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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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11.03.2011

Stranieri e accesso al pubblico impiego: due pronunce favorevoli rispettivamente del Tribunale di Lodi e di Bologna

 
Ordinanza del Tribunale di Lodi riguardo alla stabilizzazione dei contratti per gli infermieri e sentenza del giudice di Bologna riguardo al concorso per i profili professionali negli sportelli unici immigrazione.
 
Tribunale di Lodi, ordinanza dd. 18.02.2011 ( n. 317/11; N.R.G. 921/2010) (384.48 KB)
Tribunale di Bologna, sentenza n. 528/2010 dd. 08.03.2011 (445.79 KB)
 

Il collegio giudicante del Tribunale di Lodi (ordinanza n. 921/10 depositata in data 18 febbraio 2011) ha accolto il reclamo presentato da  un' infermiera professionale di nazionalità nigeriana avverso l'ordinanza del giudice di prime cure che aveva respinto il ricorso contro la clausola di cittadinanza italiana o comunitaria prevista da una procedura di stabilizzazione del personale infermieristico già assunto a tempo determinato dall'Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi.

Il giudice di Lodi aveva respinto il ricorso dell'infermiera nigeriana, titolare di carta di soggiorno,  sostenendo che il diritto anti-discriminatorio di cui all'art. 43 del T.U. immigrazione e al d.lgs. n. 215 /2003 di recepimento della direttiva europea n. 2000/43 può trovare applicazione soltanto con riferimento alle discriminazioni su base etnico-razziale, ma non su quelle fondate sulla cittadinanza, come nel caso in questione.

Il collegio giudicante del tribunale di Lodi ha affermato l'erroneità del ragionamento seguito dal giudice di prime cure, sostenendo che inequivocabilmente l'art. 43 del T.U. immigrazione include il divieto di discriminazioni, dirette o indirette, fondate sul criterio di cittadinanza, a prescindere dall'elemento soggettivo di colui che pone in essere la condotta oggettivamente discriminatoria.

Riguardo alla questione dell'accesso degli stranieri al pubblico impiego in Italia, il collegio giudicante del Tribunale di Lodi, ha affermato che la situazione soggettiva della ricorrente doveva godere di particolare protezione in quanto titolare di carta di soggiorno ai sensi della normativa di recepimento della direttiva comunitaria n. 109/2003, la quale  prevede espressamente una clausola di parità di trattamento nell'accesso alle attività lavorative subordinate o autonome, purchè non implichino, nemmeno in via occasionale la partecipazione all'esercizio di pubblici poteri (art. 11 comma 1). Sebbene la medesima direttiva preveda la possibilità per gli Stati membri di fissare delle limitazioni all' accesso al lavoro subordinato o autonomo nei casi in cui la legislazione nazionale o comunitaria riservi delle attività ai cittadini del loro Stato o della UE (art. 11 c. 3), secondo il collegio giudicante del tribunale di Lodi le modalità del concreto recepimento di tale clausola devono essere interpretate conformemente ai principi della Convenzione OIL n. 143/75 per cui tali restrizioni possono ritenersi legittime solo quando siano necessarie nell'interesse dello Stato (art. 14 convenzione OIL n. 143/75). Avendo dunque in considerazione che il personale infermieristico svolge mansioni di natura strettamente tecnica e materiale, quali quelle individuate  dal R.D. 02.05.1940 n. 1310 così come modificato dal D.P.R. 14.03.74, n. 225, non può ritenersi suscettibile di rispondere ad un interesse nazionale dello Stato una limitazione che riservi l'accesso a tali  rapporti di pubblico impiego ai soli cittadini nazionali e comunitari.

Pertanto il collegio giudicante del tribunale di Lodi ha accertato la natura discriminatoria del comportamento dell'Azienda Ospedaliera della Provincia di Lodi e ha ordinato la medesima ad ammettere l'infermiera di nazionalità nigeriana alle procedure di stabilizzazione. Il tribunale di Lodi ha però respinto la richiesta dell'interessata al risarcimento del danno patrimoniale sofferto per l'avvenuta interruzione del rapporto di lavoro.



Con sentenza del giudice del Tribunale di Bologna n. 528/10 depositata l'8 marzo 2011,  è stato accolto il ricorso promosso da una cittadina romena e da una cittadina serba avverso il diniego opposto dal Ministero dell'Interno al loro inserimento nella graduatoria a seguito di  una procedura concorsuale, per titoli ed esami, per l'assunzione di 650 unità di personale, con contratto a tempo determinato, per i profili di  coadiutore amministrativo e contabile per gli sportelli unici immigrazione in quanto tali posizioni erano state riservate unicamente ai cittadini italiani.

Il giudice del lavoro aveva inizialmente accolto il ricorso ex art. 44 del T.U. imm.dichiarando  l'esclusione delle ricorrenti atto discriminatorio. A seguito del reclamo proposto dall'amministrazione dell'Interno, il collegio giudicante del tribunale di Bologna aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, ma nel frattempo il giudice del lavoro aveva iniziato già la procedura di merito secondo quanto sancito dalla Cassazione con la nota sentenza n. 6172/2008 per cui l'azione anti-discriminazione costituisce un procedimento cautelare le cui decisioni non acquistano mai efficacia di giudicato e possono essere modificate dal giudice nella procedura di merito.

Riguardo al merito del ricorso, il giudice di Bologna afferma nella sentenza che sulla base di quanto previsto dal diritto comunitario e, specificatamente, dall'art. 39 del TCE, così come interpretato dalla Corte di Giustizia europea, i posti di lavoro della Pubblica Amministrazione possono essere messi a disposizione esclusivamente dei cittadini dello Stato solo ove gli stessi comportino un esercizio del potere di imperio con funzioni caratterizzate da definitività, continuità e abitualità. Nel caso in esame , trattandosi  di contratti a tempo determinato,  l'Amministrazione non poteva certo avvalersi della deroga prevista dalla normativa europea.

Riguardo all'esclusione della cittadina romena, il giudice ha riconosciuto la violazione del principio di parità di trattamento tra cittadini comunitari e loro familiari da un lato e i cittadini nazionali dall'altro,  nell'esercizio di attività di lavoro subordinato o autonomo, escluse quelle che attengono all'interesse nazionale ovvero che implichino l'esercizio di pubblici poteri; principio di parità di trattamento sancito dall'art. 19 del d.lgs n. 30/2007 di recepimento della direttiva comunitaria n. 2004/38. Riguardo alla cittadina serba, il giudice di Bologna ha riconosciuto ugualmente la violazione del principio di parità di trattamento  nell'accesso all'occupazione di cui agli obblighi internazionali  assunti dall'Italia con la ratifica della Convenzione OIL n. 143/75.

Il giudice di Bologna, nel constatare dunque l'illegittimità dell'esclusione delle due cittadine straniere dalla graduatoria definitiva dopo che esse avevano partecipato alle fase precedenti della procedura concorsuale e rilevando sulla base degli atti processuali che le medesime sarebbero state assunte qualora non fossero state escluse per mancanza della condizione di cittadinanza, ha dunque ordinato il risarcimento del danno patrimoniale subito dalle ricorrenti, pari all'ammontare delle retribuzioni che sarebbero loro spettate dalla data prevista di inizio dell'attività lavorativa fino a quelle in cui alle stesse il Ministero dell'Interno ha offerto un'analoga occupazione. Il giudice ha invece respinto la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale e ha condannato il Ministero dell'Interno al pagamento delle spese legali per il 50%.


Si ringrazia per la segnalazione l'avv. Nazarena Zorzella, del Foro di Bologna.



A cura di Walter Citti del servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno finanziario della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS

 
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