole del fatto che la norma veniva a derogare ad un principio fondamentale dell'Unione europea, quello dell'uguaglianza tra uomo e donna, il legislatore comunitario aveva comunque previsto che gli Stati membri  avrebbero comunque potuto esercitare l'opzione di mantenere in vigore nelle proprie legislazione nazionali la norma derogatoria solo in via temporanea poiché la norma derogatoria sarebbe stato soggetta a revisione e scrutinio entro il 21 dicembre 2012, sulla base di un rapporto stilato dalla Commissione europea.

L'Italia si è avvalsa di tale opzione, come indicato dal nuovo art. 55 quarter del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 recante il Codice delle pari opportunita' tra uomo e donna, norma introdotta dal d.lgs. n. 196/2007.

L'associazione belga dei consumatori aveva dunque promosso un ricorso sostenendo la tesi dell'incompatibilità  di tale norma della direttiva  n. 113/2004 con il divieto di discriminazioni fondate sul sesso quale diritto fondamentale sancito dalla Carta europea dei diritti fondamentali e dal sistema europeo dei diritti umani, e dunque principio generale del diritto dell'Unione europea per effetto del nuovo art. 6 del Trattato UE. Questo in quanto l'interpretazione letterale della  direttiva non consentiva di poter affermare  con certezza che la norma derogatoria avrebbe necessariamente cessato di produrre i suoi effetti  dopo il 21 dicembre 2012.  La Corte costituzionale belga dunque aveva sospeso il giudizio ponendo la questione pregiudiziale dinanzi alla  Corte di Giustizia europea.

Nella sentenza, la Corte di Giustizia europea affronta la questione della possibile incompatibilità della norma della direttiva  con i principi fondamentali dell'Unione europea all'uguaglianza tra uomo e donna e alla non discriminazione di cui agli articoli 21 e 23 della Carta europea dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che ha assunto con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona lo stesso valore giuridico dei trattati, divenendo norma primaria del diritto europeo. Ugualmente, la sentenza della Corte di Giustizia prende le mosse dall'art. 3 (3) del Trattato UE che assegna all'Unione europea il compito di combattere l'esclusione sociale e la discriminazione, di promuovere l'uguaglianza tra uomini e donne; obiettivi ribaditi anche dall'art. 8 del TFUE. Di conseguenza, la Corte di Giustizia ritiene che il legislatore comunitario può prevedere legittimamente delle deroghe a tali principi solo in circostanze particolari e obiettive , quali quelle che sussistevano al momento dell'adozione  della direttiva n. 2004/113, quando l'uso di fattori attuariali correlati al sesso era largamente diffuso nei contratti assicurativi degli Stati membri, ma tali deroghe necessariamente devono avere carattere provvisorio e temporaneo, solo al fine di consentire un graduale adeguamento del sistema socio-economico ai principi fondamentali dell'Unione.  Ne consegue la constatazione da parte della Corte di Lussemburgo che la norma contenuta nella direttiva n. 2004/113 sarebbe  incompatibile con i principi fondamentali dell'UE qualora fosse interpretata come    indicante soltanto la possibilità e non la certezza della cancellazione dell'opzione derogatoria al principio di parità di trattamento trascorsi i primi cinque anni,  con la conseguente possibilità, almeno a livello teorico, che questa deroga si perpetuasse indefinitamente. Secondo la Corte di Giustizia europea, pertanto, l'unica maniera per rendere compatibile la norma della direttiva con i principi fondamentali dell'Unione europea è quella di interpretarla nel senso che l'art. 5 comma 2 della direttiva n. 2004/113 viene a cessare i propri effetti a partire dal 21 dicembre 2012, non potendosi consentire oltre quella data che fattori attuariali legati al sesso possano influire sui contratti e prestazioni assicurative.

E' evidente come la sentenza della Corte di Giustizia europea, richiamandosi ai principi generali e fondamentali di uguaglianza e di non discriminazione,  può esplicare i suoi effetti in Italia anche al di là di quanto correlato alle discriminazioni di genere, in un contesto ove alcune compagnie assicurative continuano ad applicare fattori attuariali legati alla nazionalità nella definizione tariffaria dei contratti assicurativi nel settore RCA Auto. Diverse volte ad esempio è stato denunciato il fatto che alcune compagnie assicurative applicano tariffe differenziate e più elevate per i cittadini romeni (ma non solo) residenti in Italia per la sottoscrizione delle polizze assicurative RCA auto, rispetto alle tariffe applicate ai cittadini italiani, sostenendo che i primi avrebbero  una propensione maggiore al danno da incidente automobilistico riconducibile in misura determinante alla loro stessa nazionalità. E' del tutto evidente l'inconciliabilità di tale prassi con i principi fondamentali di uguaglianza e di divieto di discriminazioni fondate sulla nazionalità tra i cittadini di Paesi membri dell'Unione europea di cui ad es. all'art. 18 TFUE oltrechè alle già richiamate disposizioni di cui alla Carta europea dei diritti fondamentali. Ugualmente le norme di diritto europeo derivato relativo al divieto di discriminazioni su base etnico-razziale  (direttiva 2000/43 così come recepita in Italia con il  d.lgs n.215/03) si applicano, infatti,  sostanzialmente a tutti i campi della vita sociale  inclusi i rapporti contrattuali interprivati ("diritti in materia civile" ; "accesso a beni e servizio offerti al pubblico")  senza prevedere alcuna deroga o eccezione, come chiarito anche dalla relazione della Commissione europea del 30 ottobre 2006 sull'attuazione della direttiva [COM (2006 ) 643 definitivo, pag. 3].

La discriminazione  operata nei confronti di alcune categorie di cittadini dell'Unione europea nei contratti assicurativi di responsabilità civile RCA Auto da parte di alcune compagnie è dunque chiaramente illegittima e contraria al diritto europeo e la recente sentenza della Corte di Giustizia, sebbene riferita specificatamente alle discriminazioni di genere, contribuisce in maniera decisiva ad affermarlo in quanto essa radica  il proprio giudizio proprio sul riferimento ai principi fondamentali dell'Unione europea.


A cura del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS.

 
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