ASGI

Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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22.10.2010

Il Tribunale di Venezia riconosce il diritto di una cittadina albanese a partecipare ad un concorso pubblico in quanto familiare di cittadino italiano (coniuge e madre)

 
Accolto il ricorso presentato assieme all’ASGI. Le norme sulla libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea e dei loro familiari assicurano l’accesso al pubblico impiego anche ai cittadini di paesi terzi familiari di cittadini dell’Unione europea.
 
Tribunale di Venezia, giudice del lavoro, ordinanza 8 ottobre 2010 (96.5 KB)
 

Il Tribunale di Venezia, con ordinanza dell'8 ottobre scorso, ha riconosciuto il diritto di una cittadina albanese, coniugata con cittadino italiano e madre di figli di cittadinanza italiana, titolare della carta di soggiorno a tempo indeterminato prevista dal d.lgs. n. 30/20007 a favore dei familiari di cittadini dell'Unione europea, a partecipare ad un concorso pubblico indetto  dal Comune di Venezia per il ruolo di educatore di strada.

Il concorso era stata indetto dall'Amministrazione comunale con la previsione del requisito di accesso della cittadinanza italiana o di un altro Paese membro dell'Unione europea, con ciò determinando l'esclusione della candidata di nazionalità albanese.

Il Tribunale di Venezia  ha escluso che  sul testo unico immigrazione (d.lgs. n. 286/98) si possa fondare una pretesa di equiparazione dei cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti in Italia con i cittadini italiani e comunitari nell'accesso ai rapporti di impiego pubblici, ritenendo così di aderire all'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, con la nota sentenza n. 24170/2006, secondo  cui l'art. 38 del d.lgs. n. 165/2001 ribadirebbe l'esclusione dei cittadini extracomunitari. Tuttavia, il giudice  del lavoro di Venezia ha riconosciuto la specifica situazione della ricorrente, cittadina albanese  coniugata con cittadino italiano e madre di cittadini italiani, titolare della carta di soggiorno di cui al d.lgs. n. 30/2007 prevista per i familiari di cittadini dell'UE. Il giudice ha dunque riconosciuto il primato della normativa di recepimento della direttiva europea in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari, che prevede un principio di parità di trattamento nel campo di applicazione del Trattato europeo, e dunque, anche nell'accesso alle attività lavorative, anche a favore dei cittadini di paesi terzi familiari di cittadini dell'Unione europea (art. 19), equiparando poi  la condizione dei familiari di cittadini italiani a quella dei familiari di cittadini di Paesi dell'Unione europea (art. 23).

Pertanto, avendo il Comune di Venezia ignorato tali norme specifiche e "speciali" rispetto a quelle che sarebbero previste in generale per i cittadini extracomunitari secondo l'interpretazione adottata dalla Cassazione, ha realizzato un'ingiusta ed illegittima discriminazione a danno dell'interessata, ammettendosi così il suo diritto a ricorrere all'azione giudiziaria anti-discriminazione ex art. 44 del T.U. immigrazione.

L'azione anti-discriminazione è stata promossa congiuntamente dall'interessata e dall'ASGI.
Il Comune di Venezia è stato dunque condannato al pagamento delle spese legali.


Si ringrazia per la segnalazione l'avv. Marco Paggi, del Foro di Padova e membro del direttivo dell'ASGI.

NOTA GIURIDICA A CURA DEL SERVIZIO DI SUPPORTO GIURIDICO CONTRO LE DISCRIMINAZIONI ETNICO-RAZZIALI E RELIGIOSE

Dopo l'entrata in vigore della direttiva  europea n. 2004/38 in materia di libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea e dei loro familiari, recepita in Italia con il d.lgs. n. 30/2007, appare fugato ogni dubbio sulla legittimità dell'estensione  ai familiari di cittadini dell'Unione europea residenti in Italia, pure se di cittadinanza di paesi terzi, dell'accesso al pubblico impiego. L'art. 23 della direttiva infatti prevede che : "I  familiari del cittadino dell'Unione, qualunque sia la loro cittadinanza, titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente in uno Stato membro hanno diritto di esercitare un'attività economica come lavoratori subordinati o autonomi". L'art. 24 sancisce il principio di parità di trattamento a favore dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari: "Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal trattato e dal diritto derivato, ogni cittadino dell'Unione che risiede, in base alla presente direttiva, nel territorio dello Stato membro ospitante gode di pari trattamento rispetto ai cittadini di tale Stato nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente".

La giurisprudenza della Corte di Giustizia europea aveva già chiarito con la sentenza  Emir Guel contro Germania dd. 7 maggio 1986 (Causa n. 131/85) che il coniuge del lavoratore comunitario che abbia esercitato il diritto alla libera circolazione gode del principio di non discriminazione nell'accesso al lavoro, previsto per i lavoratori comunitari, qualunque sia la sua cittadinanza e nei suoi confronti si applicano le stesse disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che si applicano ai cittadini nazionali (il caso in questione riguardava il divieto di accesso alla professione di medico in una struttura pubblica in Germania di un cittadino cipriota coniugato con una cittadina britannica residente in Germania).

Tali principi di diritto comunitario di parità di trattamento nell'accesso all'esercizio di attività lavorativa a favore dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari sono stati pienamente recepiti in Italia nel d.lgs. n. 30/2007. All'art. 19 si afferma: " 1. I cittadini dell'Unione e i loro familiari hanno diritto di esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata, escluse le attività che la legge, conformemente ai Trattati dell'Unione europea ed alla normativa comunitaria in vigore, riserva ai cittadini italiani. 2. Fatte salve le disposizioni specifiche espressamente previste dal Trattato CE e dal diritto derivato, ogni cittadino dell'Unione che risiede, in base al presente decreto, nel territorio nazionale, gode di pari trattamento rispetto ai cittadini nazionali nel campo di applicazione del trattato. Il beneficio di tale diritto si estende ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente".

Sulla base del primato del diritto comunitario su quello interno, e dell'immediata applicabilità delle sentenze interpretative della CGE, nonché dei principi generali dell'interpretazione e della successione delle leggi nel tempo di cui all'art. 15 delle disposizioni preliminari al Codice Civile italiano,  si ritiene che le disposizioni di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 30/2007  integrino e modifichino a tutti gli effetti quanto previsto dalle norme sul pubblico impiego e dall'art. 38 del d.lgs. n. 165/2001. Di conseguenza,  si conclude che  anche ai familiari di cittadini degli Stati membri dell'Unione europea regolarmente residenti in Italia, qualunque sia la loro cittadinanza, se in possesso della carta di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, debba essere consentito l'accesso  agli impieghi pubblici alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per i cittadini dell'Unione europea (comma 3:  godimento dei diritti civili e politici nello Stato di appartenenza, conoscenza adeguata della lingua italiana).

Tali conclusioni sono state condivise anche dalla Commissione europea, organo cui sono attribuite anche le funzioni di  vigilanza della corretta applicazione del diritto dell'Unione europea da parte degli Stati membri . In risposta ad un'interrogazione presentata al Parlamento europeo dalla parlamentare Debora Serracchiani, la Commissaria europea Malmström in data 26 marzo 2010 ha così affermato:  "As regards non-EU national family members of EU citizens in Italy, the Commission is of the view that Directive 2004/38/EC on the right of citizens of the Union and their family members to move and reside freely within the territory of the Member States grants non-EU national family members of EU citizens who have the right to reside in another Member State equal treatment with nationals as regards access to employment in the public sector, with the exception of posts which involve the exercise of public authority and the responsibility for safeguarding the general interest of the state" (trad. It: "Con riferimento ai cittadini  di paesi terzi non membri dell'UE familiari di cittadini dell'Unione europea residenti in Italia, la  Commissione è dell'avviso che la Direttiva 2004/38/CE sul diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente entro il territorio degli Stati membri garantisce ai cittadini di Paesi terzi familiari di cittadini UE che hanno il diritto di risiedere in un altro Paese membro parità di trattamento con i nazionali riguardo all'accesso all'impiego nel settore pubblico, con l'eccezione degli impieghi che implichino l'esercizio di pubblici poteri o di responsabilità in relazione agli interessi generali dello Stato").  

Sul piano del diritto interno, l'ASGI rammenta, peraltro, che l'art. 23 del d.lgs. n. 30/2007 prevede l'estensione delle norme previste dal decreto attuativo della direttiva europea  in materia di libera circolazione dei cittadini comunitari e loro familiari anche ai familiari extracomunitari di cittadini italiani. Tale norma deve intendersi quale espressione del divieto di "discriminazioni a rovescio". Con due importanti sentenze, la Corte Costituzionale ha infatti stabilito che, in caso di deteriore trattamento della situazione puramente interna rispetto a quella applicabile all'omologa situazione disciplinata dal diritto comunitario, alla luce del principio costituzionale di eguaglianza, la posizione soggettiva garantita dal diritto comunitario sarà l'elemento su cui misurare anche la disciplina riservata alla situazione nazionale (Corte Costituzionale, sent. 16.06.1995, n. 249; Corte Cost., sent. 30.12.1997, n. 443). In altri termini il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione vieta le "discriminazioni a rovescio", quelle cioè che si verificherebbero in danno del cittadino italiano quando, per effetto di una norma comunitaria, una persona o un soggetto comunitario godrebbe in Italia di un trattamento più favorevole di quello previsto in una situazione analoga per il cittadino o soggetto nazionale in virtù della norma di diritto interno. In sostanza, la ratio dell'art. 23 del d.lgs n. 30/2007 sembra essere quella di evitare che il familiare del cittadino comunitario goda di un trattamento più favorevole rispetto al familiare del cittadino italiano, con evidente pregiudizio anche per quest'ultimo, avendo in considerazione   la famiglia quale ambito tra i più rilevanti nei quali si forma la personalità dell'individuo. Dal significato  letterale della norma  ne deriverebbe un'interpretazione della equiparazione della condizione dei familiari dei cittadini italiani a quella dei familiari di cittadini comunitari estensibile a tutte le disposizioni contenute nel decreto di recepimento della normativa comunitaria e non solo a quelle in materia di soggiorno. Pertanto, anche i familiari dei cittadini italiani godrebbero del principio di parità di trattamento nell'accesso alle attività lavorative, salvo quelle attività escluse ai cittadini dell'Unione europea conformemente alla normativa comunitaria. Ne conseguirebbe il diritto all'estensione anche ai familiari extracomunitari di cittadini italiani, titolari della carta di soggiorno o del diritto al  soggiorno permanente di cui agli artt. 10 e 17 del d.lgs. n. 30/2007,  dell'accesso al pubblico impiego fatte salve le limitazioni di cui al D.P.C.M. n. 174/1994.

Ulteriormente, l'art. 25 del d.lgs. n. 251/2007, attuativo della Direttiva europea n. 2004/83/CE ("Norme minime  sull'attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta"), ha espressamente esteso l'accesso al pubblico impiego ai soli cittadini stranieri titolari dello status di rifugiato politico ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951  ("2. E' consentito al titolare dello status di rifugiato l'accesso al pubblico impiego, con le modalità e le limitazioni previste per i cittadini dell'Unione Europea"). Sebbene l'art. 26 c. 3 della Direttiva europea n. 2004/83/CE preveda una pari autorizzazione all'esercizio di attività dipendente nel rispetto della normativa generalmente applicabile agli impieghi nella pubblica amministrazione anche a favore del titolare della protezione sussidiaria, tale diritto non è stato recepito nella normativa italiana di riferimento. Tale questione pone, dunque, a nostro avviso un problema di insufficiente adeguamento della normativa interna agli obblighi scaturenti dalla normativa comunitaria. Avendo, tuttavia, la norma della direttiva europea un carattere chiaro, preciso ed incondizionato, essa è di immediata e diretta applicazione nell'ordinamento interno.

Riassumendo, almeno per le sopracitate categorie di cittadini stranieri extracomunitari protetti dal diritto dell'Unione europea, non sembra sussistere alcun dubbio, de jure condito, circa il loro diritto all'accesso ai rapporti di impiego pubblici, con gli stessi limiti previsti per i cittadini dell'Unione europea. Ciononostante,   come indicato in un dossier-esposto inviato dall'ASGI alla Commissione europea lo scorso 31 ottobre 2009,  nella prassi tanto delle Amministrazione centrali dello Stato, quanto delle Regioni e degli enti locali, i citati obblighi derivanti da una corretta applicazione delle norme di recepimento del diritto dell'UE,  risultano completamente disattesi e non rispettati. In altri termini,  la questione del diritto all'accesso agli impieghi pubblici tanto dei familiari di cittadini comunitari o italiani, qualunque sia la loro cittadinanza, quanto dei rifugiati politici e dei titolari di protezione sussidiaria,  è completamente ignorata,  in quanto nei bandi di concorso pubblico per le assunzioni nella P.A.  si continua a  prevedere l'equiparazione ai cittadini nazionali soltanto per i cittadini di altri paesi membri dell'Unione Europea.


A cura di Walter Citti


Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose. Progetto ASGI con il sostegno della Fondazione italiana a finalità umanitarie Charlemagne ONLUS
 
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