Con riferimento alla situazione delle popolazioni Rom e Sinti, il Comitato europeo per i diritti sociali conclude che l'Italia ha violato numerose disposizioni della Carta Sociale europea .
Entro il 31 ottobre 2010 l'Italia deve inviare il Rapporto in merito agli adempimenti previsti dalla Carta Sociale europea.Il Comitato europeo per i diritti sociali ha espresso giudizi molto critici nei confronti delle "misure di sicurezza" adottate nell'ambito della c.d. "emergenza nomadi" inaugurata con il Decreto n. 92/2008. Secondo l'organo del Consiglio d'Europa chiamata a vigilare sull'attuazione degli obblighi derivanti dalla sottoscrizione e ratifica della Carta sociale europea, le misure adottata non hanno determinato un miglioramento delle condizioni abitative delle popolazioni Rom e Sinti in Italia, hanno intensificato procedure di sfratto in condizioni che non hanno rispettato la dignità delle persone interessate, senza prevedere sufficienti alternative abitative. Inoltre, il Governo italiano non avrebbe adottato misure sufficienti per contrastare la stigmatizzazione dei Rom ed, anzi, con i c.d. "patti di sicurezza" avrebbe al contrario enfatizzato come le proprie politiche rispondano più a preoccupazioni di pubblica sicurezza piuttosto che a considerazioni di integrazione sociale delle popolazioni Rom e Sinti, con ciò aggravando ulteriormente la situazione di segregazione delle medesime. Secondo il Comitato europeo, inoltre, le misure di identificazione dei Rom adottate nel corso dei censimenti compiuti nei "campi" non hanno soddisfatto i requisiti di proporzionalità, in quanto il Governo italiano non ha fornito sufficienti elementi atti a dimostrare che il principio di volontarietà nella raccolta delle impronte digitali dei minori sia stato sempre rispettato. Inoltre la raccolta dei dati personali ha portato all'adozione di misure volte a comprimere ed interferire eccessivamente sul diritto alla vita privata e familiare degli appartenenti alle popolazioni Rom e Sinti (cartellini identificativi, regolamenti per l'accesso e le visite ai "campi" o centri di accoglienza), ispirate più a motivi di sicurezza che al miglioramento delle condizioni sociali di vita nei centri.