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Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
 
 
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14.05.2010

CEDU: La dichiarazione dinanzi alle autorità di stato civile della propria fede religiosa ai fini della sua menzione sulla carta di identità, prevista dalla legislazione della Turchia, è contraria alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo

 
Secondo la Corte di Strasburgo la legislazione turca viola l’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. La decisione della Corte su un ricorso promosso da un cittadino turco di fede alevita.
 
Corte europea dei diritti dell'Uomo, sentenza dd. 02.02.2010, caso Isik c. Turchia (n. 21924/05) (203.58 KB)
 

La Corte di Strasburgo, con la sentenza del 2 febbraio 2010 (ricorso n. 21924/05,  Sinan Isik c. Turchia), ha concluso che la legislazione turca che prevede l'obbligo di una dichiarazione dinanzi alle autorità di stato civile della propria fede religiosa, ai fini della menzione della medesima sulla carta di identità, fatta salva la possibilità di richiedere che nessuna menzione di appartenenza venga riportata nell'apposito spazio, viola il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di fede religiosa di cui all'art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell'Uomo.

Secondo la Corte di Strasburgo, infatti, l'art. 9 della Convenzione europea in materia di  libertà religiosa proibisce qualsiasi atto da parte delle autorità statuali volto ad obbligare la persona a dichiarare o divulgare pubblicamente la propria fede religiosa o le proprie convinzioni. Ulteriormente, secondo la Corte europea, la menzione delle convinzioni religiose nella  carta di identità o in altri documenti ufficiali, unitamente all'uso frequente di tali documenti nei rapporti istituzionali, espone gli interessati a rischi di discriminazione, ponendosi dunque in contrasto con gli standard internazionali in materia di diritti umani.

Il ricorso dinanzi alla Corte di Strasburgo è stato originato da un caso di un cittadino turco di fede alevita (una minoranza religiosa influenzata dal sufismo) che aveva richiesto alle autorità turche che la menzione "islam" riportata nella casella relativa all'appartenenza religiosa sulla sua carta di identità venisse sostituita da quella "alevita" o, in subordine, non venisse fatta menzione della fede religiosa nella carta di identità dei cittadini turchi. L'istanza era stata respinta dalle autorità amministrative e giudiziarie turche dopo il parere espresso da un organo ministeriale turco, la direzione degli affari religiosi, che aveva rigettato l'istanza con la motivazione che il movimento religioso alevita sarebbe una tendenza interna all'islam ovvero un'interpretazione particolare dell'islam influenzata dal sufismo, ma non una religione a sé stante.  Anche a questo riguardo, la Corte di Strasburgo ricorda nella sentenza la sua linea interpretativa consolidata, secondo la quale "il dovere di neutralità e di imparzialità dello Stato è incompatibile con qualsiasi potere di apprezzamento dello Stato riguardo alla legittimità dei credi religiosi", per cui in caso di conflitti all'interno di movimenti religiosi, "le autorità non possono privilegiare delle interpretazioni della religione a scapito di altre, o adottare delle misure che mirino a costringere una comunità divisa o una parte di essa a porsi, contro la sua volontà, sotto una direzione unica", bensì  le autorità possono o hanno anche l' obbligo di adoperarsi affinchè  tali gruppi, opposti gli uni agli altri, si tollerino vicendevolmente.

 
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