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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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10.03.2011

Corte di Giustizia UE : Il Paese membro UE non può negare il permesso di soggiorno e di lavoro al cittadino extracomunitario che si faccia carico dei propri figli in tenera età, cittadini dell’Unione europea

 
Il diritto al permesso di soggiorno e di lavoro quale espressione del principio di effettività della cittadinanza europea (sentenza CGUE, causa Zambrano c. Belgio, C-34/09, 8.3.2011).
 
Corte di Giustizia UE, sentenza causa C-34/09 dd. 08.03.2011 (91.75 KB)
 

Con una sentenza pronunciata l'8 marzo 2011 (causa  C- 34/09), la  Corte di Giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che dall'art. 20 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea in materia di cittadinanza europea deve discendere il diritto del cittadino extracomunitario genitore di figli, cittadini dell'UE,  in tenera età e di cui si fa carico,   al rilascio del permesso di soggiorno e di lavoro da parte delle autorità del Paese membro ove egli risiede con i figli medesimi. Secondo l Corte, infatti,  la negazione del diritto di soggiorno e di lavoro priverebbe  detti figli del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi alla cittadinanza dell'Unione, costringendo di fatto i medesimi a lasciare il territorio dell'Unione europea.


Las sentenza della Corte di Giustizia ha origine in un ricorso presentato da una coppia di richiedenti asilo colombiani.  Il cittadino colombiano si era visto negare  l'erogazione dell'indennità di disoccupazione da parte delle autorità belghe in quanto queste ultime  non avevano riconosciuto la legittimità dell'attività lavorativa svolta dall'interessato, sulla base della normativa sul soggiorno ed il lavoro dei cittadini stranieri.  Questo nonostante  nel corso del loro soggiorno fossero nati due loro figli, i quali entrambi avevano acquisito la cittadinanza belga in virtù di una norma della legislazione belga sulla cittadinanza che prevede l'attribuzione della cittadinanza jus soli ai bambini nati in Belgio da genitori stranieri qualora non venga attribuita alla nascita  la cittadinanza di almeno uno dei genitori anche in ragione della sola mancanza di un'espressa iniziativa dei genitori finalizzata al riconoscimento della cittadinanza straniera.


La Corte di Lussemburgo ha preso le mosse innanzitutto dalla constatazione che alla fattispecie in esame non poteva trovare applicazione la direttiva n. 2004/38 in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari sia perché i figli del ricorrente, pur avendo la cittadinanza belga e dunque conseguentemente anche quella europea,  non hanno mai lasciato il paese membro di cui hanno la cittadinanza e soprattutto per il fatto che la loro situazione non trova riscontro tra quelle enumerate dall'art. 3 n. 1 della direttiva riguardante gli "aventi diritti" alla libertà di circolazione e di soggiorno dei cittadini UE e dei loro familiari .

I giudici della Corte di Giustizia hanno pertanto ancorato l'affermazione del diritto al permesso di soggiorno e di lavoro dei genitori colombiani dei minori  di nazionalità belga di cui sono a carico direttamente all'art. 20 del TFUE riguardante la cittadinanza europea.

Secondo i giudici di Lussemburgo infatti il principio della cittadinanza europea sancito dal Trattato nega ogni legittimità a provvedimenti nazionali che abbiano l'effetto di privare i cittadini dell'UE dal godimento reale ed effettivo dei diritti loro attribuiti dal loro status di cittadini UE. Nel caso in esame, dunque, la privazione del diritto a soggiornare nel Paese membro disposta nei confronti di un cittadino di un Paese terzo genitore di minori a suo carico aventi la cittadinanza dell'Unione costringerebbe questi ultimi ad abbandonare il territorio dell'UE. Al medesimo risultato si perverrebbe pure se al genitore extracomunitario venisse consentito di soggiornare senza attribuirgli però il diritto a svolgere regolare attività lavorativa, in quanto anche in questo caso la persona verrebbe privata della possibilità di disporre dei mezzi necessari per far fronte alle esigenze familiari. Ne conseguirebbe che la cittadinanza dell'Unione europea posseduta dai figli in tenera età si ridurrebbe ad un fatto meramente formale, privo di reale effettività nel godimento dei diritti ad essa connessi.

La sentenza ora pronunciata dalla Corte di Lussemburgo espande  ulteriormente quanto affermato  nella precedente sentenza Zhu e Chen (C-200/02, dd. 19.10.2004), che aveva già riconosciuto il diritto di soggiorno ad un cittadino extracomunitario, in quanto derivato da quello alla libera circolazione sussistente in capo al figlio minore in tenera età, cittadino di uno Stato membro.

Con quest'ultima sentenza, tuttavia, la Corte radica tale diritto autonomo al soggiorno direttamente nel Trattato europeo e quale espressione del principio della cittadinanza europea, trovando applicazione anche  in quelle situazioni puramente interne ad uno Stato membro, ove cioè non vi sia stato un trasferimento  di un cittadino dell'Unione da un paese membro all'altro.


L'importante sentenza della Corte di Giustizia dell'UE è destinata ad avere ripercussioni anche nell'ordinamento nazionale italiano in materia di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi o di Paesi membri dell'UE.

E' noto infatti, il principio dell' immediata applicabilità nell'ordinamento interno delle disposizioni comunitarie anche in relazione alle "statuizioni risultanti (...) dalle sentenze interpretative della Corte di Giustizia" (C.Cost. 23.04.1985, n. 113).

Da un lato è vero che già il T.U. immigrazione aveva previsto il rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, fatte salve le norme sul rilascio della carta di soggiorno, al genitore straniero, anche naturale, di minore italiano residente in Italia, anche a prescindere dal possesso di un valido titolo di soggiorno, con l'unica  condizione che il genitore richiedente non sia stato privato della potestà genitoriale secondo la legge italiana (art. 30 c. 1 lett. d)).

E' pacifico pertanto che il genitore straniero extracomunitario avente a proprio carico un minore  di cittadinanza italiana può certamente ottenere il rilascio di un titolo di soggiorno e di lavoro autonomo per effetto della norma del TU citato.

I problemi si sono posti nel caso in cui  il genitore del minore italiano era un cittadino di altro paese membro dell'UE .  Con la nuova versione dell'art. 1 c. 2 del d.lgs. n. 286/98, introdotta dall'art. 37 comma  2 del D.L. 112/2008 convertito nella L. n.133/2008,  le norme del T.U. imm. non trovano più applicazione  nei confronti dei cittadini di Stati membri dell'UE. Ne è conseguito che  alcuni comuni hanno ritenuto di non  riconoscere  il principio della libera circolazione a favore di   quei cittadini comunitari, pur genitori di minori italiani nati da rapporti  di convivenza con cittadini italiani,  che non potevano dimostrare né l'esercizio di un'attività lavorativa né il possesso di risorse economiche sufficienti in Italia, in quanto il d.lgs. n. 30/2007  non comprendeva tale situazione tra gli "aventi diritti", sia per la mancanza in Italia di una normativa sulle "unioni registrate" o "di fatto",  sia per la mancata espressa previsione di un diritto di soggiorno derivato da quello in capo al minore.

Peraltro, era stato fatto giustamente notare che il diritto di soggiorno del genitore comunitario di minore italiano doveva essere comunque riconosciuto  sulla base del principio dell'effettività del  godimento dei principi costituzionali di "incolato" (diritto del cittadino di residenza sul territorio italiano e  di farvi  ritorno se all'estero) spettanti al minore italiano  e di protezione della famiglia.

Proprio in ragione della necessità di un collegamento ai principi costituzionali, il  Ministero dell'Interno - Area Servizi Demografici aveva indicato con una serie di pareri pubblicati sul proprio sito web ed indirizzati  agli uffici anagrafe dei Comuni di poter procedere all'iscrizione anagrafica dei cittadini comunitari genitori anche monoparentali di minori cittadini italiani di cui abbiano la potestà,   sulla base della sola verifica del legame familiare con il cittadino italiano,  senza la verifica di ulteriori requisiti (ad es.  reddittuali).

La sentenza della Corte di Giustizia europea ora  fornisce ai Comuni un‘indicazione normativa certa fondata sul trattato europeo e dunque sul diritto europeo di immediata e diretta applicazione nell'ordinamento interno tale ad aggiungersi alle già richiamate motivazioni fondate sull'ancoramento ai diritti costituzionali italiani.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia europea dovrà beninteso trovare applicazione anche in relazione al cittadino extracomunitario genitore di minore a suo carico con cittadinanza di un Paese  membro dell'UE diverso dall'Italia,  qualora il primo non possa radicare il suo diritto al soggiorno iin Italia in relazione alle fattispecie previste dal d.lgs. n. 30/2007 (ad es. coppia non sposata composta da cittadino extracomunitario non in regola e cittadina comunitaria residente in Italia che abbiano avuto un figlio in Italia, riconosciuto da entrambi e al quale dunque si sia trasmessa anche la cittadinanza del Paese UE).


Commento a cura di Walter Citti, segreteria ASGI

 
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